Per comprendere appieno la profondità e la bellezza dell’argomento che esploreremo, iniziamo con una breve introduzione. Komorebi è un termine ricco di poesia e che trasmette l’idea di un istante effimero eppure carico di significato immersi nella natura. In questo articolo, ci immergeremo nei Komorebi e scopriremo come questa parola riesca a catturare un’essenza profonda e universale, trasformando la nostra percezione del mondo e dell’arte poetica. Benvenuti nel mio Universo dei Komorebi.
è un termine giapponese ricco di poesia che significaletteralmente: la sottile luce che filtra tra le foglie degli alberi, un momento effimero ma carico di profondità. Questo fenomeno evoca una sensazione fugace, simile ai raggi del sole che si aprono un varco tra le fronde di un bosco fitto, regalando una bellezzadelicata e un’esperienza unica, quasi mistica.
Komorebi, ovvero un’Esperienza Unica
Il titolo “Komorebi” (in Giapponese si scrive così: 木漏れ日 e si pronuncia approssimativamente come [koh-moh-reh-bee]) non è una scelta casuale, ma il risultato di un’attenta ricerca di una parola che va oltre la sua definizione letterale, trasmettendo un significato profondo che va al di là delle parole stesse.
Komorebi: Poesia e Mistero Immergiti nelle profondità dell’anima e lasciati trasportare in una danza magica al confine tra realtà e sogno. “Komorebi” è molto più di una semplice raccolta di poesie. È un’opera letteraria che affascina e incanta, che emoziona e scuote, catturando l’immaginazione di chi osa avventurarsi nelle sue pagine. Ogni parola risuona come una melodia sussurrata, risvegliando emozioni profonde e connessioni intense. Sii pronto a lasciarti rapire da un viaggio unico, dove le parole si fondono con le emozioni, e il mondo intorno si trasforma in una tela di bellezza e mistero. Preparati ad abbandonarti alle ali della poesia e a scoprire la magia che si cela dietro le pagine di “Komorebi”.
Komorebi: La Magia delle Parole
È come se le lettere si trasformassero in pennellate di colore e luce, dipingendo immagini senza tempo e sussurrando segreti dell’anima. “Komorebi” è una parola che si nutre di mistero e poesia, e la sua scelta come titolo è un invito a scoprire il potere evocativo e la magia che si nascondono dietro ogni pagina di questo straordinario capolavoro letterario.
Immergiti nell’incanto dei “Komorebi“, un termine giapponese che evoca la luce solare che filtra attraverso le dense foglie degli alberi.
Così come i nostri pensieri attraversano la foresta interiore, questi raggi di luce illuminano il nostro cammino, guidando la nostra coscienza.
I “Komorebi” sono brevi componimenti poetici e riflessioni sulla vita, la natura e le emozioni che vogliono assurgere a vie di fuga dalla realtà, composte di parole che si dissolvono in un istante tra le nostre dita, ma lasciano un’impronta indelebile nel cuore e nell’anima.
Un esempio di Komorebi:
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Osservando la persistenza impavida Della condensa sopra i vetri freddi Scalfita di tanto in tanto Da qualche avventata goccia Che trova fine Percorrendo la sua origine Realizzo quanto orizzonte ho sprecato Nelle giornate in cui brillava il sole Immagino i giunchi mossi dal vento In una giornata di primavera Immagino la costanza delle onde In un pomeriggio di mare Immagino il moto delle sabbie Attraverso la cruna di una clessidra Che Unica Riesce ad unire per un istante Ció che segue e ció precede ogni cosa Batto sul petto veemente Con il palmo destro Costernandomi di ció Mi ha ivi tratto Rimanendo afflitto ad immaginare Ció che accada appena poco oltre La stanza delle nubi che ora mi fa da coltre
Non avrei mai immaginato che la mia vena poetica mi avrebbe accompagnato così a lungo in questo progetto, ma fortunatamente è stato così.
Il sogno che custodivo nel cassetto non è più solo quello di vedere le mie parole pubblicate, perché il semplice fatto che io stia scrivendo ancora, e addirittura per la seconda volta, rende quel desiderio una realtà tangibile.
Il mio vero obiettivo ora è di raggiungere il traguardo di 500 componimenti (sì, proprio cinquecento!), per poi racchiuderli in un’unica grande opera che chiuderà questo ciclo poetico.
La gloria poco conta, perché la poesia non nasce per arricchire in senso monetario, ma per condividere una ricchezza diversa, eterea, che non è adatta a tutti i gusti e gli animi.
L’obiettivo è di arricchire, anche solo per un istante, le anime di coloro che posano lo sguardo su queste opere, figlie della mia interpretazione della luce che filtra attraverso il bosco della nostra vita.
Potrei scrivervi chi sono, chi ero e chi vorrei essere, così da scoprire se ho delle passioni, delle ispirazioni o delle influenze; purtroppo per voi sono convinto che il più grande metodo narrativo attorno ciò che sono sia quello di lasciar trasparire tutto questo dalle mie opere. Mi limito dunque a dirvi che sono nato in un’isola della Laguna di Venezia, di cui serbo tutta la poesia, cullato dal rumore del mare e stimolato dal profumo di salsedine. Ho scoperto la scrittura per caso, mentre giocavo a nascondino con me stesso. La passione per le parole mi ha salvato, assaporandole una per volta, scandite per scoprire l’effetto prodotto al di fuori del mio cuore. Non capiremo mai tutto di tutti, ma di ciascuno possiamo serbare la parte migliore, dunque, ecco senza presunzione alcuna il meglio che vi posso offrire. Buona scoperta cari lettori, perché romanzi, poesie e parole, altro non sono che i mezzi per i viaggi in mondi ancora da scoprire
Buona lettura amici e grazie per commenti, like e condivisioni.
Edoardo
Komorebi (木漏れ日): è la luce delicata che si insinua tra le fronde degli alberi, un istante breve ma carico di intensità, che cattura uno stato d’animo e una sensazione fugace, simili ai raggi di sole che danzano tra le foglie di un bosco
La cioccolata calda e fumante scendeva lenta, ristoratrice, come un abbraccio che riscaldava non solo il corpo, ma anche l’animo ferito di Santa. Il peso dello sconforto cominciava ad allentarsi, anche se i suoi piani erano andati apparentemente in frantumi. Tuttavia, lui, che da anni, decenni, secoli percorreva il mondo in una sola notte per realizzare i sogni di milioni di persone, sapeva bene come affrontare le sfide più ardite e non sarebbe stato certo un incidente a farlo desistere. Finita la cioccolata, si alzò, pagò e, guardando nella direzione del fiero Bartolomeo, il cavaliere della statua equestre di Campo Santi Giovanni e Paolo, proseguì verso le panchine nei pressi dell’albero. Bambini, giovani e anziani erano ancora tutti lì. D’un tratto, la sua attenzione fu catturata dall’udire alle sue spalle qualcuno urlare le seguenti parole: “Signor Scarlatto! Signor Scarlatto!”. In cuor suo, sapeva che queste parole potevano significare solo una cosa, così si girò verso quella voce e scorse un uomo sbracciarsi dalla prua di un bragozzo a vela. Si avvicinò, incredulo, all’imbarcazione e lo vide. Il marinaio gli chiese: “Signor Scarlatto?” e Santa rispose: “Fiamma polare.” Il marinaio replicò: “Bene, almeno ora ho la prova che tutte queste strampalate richieste non fossero un pessimo scherzo. Tenga questa busta e si lasci affidare questa creatura.” Da dietro una vela, un naso rosso fece capolino, poi delle corna ed infine lui, in tutta la sua fiera bellezza. “Rudolf!” esclamò Santa. “Corpo di mille renne! Ma cosa ci fai qui?” Rudolf fece un bramito intenso e dolce, poi, avanzando verso Santa e strofinando il suo muso sul suo pancione, gli mostrò cosa teneva sulla schiena e, a Santa, momenti capitò di svenire. “Rudolf! Hai preso tu la sacca di iuta! Ma quanto sei meraviglioso?” E nel dirlo, gli avvicinò una carota presa chissà dove nelle sue tasche. Il marinaio capì ben poco: sin da quel misterioso bonifico arrivato dal Polo Nord e dal successivo telegramma, aveva sospettato di trovarsi di fronte a un’astuta truffa. Tuttavia, a quanto pare, quei pensieri surreali lo avevano condotto a un’operazione reale. Rodolfo, così si chiamava il marinaio, tirò fuori una “tola” di legno dalla barca ed agevolò la discesa della renna dal bragozzo. Santa guardò Rudolf negli occhi: sembrava una coppia separata da una guerra e ricongiunta dal caso. Amore puro. Santa tornò in sé, carezzò Rudolf e poi, recuperata la sacca, fece un veloce inventario del suo contenuto: scorse rapidamente il sacco, una collezione unica di oggetti carichi di storie e significati: acqua del Piave e quella agrodolce della foce del Sile, fango in scatola, un frammento del Ponte del Diavolo, un rametto di vitigno, uno stelo di carciofo e bastoncini di liquirizia amarissimi. C’erano anche piume di gufo, una candela consumata, una pigna di cipresso, ceneri di legno di tasso e un guscio di murice spinoso dipinto. Trovò un pezzo di legno levigato dal mare, un fiore viola selvatico, un rametto spinoso di roseto, un’ampolla con intonaco cuore di Melusina, un rametto di vischio e una rete con galleggiante di sughero. A chiudere, simboli preziosi: l’acqua benedetta di San Giovanni Elemosinario, un francobollo di Betlemme, la chiave di un lucchetto d’amore e, su tutto, si stupì, vi era una ciocca di pelo di Rudolf, il compagno di sempre. Ogni oggetto racchiudeva un frammento di magia e di fatica, tratto dalle varie tappe della missione. Era il momento di agire. Santa e Rudolf si acquattarono in Calle Torelli, dietro l’abside della basilica, un luogo che sembrava diviso tra sacro e profano, protetto da un silenzio quasi surreale. Qui Santa estrasse una ciotola di legno intarsiata, un oggetto antico e intriso di magia. La ciotola pareva pulsare con una luce soffusa, come se avesse un’anima. Uno alla volta, Santa vi depose gli ingredienti; ogni elemento portava con sé vibrazioni uniche, un’energia primordiale. La ciotola, misteriosamente, accoglieva tutto senza mai riempirsi. Rudolf osservava in silenzio, il respiro trattenuto, quasi in reverenza. Il pestello, anch’esso di legno, ma decorato con vari intarsi, iniziò a muoversi nelle mani di Santa, che intonava una litania sottovoce. Non la recitava da tempo, ma la ricordava perfettamente a memoria. Ogni colpo del pestello sembrava scandire un ritmo superiore, riecheggiando come un battito universale. Gli ingredienti, dapprima riottosi, si allinearono all’armonia, fondendosi in una sostanza luminosa e al contempo oscura, come la notte stellata appena prima dell’alba. Era nato il “Fango della Luce“, l’essenza viva della tradizione, destinata a essere il carburante della Lanterna. Santa intinse lentamente lo stoppino della lanterna nel composto, dalla punta fino alla sua estremità inferiore. Dopodiché caricò il serbatoio della stessa con quanto avanzato. La lanterna, quasi consapevole del suo compito, emise per un brevissimo istante una luce fioca che si assopì istantaneamente. Rudolf sbuffò e, nel medesimo istante, il vapore del suo respiro assunse tinte arcobaleno. Santa esclamò sottovoce: “Ho ho ho, Rudolf, siamo pronti!” Tornarono verso Campo San Giovanni e Paolo. Era gremito di persone, con un frastuono di voci che parlavano dei più disparati argomenti, sommandosi, sovrastandosi, mescolandosi in un denso rumore di fondo. Santa decise di fermarsi, appoggiando la lanterna sopra una vera da pozzo a metà strada tra la calle dove aveva mescolato gli ingredienti e il monumento equestre. Ivi lasciò Rudolf a guardia della cosa. Per completare il rito, sarebbe bastato semplicemente accenderla, ma in un’epoca di diffidenza, scontri e paure, quello sarebbe stato il compito più difficile. Santa, infatti, era consapevole che non avrebbe potuto portarsi i fiammiferi o l’accendino per espletare questo ultimo passo. Doveva ottenerli da qualcuno, e non forzatamente, bensì come gesto di generosità. Forse per il suo aspetto trasandato, nonostante la barba più corta del solito, forse per quella sacca di iuta rabberciata e sporca ormai, ma mentre tutti si scambiavano auguri di cuore e manifestazioni d’affetto, lui veniva trattato come un reietto, un alimento distopico che avrebbe potuto rovinare la sacralità del Natale. Ma quello era solo il pretesto per allontanarlo, in realtà molte persone non lo desideravano vicino perché, con quelle fattezze, avrebbe guastato i selfie, le foto ricordo, danneggiato l’immagine social del Natale. Santa parlava così: “Buon Natale, avete un fiammifero o un accendino da prestarmi?”. Nei casi migliori non riceveva risposta, in quelli peggiori, ne riceveva di non menzionabili ed affatto eleganti. Ferito e addolorato nell’animo, tornò sconsolato da Rudolf dicendogli: “Nulla… l’umanità è troppo grigia, persa a specchiarsi nel freddo mondo social o in sé stessa per badare a un vecchio concio e di buon animo”. Rudolf sbuffò, come a voler dire: “Proviamoci noi, non tutto è marcio”. Così Santa cominciò a frugare nelle sue tasche, concorrenziali con la valigia di Mary Poppins e, tra occhiali rotti, snack per animali selvatici e molto altro, ritrovò un pacchetto di fiammiferi rossi che conteneva quelle bacchettine in legno con dello zolfo colorato di verde. Sapeva bene che era un tentativo disperato, ma la Luce magari sarebbe scesa a compromessi. Ne accese uno, ma mentre apriva la lanterna, un bambino passò e, soffiando, glielo spense: “Corpo di mille renne, mancava anche il bambino smargiasso!”. Così ne prese un altro, ma non si accendeva, poi un terzo, che si ruppe. Il quarto si accese con forza, lo accostò alla lanterna, illuminando brevemente il naso umido di Rudolf. Si avvicinò allo stoppino intriso dei venticinque ingredienti della Luce e disse: “Ignis Natalis, arde!”, letteralmente “Fuoco del Natale, ardi”. Il fiammifero e la sua fiammella arancione lambirono lo stoppino imbibito che arse brillante per soffocarsi ed estinguersi quasi nel medesimo momento. Quella che aveva cercato di riaccendere con i venticinque ingredienti raccolti lungo il suo cammino giaceva lì sul pozzo, ancora spenta, inerte come i pensieri che appesantivano Santa. Rudolf gli si fece vicino, strofinando il suo muso su di lui. Si sedette su una panca di pietra, una di quelle occupate dai bambini, gli occhi stanchi che vagavano senza meta nel circostante che sprigionava gioia in un caleidoscopio di apparenza. Sussurrò: “Il brusio di Venezia mi scorre intorno, ignaro della mia presenza.” “Esiste ancora la vera magia del Natale?” si chiese, guardando la città che, nonostante tutto, sembrava troppo presa dalle proprie preoccupazioni. “O è solo un ricordo, un’ombra offuscata dal consumismo e dal tempo?” Gli scese una lacrima che, attraversando una ruga, scivolò velocemente fino alle labbra: amarissima. Mentre Santa rifletteva con la testa abbassata, Rudolf si girò verso dei passi che, leggeri, parevano avvicinarsi. Erano un bambino e una bambina, una coppia di gemelli. Li avevano guardato con curiosità, dapprima da lontano, per poi avvicinarsi a pochi passi da lui. I loro abiti erano semplici, logori, e portavano con sé una piccola borsa di stoffa, altrettanto consunta, in un parallelismo con la sacca di Santa. Non c’era niente di straordinario nel loro aspetto, eppure emanavano un alone bellissimo; qualcosa nei loro occhi brillava di un’innocenza e di una bontà che, oramai, sembravano perdute. “Signore,” disse la bambina con voce dolce, “non pianga, l’abbiamo vista prima mentre vagava chiedendo aiuto. Noi non abbiamo granché, ma vogliamo aiutarla.” Il bambino fece il gesto di svuotare le tasche; non ne scaturì nulla, ma sorrise. E di nuovo la bambina: “Non è molto, ma pensiamo che possa far sorridere qualcuno, e vogliamo che questo qualcuno sia lei.” Da un borsello bordeaux, estrasse un biscotto fatto in casa, un piccolo omino di pan di zenzero sorridente decorato a mano. Non era un regalo lussuoso, anzi, era quasi un gesto d’altri tempi, fatto con le loro mani, con ciò che avevano, e di ciò reso prezioso. Santa li fissò, incapace di parlare per un istante, e la bambina: “Lo accetta?” sorrise. La stanchezza che sentiva nel cuore pareva dissolversi, come nebbia al sole. “Per chi è questo dono? Non private voi o qualcuno per me,” chiese infine, la voce rotta da una malinconia che non riusciva a nascondere. “Per chiunque ne abbia più bisogno, e le sue lacrime ci hanno convinto fosse la scelta giusta,” rispose il bambino con semplicità. “È per qualcuno che ha perso la gioia del Natale,” disse la bambina. Quel gesto, così umile e disinteressato, lo colpì come un fulmine. Non cercavano lode, non volevano nulla in cambio. Il loro unico desiderio era condividere ciò che avevano per portare un po’ della loro semplice felicità a qualcuno che l’aveva perduta. Con mano tremante, Santa prese il biscotto, come se stesse tenendo tra le dita un pezzo di quella magia che tanto agognava e che aveva creduto di aver smarrito. Fu in quel medesimo istante che, all’improvviso, un fascio di luce intensissima si sprigionò dalla lanterna, ancora adagiata sul pozzo. Non era solo un bagliore; era una vera e propria alluvione luminosa che avvolse tutti. La luce si allargò, danzando ed avviluppandosi nel cielo notturno, diffondendosi silenziosamente in tutto il globo. Era come se l’amore e la generosità di quel semplice gesto avessero risvegliato la magia del Natale, e ora quella luce pura si propagava, raggiungendo ogni angolo del mondo. I cuori degli uomini, delle donne e dei bambini ricominciarono a riscaldarsi. I bambini, ignari della trasformazione che avevano innescato, sorrisero pensando fosse uno spettacolo pirotecnico e si allontanarono verso casa, ridendo tra loro. Santa Claus rimase lì, con il biscotto ancora in mano, ma mezzo morsicato. Era buono! Il volto solcato da un sorriso che non provava da tempo. Quella sera Santa capì che la lanterna che aveva cercato invano di riaccendere lungo il suo viaggio non aveva mai avuto bisogno di ingredienti materiali. Era stato quel piccolo atto di generosità a farla splendere di nuovo, perché la vera magia del Natale non risiede negli oggetti, ma nell’amore che si nasconde nei gesti più puri. Alzò lo sguardo verso il cielo sopra la laguna veneziana, ora terso e trapunto di stelle. Il rito degli ingredienti della Luce aveva fallito, non era mai stata una questione di raccogliere cose, ma di ritrovare quella scintilla di umanità che, nonostante tutto, sopravviveva ancora nel profondo dei cuori. Con un respiro profondo, Santa, finalmente in pace, si rialzò. Consapevole che la sua missione era compiuta, ma che non sarebbe stata l’ultima volta. E, mentre si allontanava, la lanterna, che aveva portato con sé per tutto il viaggio, continuò a brillare di una luce calda e rassicurante. Ancora oggi è lì sul pozzo, per chi ha l’animo di vederla con il cuore e lascia che illumini il suo cammino nella notte di Natale, custodita dai due gemelli che, ancora oggi, non sanno di aver salvato il Natale.
Fu proprio quel giorno, però, tornando indietro, che accadde qualcosa di incredibile: lettori e lettrici sentirono come bussare alla soglia del proprio monitor, display o pagina di carta. Alcuni addirittura videro qualcosa cadere. Santa bussò infatti a ciascuno che avesse posato gli occhi sulla storia, ponendo una domanda proprio nell’ultima pagina: “Santa Claus augura a tutti un Buon Natale! L’aupicio è che ciascuno trovi il proprio ingrediente della luce”.
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Ingredienti della Luce raccolti finora: Acqua del fiume Piave, Acqua agrodolce della foce del Sile, fango in scatola, frammento del Ponte del Diavolo, intonaco color cielo, rametto di vitigno, stelo di carciofo, bastoncini di liquirizia amarissimi, piume di gufo, candela consumata, pignette di cipresso, ceneri d legno di tasso, guscio di murice spinoso “garusolo” con ali nere dipinte dal pittore, legno resiliente levigato dal mare, fiore viola selvatico centarurea, rete sgualcita con galleggiante di sughero, cristallo di sale marino, rametto spinoso del roseto, intonaco cuore di melusina in ampolla, rametto di vischio, riccioli di legno piallato, acqua benedetta San Giovanni Elemosinario, francobolllo di Betlemme, chiave di un lucchetto d’amore, ciocca di Rudolf
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Vivi la magia del Natale a Venezia e scopri i suoi segreti Questo progetto prende vita dalla serie “I Segreti di Venezia”, scoprila cliccando qui, traendone ispirazione per diventare un potente canale di valorizzazione e divulgazione del ricco patrimonio culturale e storico della città lagunare. Con un linguaggio accessibile e coinvolgente, il racconto trasforma ogni pagina in un’esperienza unica, intrecciando storia e magia, e svelando, attraverso la narrazione, alcuni degli affascinanti segreti della serie stessa. Un viaggio emozionante che invita il lettore a scoprire Venezia con occhi nuovi.
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I capitoli e le date di uscita:
01 Dicembre – Santa Maria di Piave
02 Dicembre – Foce del Sile
03 Dicembre – Lio Piccolo
04 Dicembre – Isola di Torcello
05 Dicembre – Isola di Burano
06 Dicembre – Isola di Mazzorbo
07 Dicembre – Isola di Sant’Erasmo
08 Dicembre – Isola delle Vignole
09 Dicembre – Isola della Certosa
10 Dicembre – Isola di San Francesco del Deserto
11 Dicembre – Isola di Poveglia
12 Dicembre – Località Malamocco
13 Dicembre – San Pietro in Volta
14 Dicembre – Pellestrina
15 Dicembre – Cà Roman
16 Dicembre – Chioggia
17 Dicembre – Sottomarina
18 Dicembre – Isola di San Lazzaro degli Armeni
19 Dicembre – Sestiere Castello
20 Dicembre – Isola della Giudecca
21 Dicembre – Sestiere Dorsoduro
22 Dicembre – Sestiere San Polo
23 Dicembre – Sestieri San Polo, San Marco e Castello
Santa uscì dalla libreria dall’ingresso principale da cui l’aveva scoperta. Era venuto da destra e decise di virare deciso a sinistra, in quella direzione che l’avrebbe condotto al campo Santi Giovanni e Paolo. Attraversò Ponte Tetta e, nel farlo, sentì delle urla: una voce femminile e una maschile si intrecciavano in un mix di rabbia e delusione. Santa, per natura, nonostante la sua generosità, come molti, moltissimi umani, era solito non intervenire in queste situazioni, ma qualcosa lo spinse ad andare oltre. Fece praticamente un giro dell’isolato: una calle dritta, poi una a sinistra, dove intravide il campo che voleva visitare, e poi ancora a sinistra. Cominciò a distinguere meglio ciò che stava accadendo: la coppia stava scoppiando. Aveva però girato in una calle sbagliata, così ne imboccò un’altra. Questa volta arrivò nei pressi di un ponte. Sopra questo ponte, chiamato “dei Conzafelzi”, si poteva godere della vista di uno degli edifici più fotografati di Venezia: una casa di quattro piani, bagnata dall’acqua su tre lati. Una sorta di penisola, illustrata spesso in molti libri di storia dell’arte come icona veneziana. Dalla parte opposta di quel ponte, ecco la coppia: lei appoggiata di schiena, a piangere contro il muro, e lui intento a cercare di risolvere una situazione intricata. Poco distante, proprio vicino ai piedi di Santa, c’erano una chiave e il suo lucchetto, probabilmente scagliato a terra chiuso. Vi erano scritte sopra le iniziali dei due, tracciate col pennarello e incorniciate da un cuore. Non che Santa volesse farsi i fatti loro, ma aveva capito che la questione era nata per futili motivi. Così raccolse la chiave e il lucchetto e si permise di avvicinarsi ai due per, una volta ottenuta la loro attenzione schioccando le dita, dire queste parole: “Il tempo, miei cari, è come una clessidra: i suoi granelli scivolano via e non possiamo fermarli. Ogni istante sprecato in incomprensioni è un momento che non tornerà più. Sapete, i lucchetti non nascono per rimanere chiusi per sempre. Sono fatti per custodire ciò che è prezioso, ma anche per essere riaperti, se rimaniamo in stallo, con la chiave giusta: quella dell’amore. Non lasciate che piccole divergenze distruggano ciò che il vostro cuore ha costruito. Fermatevi, respirate e ritrovate il valore di ciò che condividete da tanto.” Sul finire della frase, Santa alzò il lucchetto all’altezza dello sguardo dei due e, come per magia, questo si riaprì senza che nessuno avesse inserito o girato la chiave. A Santa, nel farlo, scappò un “Ho, Ho, Hoooo!” e si terrorizzò all’idea di essersi svelato. Fortunatamente, i due non colsero l’indizio. La coppia sgranò gli occhi, colpita. Poi si guardarono, si diedero un tenero bacio, e lei esordì esplicando l’accaduto: “Lei è un vero mago! Stavamo litigando, esausti dopo una lunga giornata a camminare, e Eros, il mio fidanzato, per l’ennesima volta mi proponeva di andare a mangiare sushi. Ma vi sembra possibile? Siamo a Venezia, una città ricca di storia e tradizione, e lui mi suggerisce per la terza volta di mangiare sushi! È buono, per carità, e io lo adoro, ma avevo voglia di provare piatti tipici, qualcosa che parli davvero di questo posto. Noi veniamo dalla Puglia, e chissà quando avremo di nuovo l’occasione di essere qui. Quindi, invece di sushi, voglio assaporare la vera essenza di Venezia!” Santa scosse la testa ridacchiando, avvicinò il lucchetto con un sorriso nascosto sotto la sua lunga barba bianca e lo poggiò delicatamente nel palmo di lei. Con uno sguardo scherzoso ma saggio, disse: “Fate i bravi, che manca poco a Natale e potrebbe arrivarvi del carbone se a Babbo Natale scappa la pazienza.” I ragazzi, divertiti, sorrisero e lo ringraziarono. Poi Eros tentò di scattare una foto ricordo mentre Santa, di spalle, con la sua sacca di iuta sulle spalle, si allontanava. Incredibilmente, nella foto non c’era traccia di lui. Lei guardò Eros, scuotendo la testa: “Te l’avevo detto di cambiare telefono prima di venire qui, citrullone!” Poi, lei, guardando Eros, si avvicinò al ponte dei Conzafelzi e, con un sorriso complice, appese il lucchetto, chiudendolo vicino a un foglietto che riportava un pensiero poetico di un autore locale, con l’hashtag “#trarealtaesogno”. Si girò felice verso di lui: “Fatto, amore, hai tu la chiave?” Eros la guardò confuso: “No, chiave? Ma se avevi tu il lucchetto!” Lei, con un’espressione giocosa ma decisa, iniziò a colpirlo dolcemente con dei pugnetti sulla spalla: “Dai, Eros, lo sai che non mi piacciono questi scherzi!” E lui, sorridendo, rispose: “Guarda che non scherzo.” Lei, con un sorriso più sereno, concluse: “Vabbè, chissà che sia di buon auspicio, che il lucchetto non ceda mai, e così noi.” Quello che non sapevano è che quella chiave, simbolo di un’unione che sembrava rabberciata, come una ferita coperta da un cerotto o come la sacca di iuta, si trovava proprio tra le mani di Santa. Il penultimo ingrediente, figlio di un amore che, seppur interrotto per un istante dalle incomprensioni, era destinato a proseguire oltre, più forte di prima. Santa, dopo aver percorso una stretta calle, si ritrovò davanti a una serie di panchine occupate da anziani, giovani e bambini. Si fermò un istante, guardando oltre la fronda dell’albero che dominava il piccolo spazio, e osservò le vetrate magnificamente adornate della basilica di Santi Giovanni e Paolo, la cui bellezza si stagliava davanti a lui. Si girò a sinistra, notando due plateatici pieni di gente che sorseggiava caffè nelle pasticcerie e nei bar, e oltre, la maestosa facciata dell’Ospedale Civile e il monumento dedicato al Colleoni. Un particolare curioso gli venne in mente: ricordava le parole di una guida turistica che spiegava a un gruppo come quel monumento fosse stato collocato lì, invece che a San Marco, grazie a un inganno. Ma fu qualcosa di più che lo attirò, qualcosa che lo fece fermare per un attimo più a lungo. Sulla destra, vicino alla facciata dell’Ospedale, c’era una porta che non aveva mai notato prima. Spinto dalla curiosità, decise di entrarci. Superato l’ingresso, scoprì un piccolo ma affascinante museo: un’antica farmacia dell’ospedale, con vetrine piene di piante officinali e reperti storici, ognuno catalogato con cura e precisione. Era un luogo di storia e medicina, un angolo nascosto che raccontava antiche tradizioni di cura e di sapere. Santa si perse per un momento tra quelle teche, sentendo l’eco di un tempo lontano e il fascino di ciò che l’uomo aveva costruito per alleviare le sofferenze. Mentre usciva, fu urtato da un bambino tarchiato che proseguì senza fermarsi o scusarsi. La sacca cadde e, con essa, anche il leoncino portachiavi e la renna all’uncinetto. Santa borbottò qualcosa, si chinò per raccogliere prima il leoncino, poi, pochi passi oltre, la renna, e infine… urlò, terrorizzato, deluso, disperato: “Noooooo, corpo di mille renne impazzite!” Lo avevano appena derubato della sacca di iuta, della lanterna e di tutto il contenuto che vi era all’interno. Mentre si disperava, gli parve di sentire un bramito intensissimo in lontananza. Pensò di avere le traveggole. Un istante dopo sentì un rumore identico a quello di un grande masso che cade nell’acqua. Resosi conto che la disperazione non avrebbe condotto da nessuna parte, decise di affacciarsi per capire l’accaduto e verificare se qualcuno avesse bisogno di aiuto. Mosso da questi pensieri, si affrettò, ma non abbastanza da poter prestare soccorso: una persona era già stata tratta in salvo. Si trattava, secondo alcuni testimoni della scena, dello scippatore che, approfittando del ragazzino maleducato, aveva sottratto la sacca al malcapitato Santa. Non aveva fatto in tempo a svuotare la refurtiva: una sorta di bestia a quattro zampe lo aveva sollevato e scagliato nel canale. Storia poco plausibile a parte, la sola certezza era che la sacca, contenente i ventiquattro ingredienti della luce, era andata perduta. Inutili si rivelarono i tentativi di recuperarla da parte di alcuni gondolieri di passaggio. Santa espresse loro la sua gratitudine e, poi, camminando nei dintorni, decise di sedersi a bere una tazza di cioccolata calda per corroborare la sua anima, ferita da questo dolore intensissimo che, attanagliandolo, sembrava presagio di una sonora sconfitta. Mentre sorseggiava la cioccolata, Santa alzò lo sguardo verso il cielo, come a cercare conforto. Tra mille luci lontane, una stella sembrava brillare più delle altre, quasi volesse richiamare la sua attenzione. “Forse non tutto è perduto,” pensò, stringendo tra le mani il leoncino e la renna recuperati, ormai carichi di un valore ancora più profondo. Una sensazione inspiegabile lo pervase: un’intuizione che gli suggeriva che la sua missione, per quanto messa alla prova, era tutt’altro che finita.
A domani con un nuovo capitolo!
Ingredienti della Luce raccolti finora: Acqua del fiume Piave, Acqua agrodolce della foce del Sile, fango in scatola, frammento del Ponte del Diavolo, intonaco color cielo, rametto di vitigno, stelo di carciofo, bastoncini di liquirizia amarissimi, piume di gufo, candela consumata, pignette di cipresso, ceneri d legno di tasso, guscio di murice spinoso “garusolo” con ali nere dipinte dal pittore, legno resiliente levigato dal mare, fiore viola selvatico centarurea, rete sgualcita con galleggiante di sughero, cristallo di sale marino, rametto spinoso del roseto, intonaco cuore di melusina in ampolla, rametto di vischio, riccioli di legno piallato, acqua benedetta San Giovanni Elemosinario, francobolllo di Betlemme, chiave di un lucchetto d’amore.
Usa gli hashtag #25IngredientiDellaLuce e #trarealtaesogno per condividere la tua esperienza con il racconto e tagga il profilo @trarealtaesogno: fai parte del viaggio e ispira altri a scoprire la magia di Venezia!
Vivi la magia del Natale a Venezia e scopri i suoi segreti Questo progetto prende vita dalla serie “I Segreti di Venezia”, scoprila cliccando qui, traendone ispirazione per diventare un potente canale di valorizzazione e divulgazione del ricco patrimonio culturale e storico della città lagunare. Con un linguaggio accessibile e coinvolgente, il racconto trasforma ogni pagina in un’esperienza unica, intrecciando storia e magia, e svelando, attraverso la narrazione, alcuni degli affascinanti segreti della serie stessa. Un viaggio emozionante che invita il lettore a scoprire Venezia con occhi nuovi.
Non perdere nemmeno un capitolo! Scopri i 25 capitoli di questa straordinaria avventura, clicca sui link per immergerti in ogni episodio e lasciati conquistare dal fascino unico di Venezia. Segui la storia e condividi l’emozione con amici e familiari: ogni giorno, un nuovo tassello illuminerà il tuo cammino verso il Natale.
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I capitoli e le date di uscita:
01 Dicembre – Santa Maria di Piave
02 Dicembre – Foce del Sile
03 Dicembre – Lio Piccolo
04 Dicembre – Isola di Torcello
05 Dicembre – Isola di Burano
06 Dicembre – Isola di Mazzorbo
07 Dicembre – Isola di Sant’Erasmo
08 Dicembre – Isola delle Vignole
09 Dicembre – Isola della Certosa
10 Dicembre – Isola di San Francesco del Deserto
11 Dicembre – Isola di Poveglia
12 Dicembre – Località Malamocco
13 Dicembre – San Pietro in Volta
14 Dicembre – Pellestrina
15 Dicembre – Cà Roman
16 Dicembre – Chioggia
17 Dicembre – Sottomarina
18 Dicembre – Isola di San Lazzaro degli Armeni
19 Dicembre – Sestiere Castello
20 Dicembre – Isola della Giudecca
21 Dicembre – Sestiere Dorsoduro
22 Dicembre – Sestiere San Polo
23 Dicembre – Sestieri San Polo, San Marco e Castello
Santa era ancora visibilmente emozionato per l’incontro casuale avuto nei pressi del ponte di Rialto, nel sestiere di San Polo. È risaputo, però, per noi che leggiamo e soprattutto per lui, che era il momento di ricominciare. I tempi erano sempre più serrati, e il compimento della sua missione dipendeva da ogni singola azione che avrebbe compiuto di lì in avanti, sommata a tutte le precedenti. Ascoltò il consiglio della giovane artista e, grazie alle precise indicazioni, sapeva che direzione prendere per raggiungere quella magica libreria. Passò di nuovo vicino al Gobbo di Rialto, attraversò il ponte e, una volta sceso, guardò nuovamente le bancarelle che proponevano souvenir di Venezia, prodotti su larga scala chissà dove. Arrivò alla base della statua del Goldoni, un artista eclettico e celebre ben oltre la sua Venezia. Ben pochi sanno che quell’uomo, per sfida nei confronti di un detrattore, scrisse ben sedici commedie in un solo anno. Un artista davvero incredibile. Data l’ora, iniziò a chiedersi se non fosse il momento di fare uno spuntino. Vide, appena all’interno di un porticato, un’insegna verde luminosa che diceva “rosticceria”. Si trovava davanti al Sotoportego de la Bissa, una delle indicazioni che gli erano state date per raggiungere la libreria. Dunque, passò. Il profumo delle pietanze appena fritte e cucinate lo mandò al settimo cielo. Entrò e, come avrebbe fatto un bambino davanti a una pietanza tentatrice, ordinò una mozzarella in carrozza al prosciutto. Dovette pulirsi per bene la barba, perché, dallo stato in cui versava dopo questo spuntino, probabilmente aveva fame anche lei, tante erano le briciole che aveva trattenuto. Calle dopo calle, Santa giunse nei pressi di uno dei più famosi campi di Venezia, quello di Santa Maria Formosa. Sceso dal ponte, venne accolto da una torre campanaria laterale alla chiesa che dava il nome al campo. La particolarità di questo campanile è che il suo varco d’accesso sembrava tutelato da un mascherone mostruoso che faceva da chiave di volta all’arcata che sovrastava la porta. Un guardiano di marmo bianco che doveva spaventare e fare da deterrente verso i malintenzionati.Superata la chiesa, sulla sinistra si apre il vero campo veneziano. Sulla sinistra vi era un’edicola in un box di metallo verde; al centro un ambulante ortofrutta; poco più a destra, una piccola fontana dove un gabbiano si stava abbeverando. Fu facile per Santa identificare quale calle lo avrebbe condotto a questa magica libreria: la pittrice gli aveva detto di imboccare la Calle Longa Santa Maria Formosa. Anche qui vide botteghe tipiche e tradizionali, poi, sulla sinistra, un piccolo spiazzo, un cartello di benvenuto alla “libreria più bella del mondo” e, accanto, un piccolo tavolino poggiato su cavalletti, più lungo che largo, ricolmo di libri e ceste di cartoline antiche. Tra una cesta e l’altra, un gatto rosso faceva le fusa dentro una cestina di vimini. Non resistette: si avvicinò non ai libri, ma al gatto. Prima si fece annusare la mano, con il dorso esposto per dimostrarsi amico; poi, finiti i convenevoli, capì di poterlo accarezzare. Quattro o cinque carezze dopo, il gatto, con una zampata senza unghie, gli fece capire di averne abbastanza. Rise tra sé e sé. All’entrata della libreria vi erano appesi i calendari per l’anno ’21, tutti in tema con libri e gatti. Entrò all’interno e non seppe più dove posare lo sguardo: i libri poggiavano su scaffali, ma anche su carriole e persino dentro vecchie vasche da bagno, quasi tutti ad un’altezza tale che un’eventuale alta marea non potesse causare danni. Numerose erano le persone che costituivano questo viavai di esseri umani, tra il curioso e l’ispirato. Girò a destra d’un tratto e scoprì un angolo intimo di questo luogo magico, in cui, su un’ampia poltrona in legno finalmente imbottita, ci si poteva sedere per assaggiare qualche testo.L’occhio gli cadde leggermente più a destra e, su un classico portone verde veneziano, vi era una scritta elegante e simpatica che riportava in giallo oro il nome di questa attività: “Libreria Acqua Alta”. Appena fuori da quella porta vi era una gondola, attaccata appositamente per permettere ai turisti e agli avventori di osservare il canale da dentro il canale stesso o semplicemente scattarsi delle foto ricordo memorabili. A un certo punto, una turista straniera guardò quel signore dall’aria gentile – Santa, appunto – e gli chiese di farle una foto. Santa eseguì tutto contento, e la turista lo ringraziò per l’opera. A quel punto cambiò stanza, andò in quella accanto e vide che si poteva uscire verso una sorta di piccolo spazio esterno, dove era stata realizzata una scala con libri antichi rovinati. Uno scalino, ma che dico, un libro dopo l’altro: la cultura elevò Santa fino a poter scorgere il canale antistante. In quel momento passò una gondola con dei turisti orientali che godevano del paesaggio e della musica di un fisarmonicista. Scese poi i gradini e tornò all’interno, lasciando un obolo sull’apposita ciotolina che invitava i visitatori ad aiutare, a prescindere da eventuali acquisti, la colonia felina di questa libreria. Appena dentro, alla sua destra vide delle scatole colme di cartoline e foto: tutte in bianco e nero, tutte di epoche remote, e alcune anche viaggiate. Solo in un secondo momento si accorse che, tra quelle scatole, una conteneva un gatto nero di grandi dimensioni, assopito e in cerca di riparo. D’un tratto si destò e cominciò a muovere le zampe anteriori, come a giocare con una delle cartoline presenti all’interno di una scatola vicina. Il gatto miagolò in maniera dolce in direzione di Santa e continuò a giocare con una cartolina in particolare. Dall’atteggiamento, sembrava che il gatto gli stesse sussurrando qualcosa. Santa avvicinò la mano. Il gatto toccò ancora una volta la cartolina, quasi volgendo verso di lui. Santa la raccolse. Il gatto miagolò nuovamente in maniera tenera. Era una cartolina di Betlemme che raffigurava alcuni scorci cittadini e la Basilica della Natività. L’intuito di Santa, dati i precedenti di questa missione, non tardò ad associare l’evento del gatto che giocava con la cartolina a una non casualità. Quel filo rosso, sottile e invisibile, lo stava guidando nei momenti in cui non sapeva come proseguire il suo viaggio e come raccogliere altri ingredienti per la sua missione. Girò la cartolina e trovò una dedica davvero speciale, che recitava così: “Ti mando un caro saluto da questi luoghi Santi. Spero di trovarti bene. Il mio viaggio sta proseguendo benissimo: partire da Roma per andare a Betlemme è stato un viaggio quasi metaforico, a ritroso, dall’Omega all’Alfa delle tradizioni cristiane.” Santa ebbe i brividi. Decise però di non prendere l’intera cartolina: non gli sembrava giusto sacrificare, come ingrediente per la sua missione, un oggetto recante un pensiero così alto. Staccò invece il francobollo, che ritraeva un antico scorcio cittadino di Betlemme. Poi si avvicinò alla cassa della libreria e, salutando la commessa, passò con il braccio sopra un altro gatto che dormiva appollaiato sulla cassa stessa. Allungò il francobollo e chiese quanto doveva. A quel punto si sentì dire: “Buongiorno, ma noi non vendiamo francobolli! Dove lo ha trovato?” E lui: “L’ho trovato presso la cesta delle cartoline” – dicendo una piccola bugia, che in fondo in parte corrispondeva alla verità – “e avrei il piacere di pagarlo quanto lo ritenete opportuno e congruo, perché mi piace e vorrei tanto poterlo tenere.” La commessa capì e, piuttosto che fare questioni su un dettaglio che comunque andava a vantaggio dell’attività, gli fece un prezzo amico, come se avesse suddiviso il valore di una cartolina in parti uguali, fino ad assegnare un valore al francobollo. Santa accarezzò anche il gatto, che si destò di colpo, inaspettatamente colto di sorpresa dalla carezza. Santa uscì. Il flusso di persone stava aumentando, e lui ormai sentiva il ticchettio dell’orologio della sua missione correre sempre più velocemente verso la fine.
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Ingredienti della Luce raccolti finora: Acqua del fiume Piave, Acqua agrodolce della foce del Sile, fango in scatola, frammento del Ponte del Diavolo, intonaco color cielo, rametto di vitigno, stelo di carciofo, bastoncini di liquirizia amarissimi, piume di gufo, candela consumata, pignette di cipresso, ceneri d legno di tasso, guscio di murice spinoso “garusolo” con ali nere dipinte dal pittore, legno resiliente levigato dal mare, fiore viola selvatico centarurea, rete sgualcita con galleggiante di sughero, cristallo di sale marino, rametto spinoso del roseto, intonaco cuore di melusina in ampolla, rametto di vischio, riccioli di legno piallato, acqua benedetta San Giovanni Elemosinario, francobolllo di Betlemme.
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Vivi la magia del Natale a Venezia e scopri i suoi segreti Questo progetto prende vita dalla serie “I Segreti di Venezia”, scoprila cliccando qui, traendone ispirazione per diventare un potente canale di valorizzazione e divulgazione del ricco patrimonio culturale e storico della città lagunare. Con un linguaggio accessibile e coinvolgente, il racconto trasforma ogni pagina in un’esperienza unica, intrecciando storia e magia, e svelando, attraverso la narrazione, alcuni degli affascinanti segreti della serie stessa. Un viaggio emozionante che invita il lettore a scoprire Venezia con occhi nuovi.
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I capitoli e le date di uscita:
01 Dicembre – Santa Maria di Piave
02 Dicembre – Foce del Sile
03 Dicembre – Lio Piccolo
04 Dicembre – Isola di Torcello
05 Dicembre – Isola di Burano
06 Dicembre – Isola di Mazzorbo
07 Dicembre – Isola di Sant’Erasmo
08 Dicembre – Isola delle Vignole
09 Dicembre – Isola della Certosa
10 Dicembre – Isola di San Francesco del Deserto
11 Dicembre – Isola di Poveglia
12 Dicembre – Località Malamocco
13 Dicembre – San Pietro in Volta
14 Dicembre – Pellestrina
15 Dicembre – Cà Roman
16 Dicembre – Chioggia
17 Dicembre – Sottomarina
18 Dicembre – Isola di San Lazzaro degli Armeni
19 Dicembre – Sestiere Castello
20 Dicembre – Isola della Giudecca
21 Dicembre – Sestiere Dorsoduro
22 Dicembre – Sestiere San Polo
23 Dicembre – Sestieri San Polo, San Marco e Castello
Santa seguì i cartelli che indicavano la direzione del ponte dell’Accademia che, una volta attraversato, lo avrebbe condotto nelle vicinanze del ponte di Rialto. Si alternarono calli anguste a calli più ampie. Essendo mattina presto, non vi erano ancora le grandi masse di turisti alla smodata ricerca del selfie prestigioso; vi erano invece visitatori più attenti alla cultura e al tessuto sociale del luogo, che interpretavano la visita della città attraverso la vita dei suoi stessi cittadini, emulandola nei piccoli gesti quotidiani. La cosa bella di Venezia è che, dopo una calle stretta, può spalancarsi uno spazio che dà l’effetto di un Big Bang. Questo è quello che deve aver provato Santa arrivando in prossimità del ponte dell’Accademia, uscendo proprio da una di queste calli più strette. Mosse timidamente i primi passi lungo quel ponte in legno che si tramanda essere provvisorio e che, per svariati motivi, tra cui forse anche la sua autentica bellezza, non è mai stato trasformato da legno in altro materiale. Uno scalino dopo l’altro, Santa arrivò sulla sommità della volta del ponte e, guardandosi a destra, poté mirare da un’altra prospettiva Punta della Dogana baciata dal sole mattutino. Fosse stato un turista normale si sarebbe scattato una foto, ma ciò che in pochi sanno è che la sua memoria è la più persistente di tutte, l’unico modo che aveva per ricordarsi a chi consegnare i regali e a chi il carbone. Impressa quindi questa scena nella sua mente, scese dal ponte e proseguì dritto, attraversando uno dei più ampi campi di Venezia: Campo Santo Stefano. Qui, sulla sobria facciata di una chiesa, Santa rimase ammirato nello scoprire un’iscrizione in marmo che raccontava come Venezia, secoli addietro, si fosse dotata di un corpo atto a tutelare i cittadini dalla pronuncia di blasfemie: gli Esecutori contro la Biastema. Una sorta di collettivo del buon costume. Oltrepassata la chiesa, la calle si strinse di nuovo, come la cruna di un ago, per poi aprirsi in un ampissimo spazio: Campo Sant’Angelo. Da qui si intravedeva una torre campanaria che, nel territorio veneziano, emulava nella sua inclinazione, se non nell’aspetto, quella di Pisa. Santa sentì dei gondolieri cantare in lontananza e, tornando sui suoi passi, si accorse di essersi lasciato alle spalle un piccolo rio che costeggiava la chiesa poco prima ammirata. Notò inoltre che sotto quell’edificio sacro scorreva un canale sotterraneo che sfociava chissà dove: “Ingegnoso e affascinante,” pensò. Proseguì oltre, attraversando due o tre campi veneziani noti e gremiti di persone, fino a giungere in un ampio spiazzo dove si trovava un monumento raffigurante Carlo Goldoni. Capì allora di essere nei pressi del ponte di Rialto. Spinse lo sguardo verso sinistra, seguendo il flusso dei turisti, e vide finalmente il celebre ponte. Avvicinandosi, oltrepassò una serie di bancarelle di ambulanti che vendevano gadget, magliette e cartoline, e raggiunse la struttura. Lo attraversò passando proprio dal centro, osservando le due file di negozi, una a sinistra e una a destra, che da secoli popolavano quell’arcata. Quanti, all’epoca della costruzione, avevano scommesso che il ponte non sarebbe mai stato completato, si erano dovuti ricredere. Ancora oggi, l’opera resiste al tempo, segno della maestria e dell’ingegno di chi l’ha realizzata. Lungo il ponte vi erano negozi di lusso, souvenir e articoli di ogni genere. Ad una prima impressione sembrava però mancare il commercio alimentare, forse perché, al di fuori del ponte, quella zona aveva già molto da offrire. A quel punto, attraversando il ponte, Santa cambiò sestiere e da San Marco passò in quello di San Polo. Sulla sinistra gli cadde l’occhio su un negozio che vendeva accessori e abbigliamento nel perfetto stile del gondoliere. Memore delle sue vogate insieme a Luca, quasi cedette alla tentazione di comprarsi una divisa a ricordo della sua impresa. Ma desistette. Tornò brevemente sui suoi passi ed ecco aprirsi innanzi a lui un’altra lunga schiera di negozi, ancora più lunga di quella del Ponte, tutti identici dall’esterno sotto il porticato. A metà del portico vi era un’uscita a destra e una a sinistra; Santa scelse quella di destra e si ritrovò in una piccola piazza che confinava con una chiesa dall’aria antica. Sulla facciata, quasi interamente di mattoni, spiccava un orologio la cui caratteristica era quella di riportare le ventiquattro ore del giorno al posto delle consuete dodici. Al centro della piazza, una fontanella da cui molti si abbeveravano. Infine, sul lato opposto rispetto alla facciata della chiesa, una sorta di pulpito marmoreo, alto circa un metro da terra, sorretto da una figura raffigurata in ginocchio e sofferente. Era il Gobbo di Rialto, e in passato era il luogo da cui venivano pronunciate condanne o pubblici proclami. Santa si affacciò quindi sul Canal Grande, scoprendo il florido mercato della frutta e verdura e lo storico mercato del pesce. Due ambienti di tradizione millenaria. Tornò indietro e arrivò in una calle ampissima, si chiamava Ruga Vecchia San Giovanni. Intuì che non si trattasse di un apprezzamento estetico, ma di una forma di calle più lunga, ampia e profonda delle altre, una sorta di via principale. La percorse in lungo e in largo, vi erano bar, ristoranti, finché non fu attratto da una libreria che vendeva gadget diversi, T-shirt più moderne e meno stereotipate sulla città, una libreria che si faceva vanto di un pelouche mascotte venduto tra i gadget del suo repertorio. Era un gattino tigrato rosso e dolcissimo vestito da gondoliere, con il classico bavero rosso al collo. Santa non riuscì a resistere. Ne comprò uno particolarmente grande per far compagnia a Rudolf quando avrebbe avuto qualche malanno. Uscì felice come poche volte da quella libreria e il suo volto di colpo divenne come un punto esclamativo. Tra tutti quei negozi, case, vetrine, spiccava sobriamente un breve tunnel, incastonato sulla facciata di un palazzo. Santa, incuriosito dagli affreschi sulla volta, guardò in su e notò una torre campanaria che scendeva fino a farsi parete di un bar. Di colpo esclamò: “C’è una chiesa tra le case!” Si appoggiò curioso al cancello che, aprendosi, gli permise di entrare. Poi spinse un portoncino ligneo ed ecco una chiesa, affascinante nella sua modestia, le candele scosse dall’aria, l’altare e dei fiori profumati. Era dedicata a San Giovanni Elemosinario. Santa vi pregò, decidendo poi di raccogliere con una delle famose ampolle qualche goccia di Acqua Benedetta. Mise tutto nella sacca di iuta e, piano piano, uscì. Si girò a riguardare con stupore l’edificio, la facciata di case, la chiesa occultata di dietro, la porta di accesso al campanile divenuta cabina elettrica: “Corpo di mille renne, stupefacente!” disse. Non si accorse di una giovane che stava giustappunto dipingendo quello scorcio, e urtò la spalla della ragazza fortuitamente, proprio mentre il pennello si staccava dalla tela. “Scusi tanto, giovanotta” disse Santa. La giovane rispose: “Si figuri, vivo qui vicino ed è uno dei miei scorci preferiti, anzi, guardi bene, l’ho raffigurata nell’opera perché è rarissimo che i viandanti e i turisti si accorgano della chiesa. Mi sono permessa di aggiungerla, ritraendola mentre si poggiava al cancello, un momento bellissimo.” E Santa: “Quale meraviglia! Quale talento! Sembra quasi una fotografia, ha catturato l’essenza della mia curiosità. Ma, se lo sa, come mai questa chiesa vive immersa nelle case?” E lei: “Fu progettata così dopo l’incendio del 1514 che distrusse l’Isola di Rialto. Lo Scarpagnino ideò una chiesa rinascimentale integrata nei palazzi, con botteghe davanti per finanziare il suo mantenimento. È un gioiello nascosto, decorato da Tiziano, Palma il Giovane e il Pordenone. La ricostruzione fu completata nel 1531, sotto Andrea Gritti.” “Ingegnoso ed innovativo, un modo di trasformare una tragedia in opportunità, ma quanto avanti erano i veneziani?!” E la giovane: “Anni luce, anni luce.” E aggiunse: “Sa, vedo che ha delle crocchette che sbucano dal taschino. Se vuole scoprire ancora un ambiente unicamente autentico e ama i gatti, vada alla Libreria Acqua Alta, non se ne pentirà.” Santa la ringraziò con un inchino, poi tergiversò guardandola felice ed estrasse una cosa che le diede: “Oh, grazie! Non fosse per la barba corta penserei fosse Babbo Natale! Questo taccuino è pazzesco! La copertina nera è super elegante, e la carta è perfetta per acquerelli e schizzi d’arte. È proprio quello che mi serviva per i miei disegni, lei è un mito! Mi sento obbligata nei suoi confronti, tenga!” E con le sue mani pallide dal freddo, dopo aver frugato in una bisaccia, tirò fuori una renna fatta all’uncinetto, che portava un collarino con scritto Rudolf. Santa accettò e abbracciò la ragazza, come se quel piccolo gesto fosse il dono più prezioso ricevuto in quel gelido viaggio. La ragazza sorrise, stringendo tra le dita il suo nuovo taccuino, già immaginando i disegni che avrebbe riempito quelle pagine di carta pregiata. Santa si allontanò lentamente, gongolando, il volto illuminato da un’espressione serena, mentre la renna di lana ondeggiava lieve nella sua mano.E per un attimo, tra i fiocchi di neve che cominciavano a cadere, sembrò che il mondo intero si fermasse a contemplare insieme a lui quella semplice magia che sprigionava quel pupazzetto, che pareva in grado di alimentare tutte le speranze per la missione in corso.
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18 Dicembre – Isola di San Lazzaro degli Armeni
19 Dicembre – Sestiere Castello
20 Dicembre – Isola della Giudecca
21 Dicembre – Sestiere Dorsoduro
22 Dicembre – Sestiere San Polo
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