“Chi ha rapito Santa Claus?” 11 Dicembre – Il primo Luminæon

"Chi ha rapito Santa Claus?" - cover by Trarealtaesogno

11 Dicembre – Il primo Luminæon

il primo Luminæon

Un rumore fragoroso di oggetti caduti a terra, tipo lamiera, risvegliò l’intero convento anzitempo. I frati, Rudolf, Artemisia si affacciarono al corridoio, confusi e ancora assonnati. Il silenzio appena rotto era tornato a regnare, fino a quando non si affacciò una silhouette familiare ai nostri. Con un piede incastrato in un secchiello ed uno scopettone tra le mani apparve Krampus. Rudolf notò un dettaglio in più, aveva anche un piede impigliato nella coperta che, avviluppata al braccio di una sedia, la trascinava. Krampus guardò tutti quasi sollevato per la compagnia trovata in corridoio e disse: “Beh, mi sarei scusato, ma trovandovi già tutti qui svegli mi sento sollevato. Ci vediamo dopo per la colazione” fu così che quella creatura ombrosa tornò a chiudersi nella stanza, trascinando la coperta con un piede e producendo un suono metallico col secchiello ad ogni passo del piede destro. Rudolf trattenne a malapena le risate per quanto appena visto, Artemisia lo percepì, contagiata e si coprì la bocca con una mano. La goffaggine di Krampus era amplificata dal convento ed era totale, ma nonostante i disastri c’era qualcosa di irresistibilmente empatico: Krampus sembrava davvero voler “fare le cose per bene e a fin di bene”, non pareva voler svegliare tutti o creare caos, eppure ogni movimento sembrava ritorcerglisi contro, trasformando ogni buona intenzione in un piccolo disastro comico, un passo sul filo del rasoio. I frati, ormai svegli, si limitarono a sorridere con pazienza invocando la virtù della pazienza e quella del perdono, probabilmente abituati alle stravaganze portate dai viandanti. Il risveglio non tardò ad arrivare per tutti, dopo una colazione semplice insieme a tutti i Frati a base di cereali, latte e caffè Luca si staccò dai suoi confratelli e li guidò alla scoperta di quest’oasi di pace. Arrivarono agli orti, Artemisia ed Elio andarono a sentire i profumi che si sprigionavano dal rosmarino, dalla salvia, dal timo, dal prezzemolo e dall’alloro. Krampus si avvicinò ai cipressi e Rudolf si avvicinò a Luca che, percependolo gli disse: “Fratello, ho colto due cose in te ieri, la prima quando parlai del viandante di un anno fa, hai sentito una scossa nel tuo essere; la seconda è che hai un senso nell’anima, forse del senso di colpa. Cosa ti lega a lui? Sai come sta? Fu una presenza davvero luminosa nella mia vita in quei giorni in cui condividemmo spazi, paesaggi e vita. Ho percepito che il suo ruolo nel Mondo aveva una rilevanza che mi bastava percepire senza svelarla del tutto, un’anima bella” Rudolf si sentì travolto da mille emozioni, avrebbe voluto proprio scavare nel rapporto tra Luca e Santa, ma la porta che credeva chiusa gli si era spalancata innanzi, prese fiato, si fece forza e controllando la distanza degli altri disse: “Luca, in virtù della persona che penso tu possa essere e di questa impronta luminosa che lui ha lasciato nella tua vita ti rivelo che lo stiamo cercando, non so se tu abbia capito chi sia, ma temiamo sia in pericolo, che possa essere stato rapito”. Luca si dimostrò preoccupato e, seppur in silenzio, diede a capire di volerne sapere di più, così Rudolf: “Il 25 dicembre compì un’opera fondamentale proprio a Venezia. Ci riunimmo poco prima, ma, una volta compiuta la missione, sparì… rapito, in una calle nei pressi di Campo Santi Giovanni e Paolo. Raccontarlo ora faceva stringere il cuore a Rudolf: sentiva un nodo in gola, un misto di ansia e impotenza. Lo abbiamo capito solo quest’anno, seguendo una serie di indizi che, in parte, lui stesso ci aveva lasciato”. Il frate guardò con occhi commossi e tristi Rudolf e sussurrò una frase che lo colse inaspettato: “Oh Signore, chi ha osato rapire colui che porta gioia a tutti, specialmente ai bambini?”. Rudolf fece fatica a restare in piedi. Non poteva urlarlo ai quattro venti, così sussurrò animosamente: “Ma… ma tu l’hai riconosciuto davvero?” e lui annuendo lievemente e con lo sguardo velato di affetto e rispetto. “Sì, dal primo istante… e posso giurare che la sua luce era vera. Ma il mondo, a volte, non comprende ciò che incontra e se lo lascia scappare, pur serbandolo tra le mani. Ora seguimi Rudolf, lasciamo gli altri tra aromi e cipressi, voglio mostrarti una cosa e penso tu possa essere la persona giusta per capirla”. Camminarono fino alle celle dei frati del convento, Luca aprì la porta della sua stanza e invitò Rudolf ad accomodarsi su una sedia, la stanza era spoglia, un’effige di San Francesco alla parete, un tavolino, due sedie di cui una offerta all’ospite, il letto e uno scrittoio vicino alla finestra. Il frate si avvicinò allo scrittoio, ne aprì un cassetto e ne trasse fuori un sacchetto color panna che sembrava contenere qualcosa. Lo posò sul tavolo e disse a Rudolf: “Vediamo se tu sai dirmi cosa sia questa cosa che lui lasciò nel cassetto della stanza che gli fu concessa”. Rudolf mise le mani a scodella, Luca rovesciò il sacchetto affinchè l’oggetto ne uscisse e, quando lo fece, l’espressione di Rudolf si fece esterefatta al punto da dire: “Ma questo è… questo è…” e Luca: “Io l’ho chiamato Luminæon… e credo che il destino abbia scelto te per questo. Tu sei colui che deve comprenderlo, un anno dopo che mi è stato lasciato”. A quel punto Rudolf non poté che estrarre la sacca contenente gli Umbræon raccolti fino ad allora appoggiandoli vicino alla sfera chiara e luminescente estratta da Luca. I due guardarono quelle sfere con aria inerrogativa finchè non fecero un balzo all’indietro quando, per un istante, la bianca fino ad allora luminosa e calda con una luce dorata e vibrante e le sfere oscure, nere e profonde con riflessi viola e blu, divennero grigio scuro. Luca e Rudolf si guardarono e giunsero alla medesima risposta dicendo quasi in coro: “La luce ha sempre un potere superiore a quello delle tenebre”. Il frate affidò il sacchetto di velluto panna a Rudolf e gli disse: “Ora andiamo dagli altri, penso tu gli debba delle spiegazioni alla luce di questa notizia”. Rudolf annuì e tornarono fuori negli orti. Artemisia, Elio e Krampus gli si fecero incontro e quest’ultimo disse: “Ma dove eravate finiti?” e Rudolf: “Luca mi ha rivelato un segreto che nessuno di noi avrebbe mai immaginato, Santa ha lasciato una traccia un anno fa passando di qui, un Luminæon” e Artemisia: “Un cosa?” e Rudolf: “Artemisia, metti le mani a scodella” fu così che adagiò la sfera tra le mani di lei che disse: “posso percepire la luce di cui è composto”. Krampus fece un passo avanti, avvicinò la mano alla sfera chiara che si illuminò ancora di più, ma proseguì la sua giornata all’insegna della goffaggine e, inciampando su una radice, dovette badare a mantenere l’equilibrio. Poi disse: “Facciamo che la tocco un altro giorno, oggi rischierei di romperla”. Risero tutti, lui compreso, che però vicino a quella sfera sembrava aver perso quella luce che lo aveva contraddistinto fino a poco prima. Luca prese la parola: “Rudolf mi ha spiegato mentre arrivavamo cosa state facendo e dunque son qui ad offrirvi il mio aiuto e un passaggio in barca se vi può essere d’aiuto”. Rudolf: “Accettiamo volentieri, così ripassiamo da casa di Artemisia e, se ti fa piacere, potrai passare la giornata con noi, aiutandoci in parte di questa ricerca”. Luca sorrise, quasi commosso, all’idea di poter restituire in piccola parte la luce che Santa gli aveva regalato giusto un anno prima attraverso questo piccolo contributo ai suoi amici. Giunti all’imbarcazione e saliti a bordo Artemisia, con Elio in braccio fu aiutata ad imbarcarsi e, presa posizione a poppa disse: “Come si chiama questo tipo di barca? È originaria del posto?” chiese mentre sfiorava con la mano il bordo lucido del legno. Luca sorrise con quel suo modo quieto, quasi a voler accarezzare l’aria.  “È una Sanpierota” spiegò. “Un tipo di barca storica della Laguna sud di Venezia. Era usata per la pesca e per i piccoli trasporti tra le isole. La mia famiglia l’ha sempre custodita con cura, e quando sono entrato nel convento ho chiesto il permesso di portarla con me. Essendo un dono di famiglia, me l’hanno lasciata tenere… e ora è a disposizione di tutti i frati, a differenza di un anno fa ora ha un motore elettrico e la possibilità di andare a vela” Passò una mano sulle vele arrotolate, come se leggesse una storia.  “Le vele, invece, sono speciali. Le ha acquistate e dipinte mio nonno. Ogni colore e ogni simbolo sulla vela ha un significato: qui manteniamo questa tradizione da generazioni. Un richiamo ai colori del Vaticano e a San Pietro, che per la mia famiglia ha sempre avuto un’importanza particolare.” Poi aggiunse, con un tono più dolce: “Sono originario di San Pietro in Volta, un piccolo borgo lagunare poco più a sud. È un posto semplice, ma pieno di storie e affascinante. Ogni volta che apro queste vele… è un po’ come far respirare la memoria di casa.” La poesia travolse tutti, tranne Krampus che pareva volersene stare in silenzio ed in disparte, nessuno però lo voleva turbare e dunque lo lasciarono crogiolarsi in attesa di capire se avessero potuto aiutarlo in qualche modo. Rudolf chiese a Luca: “Non potendo attraccare all’ospedale da dove pensi di farci scendere?” E lui: “Fidatevi di me, vi stupirò”. La laguna, un’onda dopo l’altra dipanava la sua poesia, nessun temporale o burrasca, solo silenzi, gabbiani e quiete. Costeggiarono il lato est di Murano, poi quello dell’Isola di San Michele, cimitero cittadino, infine anzichè accostare in zona Ospedale Civile, Luca puntò dritto verso un canale che pareva spalancarsi sul fianco di Venezia, lo annunciò così: “Eccoci nel Rio di Santa Giustina, preparatevi ad ammirare una Venezia intima e vera, aiutatemi a smontare l’albero e ad ammainare la vela, così da passare sotto ai ponti, da lì prenderemo il Rio de San Giovanni Laterano e sbarcheremo proprio davanti a Palazzo Tetta giusto a due minuti da casa di Artemisia”. Mentre la Sanpierota scivolava silenziosa nel Rio di Santa Giustina, nessuno parlava: ognuno custodiva dentro di sé il peso e la luce di ciò che avevano appena scoperto. Il Luminæon, avvolto nel sacchetto panna, sembrava pulsare come un cuore in attesa. E, senza dirlo ad alta voce, tutti capirono che la ricerca era solo all’inizio.

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“Chi ha rapito Santa Claus?” 10 Dicembre – la burrasca

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10 Dicembre – la burrasca

un vaporetto in balia della burrasca

Arrivarono all’attracco ligneo da cui erano arrivati, il vento proveniente da nord-est, probabilmente di Bora, soffiava con un’intensità che trasformava le onde lagunari in schiaffi che si abbattevano senza particolare pietà sulle rive di Torcello. Il cielo plumbeo, riecheggiar di tuoni. L’arrivo del vaporetto, che ballava sopra le acque agitate, fu accolto come un trionfo. Salirono a bordo, loro tre soli, nessun altro pareva voler abbandonare l’isola nonostante il tempaccio incombente. Si chiusero nella cabina passeggeri, sedendosi vis a vis sulle sedute tipiche di quei mezzi. Dalle porte lignee vetrate a battente che separavano la parte esterna coperta da quella con le sedute Rudolf intravide i due marinai parlare animatamente, non era chiaro il contendere, ma discutevano in maniera tosta e forte. Non era chiaro chi avesse prevalso e su cosa, ma il mezzo partì alla volta di Burano, fortunatamente non sarebbe servito un cambio di mezzo stavolta, sarebbe andato dritto fino alle Fondamente Nove. Le onde della laguna non erano da meno rispetto a quelle del mare. Il natante beccheggiava ampiamente e sembrava perfettamente a suo agio, anche grazie al capitano che conduceva con maestria il mezzo in acque agitate. Artemisia si fece improvvisamente seria, con lei, medesima maniera, anche Elio. Rudolf con Krampus, che di tutti era l’unico divertito, non fecero in tempo a dire nulla che inizió a suonare una campanella. Uno dei due marinai si affacciò, con il volto apparecchiato dal terrore, lì dov’erano seduti e disse: “Avaria! Restate seduti per favore signori! Tassativo”. Artemisia si aggrappò con una mano alla seduta e con una trasse stretto a sè Elio, Rudolf si cominciò a guardare intorno nervosamente, conscio di saper combattere le nevi ma, molto meno, le acque. Krampus, inultile sottolinearlo, la sua natura ombrosa usciva esaltata dalle situazioni in cui si respira terrore e, dunque, qui ci sguazzava allegramente senza pensieri, apparentemente. Ad un tratto, il solito volto oscuro apparve su un vetro, solo Krampus lo vide, ma contemporaneamente dovette agire dicendo: “Chiudete. Subito. Gli occhi!” gli altri ubbidirono atterriti e: “Clang sbroosh!” un’onda si abbatté sul fianco del vaporetto facendolo oscillare. E poi ancora e ancora, finchè non si ruppe un vetro, lontano da tutti, ma causando l’ingresso dell’acqua a bordo dell’area passeggeri. I due marinai erano chiusi nella cabina di comando, la debacle del motore non li aveva fatti scoraggiare. Sfruttando l’inerzia e la spinta delle onde sembravano avere un piano d’azione preciso. I minuti scorrevano interminabili e la corrente, il vento e le onde, d’un tratto, sembravano aver rinunciato ad esagerare. Il vento mutò forma e direzione, da bora parve diventare maestrale ed il cielo, ancora plumbeo, sembrava aver fatto pace con qualcuno. Il marinaio tornò ad affacciarsi e disse: “Rieccoci, spero non abbiate dovuto patire eccessivamente – Krampus rideva mentre gli altri erano un po’ nauseati – sappiate che l’avaria non ha trovato soluzione, il motore anche ora non vuole saperne di ripartire, ma se il vento non muta repentinamente potremmo godere di un rifugio sicuro in attesa di un mezzo sostitutivo”. La fortuna parve non voler lasciar cadere disattesa questa mezza promessa, il vaporetto veleggiò dunque fino ad un’isola di cui spiccava lo stile semplice, ricco di verde ed un campanile. Rudolf uscì dalla cabina aprendo le due porte a battente e, incrociando lo sguardo del marinaio disse: “Affascinante, come si chiama quest’isola?” il marinaio stava per parlare quando accorse Artemisia che disse: “San Francesco del deserto!” Il marinaio non credeva a quanto aveva appena sentito, Rudolf nemmeno e disse: “Ma… Ma… Artemisia, come hai fatto? Eravamo alla deriva, nessun punto di riferimento o suono… non capisco” e lei mentre si avvicinava anche Krampus, finalmente serio come suo uso comune: “Ho usato l’olfatto, nell’aria c’è il tipico odore forte e resinoso delle fronde dei cipressi scosse dopo un temporale”. Attraccarono e, incredibilmente un frate era già lì, circa trent’anni, capelli scuri e corti, figura smilza e un viso dai lineamenti gentili, il tutto adornato dalla tipica barba fratina: “Ben arrivati viandanti, io sono Luca e sono onorato di offrirvi ristoro e rifugio dopo questa disavventura”. I Marinai sorrisero, Rudolf ebbe un brivido fortissimo nelle ossa al sentire questo nome, ma non capì perchè fino a quando Luca non aggiunse: “Dicembre, specie nella sua prima decina, riserva sempre incontri sorprendenti alla vita di questa comunità, Nostro Signore giusto un anno fa mi fece incontrare un vecchio gentile a cui Fratello Enrico l’anno scorso, mentre gli davamo ospitalità, aveva involontariamente sottratto una sacca rabberciata…”. Una saetta attraversò la mente di Rudolf che bisbigliò tra sè e sè, percepito da Artemisia: “Santa passò di qui, conobbe Luca, che strano il destino”. Un segnale acustico interruppe il corso delle cose: un nuovo vaporetto, chiamato in soccorso dai marinai, spuntava all’orizzonte. Luca guardò tutti e disse: “ora avete un’opportunità unica, una mano invisibile vi ha condotto qui, potete voltarvi e tornare indietro o abbandonare per una notte le vostre vite e stare con noi fino a domani in questo luogo di fede e natura che altro non potrà che rigenerarvi”. I marinai ringraziarono, ma spiegarono che le rispettive famiglie sarebbero state in pensiero dato che uno aveva perso il cellulare in acqua e all’altro si era rotto, dunque optarono per il rientro. A Rudolf invece l’idea piacque tantissimo, toccò la spalla di Artemisia che annuì col capo, Elio fece le fusa e Krampus altro non potè che accettare: “Sì, Luca, noi accettiamo”. Luca li accompagnò alla soglia, alla cui sommità vi era una lapide marmorea in latino che diceva letteralmente “Beata solitudine, sola beatitudine” in pratica nell’isolamento si scopre la tranquillità. Krampus leggendola bofonchiò e passò oltre, poco dopo il gruppo incrociò un frate anziano che squadrando Krampus disse: “Figliolo, qui la tempesta si placa, non alimentarla dentro di te, godi della quiete, non è un lusso”. L’effetto sortito però fu di senso opposto, lungo il corridoio Krampus, come un bambino capriccioso, si lasciò andare di nascosto non riuscendo a stare composto, grattandosi di continuo la nuca per il troppo silenzio, borbottando al cantare dei frati e sussurando parole incomprensibili a tutte le statue che incrociava. Quel luogo era la nemesi di Krampus, era palese in ogni suo movimento. Arrivarono alle stanze, il destino beffardo colpì Krampus che si vide attribuire la “Stanza della quiete”, borbottò un grazie e vi entrò senza troppe domande auspicando l’arrivo dell’alba seguente. Artemisia ed Elio vennero fatti avvicinare alla “Stanza della pace”, Rudolf a quella del “Viandante”. Luca ricordò loro prima che vi entrassero che alla settima campana avrebbero potuto unirsi al parco desco dei frati per cibarsi. Artemisia, Elio e Rudolf nelle rispettive stanze, poco essersi accomodati, cominciarono a percepire un persistente tintinnio all’apparenza inspiegabile. Di certo data l’ora non era ancora il momento della cena. Krampus mal tollerava quell’eterno silenzio presente nell’isola. La stanza era semplice: un letto in legno, un crocifisso, un piccolo scrittoio e, accanto alla porta, una campanella d’ottone lucida come se qualcuno l’avesse appena strofinata. Krampus la notò immediatamente. La scrutò da vicino, poi la sfiorò con un’unghia. Dling. Si fermò, soddisfatto del suono. La fece vibrare di nuovo, più convinto. Dling-dling. Tanto bastò perché si affacciasse nel corridoio un giovane frate di passaggio, che bussò e con un sorriso mite e paziente: “Fratello… è tutto a posto?” chiese con la naturalezza di chi ha visto di peggio nelle giornate di tempesta. Krampus spalancò gli occhi in una finta innocenza quasi teatrale. “Oh, sì, sì. Solo… un controllo tecnico in caso di pericolo.” Il frate annuì, abituato a ogni genere di stranezza portata dai viandanti, e si allontanò senza ulteriori domande. Krampus chiuse la porta e rimase solo. Guardò la campanella. La campanella, ne era certo, guardò lui. Dling. Un altro colpo. Dling-dling. Pochi istanti e il frate ricomparve, con lo stesso sorriso e una calma disarmante: “Forse è meglio se la custodisco io, almeno fino a cena, mi sembri un tipo smargiasso tu.” Senza aspettare risposta, prese la campanella con un gesto fluido e si allontanò nel corridoio. Krampus rimase immobile, offeso nell’orgoglio, e sbuffò mentre lasciandosi cadere sul letto. “Silenzio… sempre silenzio. Ma chi l’ha inventato?” brontolò, convinto che anche le pareti avessero sentito. Solo allora il convento tornò quieto, come se l’isola avesse tirato un sospiro di sollievo. Non era ancora il momento della cena, ma presto i sette rintocchi annunceranno il pasto. Arrivò il momento ed uscirono tutti dalla stanza tranne Krampus, Rudolf bussò e si sentì rispondere piccatamente: “Stavolta non ho suonato io” e lui: “Ma no Krampus, non fare il difficile, vieni a mangiare con noi”. I frati si guardavano intorno, uno degli ospiti stava destando più scalpore del consueto, a dire il vero non si sottraeva al rendersi commentabile ed apostrofabile nemmeno lì al desco serale. Krampus, capito d’esser seme del dissidio una volta giunto il momento di abbandonare la sala del refettorio si girò verso tutti i presenti, fece un ampio cerchio con le braccia e le mani nell’aria e poi, appaprecchiando il suo volto con un’aria serissima, al limite del comico, chinandosi, si voltò e se ne andò. Strada facendo, lungo il corridoio, vide un’altra campanellina, se la mise in tasca e tirò dritto in silenzio, convinto gli sarebbe potuta servire durante la notte. Luca fece capolino per raccomandare il silenzio ai nostri viandanti. Rudolf e Artemisia si avvicinarono alle rispettive finestre per chiudere i balconi, il primo ne approfittò per ammirare il cielo, finalmente trapunto di stelle. La seconda, volgendo l’orecchio destro nella medesima direzione dello sguardo di Rudolf, così da raccogliere il suono della quiete che riusciva a dipingere nella sua mente la bellezza di ciò che poteva vedere solo attraverso il sentire.

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“Chi ha rapito Santa Claus?” 9 Dicembre – Torcello

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9 Dicembre – Torcello

un marinaio solitario sul ponte del diavolo

Krampus dormiva in piedi, come sempre, poggiato contro il muro. Elio, invece, aveva scelto le gambe di Rudolf; l’unica veramente serena era Artemisia che, dall’inizio di questa avventura, non aveva mai dovuto rinunciare al suo comodo giaciglio. La sua stanza era un rifugio silenzioso, modellato per essere ascoltato e toccato più che guardato. L’elemento che dominava lo spazio era una grande mappa tattile della laguna, modificata da lei con cura, che copriva completamente un’ampia finestra chiusa. Ogni luogo era riconoscibile grazie a un segno unico che ne richiamava la sua caratteristica principale. Accanto alla mappa, piccoli perni metallici e fili intrecciati correvano come sentieri invisibili, creando un reticolo che solo lei sapeva leggere: il suo modo per ricordare distanze, direzioni e punti di riferimento. Il resto della stanza seguiva la stessa logica: cassetti numerati in rilievo, un tavolo in cui ogni oggetto occupava un cerchio perfettamente definito, e una lampada che diffondeva un profumo di iris, utile a orientarla nello spazio grazie all’intensità dell’aroma. Era un ambiente che non chiedeva di essere visto; era un luogo che si lasciava comprendere con il tatto, con l’olfatto, con i sensi — proprio come faceva lei. Appena sveglia si avvicinò alla mappa e, con movimenti sicuri, aggiunse alcuni puntelli per segnare i luoghi raggiunti che avevano determinato una svolta e quelli che non avevano rispettato le aspettative. Finita la sua opera si spostó verso l’uscio accostato della sua stanza, tese l’orecchio e sentì che gli altri erano ancora assopiti. La portà peró, appena sfiorata, cigoló intensamente. Krampus spalancó gli occhi, Rudolf mugugnó stiracchiandosi insieme ad Elio. Lei, consapevole di averli destati, completó il loro risveglio aprendo del tutto la porta che fece questo suono: “Crrr… ciiig… kreeek…”. Krampus: “Non so se tu lo abbia fatto apposta, ma così fosse sei riuscita nell’intento di svegliarci” e lei: “No, assolutamente, ma considera che se io mettessi l’olio sulle giunture della porta poi non vedrei se ne fosse caduto e richierei di farmi molto male”. Krampus allora più deciso: “Passami l’olio, ci penso io”. Fu così che il severo Krampus con una dovizia senza eguali lubrificó i cardini della porta e, provandola, non emise più suono alcuno: “Ecco fatto!” E Artemisia: “ma grazie, davvero, lo apprezzo tantissimo”. Nel frattempo Rudolf aveva aperto il libro dei frammenti di tenebra, in silenzo stava decifrando il nuovo enigma. Ciò che colpì gli altri fu un dettaglio: in una ciotola di legno Rudolf aveva raccolto tutti gli Umbræon, quattro, trovati finora. Sfogliava il capitolo odierno, e ogni tanto li osservava come se potessero suggerirgli indizi utili alla decifrazione. Ad un certo punto, con gli altri che lo fissavano da minuti, Elio compreso, disse: “Ci sono! Oggi l’enigma è più lungo, ma vediamo di capire dove ci condurrà” e gli altri: “Dai, dai, dicci!” e lui: “Andate tra acqua e cielo, nell’isola dove su pietra giace il sovrano e.. gettate la rete!” e Artemisia: “Torcello! Torcello! Torcello!”. Krampus la guardò di sbieco, Rudolf sorrise, Elio scappò. Il viaggio sarebbe stato lungo, ma i nostri erano pronti ad accettare la sfida. Usciti di casa costeggiarono la Basilica dei Santi Giovanni e Paolo ed il monumento a Bartolomeo Colleoni. Arrivarono rapidamente alle Fondamente Nove e, dopo una breve coda si imbarcarono sul vaporetto che, con cambio a Burano, li avrebbe condotti fino a Torcello. Lungo il tragitto un rudere su di un isolotto, nei pressi di Burano, colpì l’attenzione di tutti e Artemisia disse: “Si tratta della Madonna del Monte, isolotto che un tempo ospitava una chiesa, poi una polveriera ed infine un rudere vinto dalle robinie”. Sbarcati a Burano per un rapido cambio di linea nautica si guardarono intorno e, avendo sbagliato a scendere, capirono di dover attraversare l’isola per raggiungere la fermata giusta per andare a Torcello. Fu così che intravidero parte delle coloratissime case dell’isola, azzurre, gialle, verdi, fucsia. Di ogni sfumatura immaginabile. Una volta ripartiti la traversata fu rapidissima, poco distante prima dell’attracco fece capolino la fermata del vaporetto, unica nel suo genere in quanto interamente realizzata e rivestita da perline di legno. Una volta lì solo un sentiero conduceva al fulcro del borgo e, dunque, si incamminarono. Costeggiarono il Ponte del Diavolo e, Krampus si staccò dal gruppo, andò a sfiorarlo, toccandone tante delle sue pietre. Artemisia: “Krampus, dai torna qua, l’indizio parlava di un trono che ben conosciamo, non di un ponte riferibile al re degli inferi” e lui “Ok, scusate, ma volevo essere sicuro di non tralasciare nulla, capisco la vostra obiezione, ma non si sa mai”. Dopo pochi istanti giunsero alla piccola darsena e, poco oltre, videro le due chiese, Santa Fosca e Santa Maria Assunta. Krampus vide il trono di Attila, staccò gli altri e corse a sedersi, anche prima di una turista giapponese che bramava la sua foto ricordo. Krampus col suo bastone con la stella di ghiaccio aveva un’espressione ed un portamento davvero regali, si fece serio e disse: “Vi confesso una cosa, qui il male, nella forma di Attila, non si è mai seduto, confermo siano solo dicerie, non sento la sua energia qui” la turista giapponese parve capirlo e si voltò, andandosene. Prima però che gli altri potessero parlare una voce vicina ma fuori campo li interruppe: “Ah, un invasore… ricordo bene quel giorno di un anno fa quando parlai con un altro forestiero che, come voi, anzichè rifuggire un vecchio marinaio, lo ascoltò” disse con la voce calma ed incisiva. Krampus strizzò appena gli occhi, sospettoso. Oreste continuò guardandolo e muovendosi a passo lento verso il bordo del trono: “Sai… ci sono posti che sono occupati anche quando sono liberi, perchè in realtà… aspettano solo il loro legittimo padrone. Io e non l’impostore.” Il silenzio calò per un istante: persino il vento tra le canne della laguna sembrava trattenere il respiro. Poi Oreste scoppiò in una risata, batté una mano sul braccio di Krampus e lo indicò con un sorriso: “Sto scherzando, vecchio mio! Non tocco nulla, il trono è tuo se lo vuoi… per oggi almeno!” Krampus inspirò, metà sollevato e metà sconvolto, mentre Oreste si allontanava com’era venuto per poi comparire di nuovo con un gesto teatrale, come a dire che il gioco era nelle sue mani e, fissando Rudolf, disse: “Tu, si tu, profumi come quel tizio dell’anno scorso che mi scattò una foto” la tirò fuori dal taschino e la sventolò davanti al suo naso “Eccola qua, bella vero?” Rudolf la fissò, intensamente, quel formato lo usava solo una persona in tutto il pianeta, Santa! Così chiese di poterla guardare meglio e, oltre a Oreste, notò che la foto faceva vedere anche un dettaglio del muro alla destra del trono, una sorta di piccola zona d’ombra luccicante che incuriosì Rudolf e gli parve familiare. Restituì la foto e, lasciando gli altri lì con il marinaio, corse verso il muro ove erano appese tutta una serie di lapidi marmoree. Oreste: “Ragazzi, questo è strambo come quello dell’anno scorso, fa sempre così?” Annuirono tutti per ridere, mentre Rudolf infilò una mano nella fessura del muro che lo aveva attirato in foto, fu lì che, incredibilmente, scoprì l’Umbræon che erano venuti a cercare. Lo agitò nell’aria, ebbro di felicità e, contemporaneamente, preoccupato del fatto che in qualche modo Santa avesse lasciato con almeno un anno di anticipo una traccia di questo artefatto che, alla luce dei fatti, lanciava un alone di mistero ancora più fitto sulla vicenda. Un tuono, potentissimo risuonò nell’aria, Oreste decise di dire la sua: “State all’occhio ragazzi, specialmente con la laguna… quando il cielo si fa pesante, il vento parla chiaro. Krampus, dovrai tenerti saldo, e tu Rudolf, prepara mente e cuore: la burrasca non tarda a bussare alle porte del mondo, e chi non sa piegarsi al suo ritmo rischia di cadere in mare aperto, soprattutto quando alla tempesta di fuori unisce quella che ha dentro.” Rudolf rimase sbigottito, Artemisia gli fece una carezza sul capo e, dopo il secondo veemente tuono salutarono velocemente Oreste e corsero verso l’attracco del vaporetto per provare la traversata verso casa. 

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“Chi ha rapito Santa Claus?” 8 Dicembre – Il Museo del Profumo

"Chi ha rapito Santa Claus?" - cover by Trarealtaesogno

8 Dicembre – Il Museo del Profumo

l'interno della casa di artemisia, la boule dei biscotti e il tavolo della colazione

Appena entrati in quel museo che, oltre alla storia dei profumi nei secoli, ospitava anche una ricca esposizione del tessuto e del costume d’epoca, Rudolf rimase stupefatto dall’eleganza dell’atrio che li stava accogliendo all’interno. Le pareti erano dipinte di un rosa antico e denso, il soffitto travato a vista e infine il pavimento era una scacchiera che alternava marmi bianco caldo ad altri Rosso Verona. Un’elegante scalinata conduceva al piano superiore dove, dopo la prima meraviglia, il gruppo fu colpito nuovamente da un salone ancora più nobile, dal soffitto travato in maniera ancora più ricca e dalle pareti adornate con intarsi ed opere pittoriche di assoluto pregio. I lampadari poi, avrebbero illuminato anche da spenti data la loro bellezza. Il salone si sviluppava in lunghezza, con una luminosa vetrata sul fondo e, nel mezzo, una longitudinale esposizione di profumi d’ogni epoca. Vi erano l’antico Egitto e l’antica Roma, così come ogni altra epoca, dalla più remota alla più recente. Il gruppo girò stand dopo stand tutta l’esposizione, soffermandosi ad annusare dove possibile ed evitando di toccare ove vietato. Artemisia era quasi ebbra di tutte quelle sensazioni che le stavano facendo ballare le narici. Krampus passò minuti interminabili a guardare alcuni profumi dal titolo quanto mai nefasto: “Memento mori” sussurrò leggendo la targa descrittiva e sorridendo compiaciuto a quel malevolo promemoria mentre guardava Rudolf che, nel frattempo, era dalla parte opposta, attirato da un profumo che gli sembrava familiare, senza riuscire a definire un perchè… semplicemente in cuor suo continuava a ripetere questa frase: “..il profumo di un fiocco che cade sulla neve fresca..”. Girarono in lungo e in largo quella sala, soffermandosi chi sui riflessi e chi sulle ombre. Artemisia tracciava gesti nell’aria con le mani come se i suoi polpastrelli fossero radar di flussi emotivi invisibili agli altri o addirittura stessero trascrivendo parole che lei sentiva dentro. Ad un certo punto furono vicini, Rudolf disse: “Io non ho trovato o percepito nulla”, Krampus lo stesso, Artemisia: “Ma Elio dov’è? Non lo sento vicino!” e Rudolf: “Non è qui in effetti, andiamo a cercarlo”. Abbandonarono così insieme la sala con tutti i profumi ripercorrendo dunque le stanze limitrofe, antiche essenze, alambicchi e tomi, sale da pranzo allestite da tempo immemore. Di Elio nessuna traccia. Rimaneva un ultimo corridoio e, una volta percorso giunsero in una stanza che prima nessuno aveva visitato, nessuno tranne Elio, era lì, un gatto nero in una stanza in penombra dove la sola fonte di luce erano due vetrinette illuminate internamente e realizzate in legno di noce. Il gatto stava dritto su due zampe e, con quelle superiori in aria, sembrava indicare una delle due vetrine presso il quale stanziava. Krampus e Rudolf si avvicinarono, invitando Artemisia a fare lo stesso. Di primo acchito non notarono nulla, poi d’un tratto la voce di Rudolf ruppe il silenzio sgranando gli occhi: “Ma ma qu quello è un Umbræon!” seguì Krampus: “Dannazione, si confondeva in mezzo a tutte quelle ampolline di profumi antichi, ma è proprio uno di loro, la vetrina sarà sicuramente protetta, come facciamo a recuperarlo?”. Nel frattempo, in uno specchio alle loro spalle il solito volto pareva spiarli di nascosto. Rudolf, che per un istante si sentì osservato ma non colse appieno: “Se resteremo qui a fissare questa vetrina ancora a lungo capiranno che stiamo orchestrando qualcosa, usciamo e semmai torniamo più tardi con un piano adeguato alla situazione”. Annuirono tutti all’idea e, a quel punto, raggiunsero le scale, poi l’atrio e, salutando gli inservienti, uscirono nella calle antistante l’ingresso del museo. Rudolf: “Artemisia, da che parte andiamo per discutere lontano da occhi indiscreti?” e lei “Se andiamo a sinistra arriviamo davanti alla Chiesa di San Stae e ad una fermata del vaporetto, troppe persone, potremmo discutere le idee mentre camminiamo, che ne dite?” Krampus e Rudolf risposero convintamente di sì, Elio intanto, forse fiero del suo ruolo, aveva deciso di salire sulla spalla destra di Rudolf, a mo di pappagalo sul pirata. Camminarono per qualche centinaio di metri, videro il campanile spuntato dell’affascinante Campo San Boldo e poi arrivarono al Rio Terà Primo, proprio lì Elio scese dalla spalla di Rudolf e, con un’insistenza insolita, attirò Artemisia perchè si mise a giocare con delle biglie appese in sacchettini retati ad un espositore fuori da una tabaccheria. Lei si chinò e gli sussurrò: “Elio dai, ne hai già tante a casa” ma lui non voleva sentirci sul tema e continuò a giocare con quel sacchetto. Artemisia lo accontentò, a tentoni e seguendo il suono trovò il sacchettino giusto, sentendo la sua zampina toccarlo, lo colse e andò dentro a pagare. Il titolare le si rivolse così: “Buongiorno alla mia principessa, ancora biglie?” e lei: “Cosa ci posso fare, è fissato, ma accontentare un’anima semplice non è mai una fatica e ripaga d’ogni cosa, buona giornata e grazie come sempre!” e lui: “Sempre un piacere, alla prossima!”. Elio sembrava fremere per quel sacchettino, così Artemisia invitò tutti ad andare nel vicino Campo Sant’Agostin per lasciarlo giocare un po’ e, nel frattempo, concordare un piano. Krampus e Rudolf si sedettero sugli scalini alla base del pozzo guardandola, lei china sulle ginocchia aprì la retina e ne trasse una biglia porgendola al gatto. Inizialmente non ci fece caso nessuno, ma quella biglia non aveva un aspetto anonimo per Elio. Anzichè giocarci la portò fino al piede destro di Artemisia che gli si rivolse così: “Ma Elio! Sei già stufo?” a quel punto Rudolf, che stava discutendo un’idea con Krampus, si girò e vide ciò che Elio cercava di dire. “Artemisia – disse Rudolf – guarda che il tuo gatto oggi è straordinario più che mai” e lei incredula: “Lo dici perchè disturba o hai altre motivazioni?” e lui: “La sfera con cui sta giocando non l’ha voluta come gioco, lui ha trovato un oggetto quasi del tutto identico all’Umbræon del museo!”. L’espressione di lei si dipinse di sbigottimento e felicità, prese in braccio il felino e lo strinse a sè con un amore indescrivibile, Krampus si stropicciò gli occhi incredulo, ma era tutto vero. I tre concordarono il piano, sicuri non avrebbero fallito. Tornarono al museo, era quasi l’orario di chiusura e ormai erano rimasti pochissimi avventori. Salirono fino alla sala della vetrina che interessava loro. Si guardarono intorno, nessuna guardia, nessuna telecamera diretta lì, solo l’allarme che sarebbe scattato una volta aperta una delle ante della vetrinetta. Rudolf prese la biglia che pareva la copia esatta di un umbræon e la fece rotolare per terra, così da farci giocare Elio. Artemisia e Rudolf aprirono la vetrina e quest’ultimo prese l’umbræon riponendolo nella sacca con gli altri. L’allarme suonava, Elio rimase lì a giocare mentre gli altri andarono nella stanza a fianco. Arrivarono due guardie che, ridendo grossolanamente alla vista del gatto, gli sottrassero la biglia e la restituirono alla vetrina prendendo in braccio l’astuto malfattore e accompagnandolo nella sala a fianco dove Artemisia, fingendosi spaventata per l’arrivo delle guardie annunciatole da Rudolf, rimproverò il gatto per il suo comportamento davvero maleducato. Le due guardie sorrisero per l’aneddoto che avrebbero potuto raccontare una volta giunti a casa: “Ma te lo vedi un gatto che si ruba un pezzo da museo? Io no!” e risero. Nella sala intanto lo specchio aveva visto ricomparire il volto, ma nel momento in cui l’umbræon finì nella sacca questo scomparve crepando lo specchio a metà in diagonale. Rudolf percepì quel rumore di rottura, ma pensò fosse una coincidenza o qualche altro effetto collaterale della marachella di Elio. Il gruppo uscì dal museo insieme alle due guardie che, prima di chiudere i portoni guardarono al gatto rammentandogli di fare il bravo. Lui li guardò e rispose come poteva: “Mao!”. Per tornare verso casa di Artemisia Rudolf suggerì di evitare le gondole, ammesso che a quell’ora fossero ancora in servizio, Krampus lo apprezzò e tutti s’incamminarono. Dopo una decina di minuti, con le prime stelle a far capolino nel cielo, arrivarono al Ponte di Rialto. I vaporetti parevano cullarsi nelle acque col loro lento movimento, i turisti erano andati chi a mangiare chi a dormire, chi a casa. Vi era un insolito silenzio e, apparve strano, ma Krampus e Rudolf, a pochi metri l’uno dall’altro, stavano fissando lo stesso paesaggio dalla balaustra che guardava verso la Riva del Vin. Ad un certo punto, mentre Artemisia ed Elio li attendevano per ripartire i due si guardarono e, con un cenno si decisero a tornare verso casa. Fu in quel momento che Rudolf sentì una parte delle sue inquietudini svanire. Si sentiva parte di un team eterogeneo sì, ma che stava vogando tutto nella medesima direzione. 

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“Chi ha rapito Santa Claus?” 7 Dicembre – L’intuizione di Elio 

"Chi ha rapito Santa Claus?" - cover by Trarealtaesogno

7 Dicembre – L’intuizione di Elio

Artemisia ed Elio in un affascinante scenario veneziano

Quella mattina Artemisia e gli altri pensarono recuperare le energie. Ognuno riposando nella maniera che più riteneva adeguata. Krampus infatti, per citarne uno continuava a dormire in piedi nel suo ormai classico angolo di Muro. L’unico che non se la passava bene, non avendo chiuso occhio, era Rudolf, la cui mente aveva cominciato a viaggiare, ragionare e ipotizzare senza sosta su quali fossero i significati di quelle sfere oscure e di chi potesse essere l’artefice di un rapimento così sensazionale e contemporaneamente all’apparenza così semplice. Artemisia si rivolse verso Rudolf e gli disse: “Guarda che anche tu devi riposare, fermarti, ritemprarti. Mi sono svegliata più volte durante la notte ho percepito chiaramente il tuo respiro a tratti ricco di ansia e a tratti più lento e riflessivo e lo so che avevi gli occhi aperti. Tra i presenti sei quello che conosce di più Santa, dunque sei anche il più importante di noi, perché per quanto in questo momento la ricerca non dipenda da lui, conoscendolo così profondamente come solo tu lo conosci sarà più facile raggiungere quell’intuizione che ci potrà fornire indizi decisivi o magari addirittura permetterci di trarlo in salvo”. Lui, visibilmente emozionato, rispose: “Grazie per le tue parole. Convivo con un senso di colpa smisurato. Quella notte in cui l’hanno rapito ero qui a Venezia, l’ho perso di vista per un attimo perché entrambi eravamo troppo felici in nostro essere riusciti a compiere la missione di salvare il Natale e di esserci riuniti, grazie al mio arrivo sorpresa nel momento più propizio. Al contempo mi interrogo e mi sorge il dubbio che possa esserci una mia responsabilità più profonda e non palese in quanto accaduto”. Lei sorrise, proprio come chi aveva già immaginato di ricevere quel tipo di risposta e disse: “Stai cadendo nell’errore più comune tra tutti, quello di cercare le colpe dove non ci sono. Nessuno poteva sapere che qualcuno stava lì, nell’ombra, ad orchestrare un rapimento. E anche lo avessi saputo, non avresti potuto prevedere quando sarebbe stato messo in atto. Ci sono molti quesiti di cui non conosciamo le risposte”. E lui:  “Hai ragione, ma è la mia indole interrogarmi mille volte su ogni passo compiuto. Esiste però un modo per stemperare il mio senso di colpa e tu puoi essermi d’aiuto, dobbiamo agire, ti va di cominciare ad analizzare il quarto capitolo insieme?” Mentre Elio gli si andò ad accovacciare sulle gambe, strappandogli un sorriso intenerito, Artemisia disse: “Perfetto ma lascia che prenda dei biscotti dalla dispensa così che tu, io, ma anche Krampus al suo risveglio, avremo modo di ricaricare le nostre energie”. Rudolf posò il tomo sul tavolo, lo aprì al capitolo quattro e, nel mentre, Elio scese a terra, forse scocciato da tutto quel movimento. Artemisia si mise a sedere posando sul tavolo un bellissimo vaso di vetro rosa semitrasparente ricolmo di biscotti e chiuso da un coperchio di colore uguale, sovrastato da un pomello rosso ciliegia. “Grazie” disse Rudolf. E lei: “Allora Rudolf, sei già riuscito a carpire qualche segreto da queste pagine?” rispose: “Una cosa è certa, la parola profumo l’ho già letta sei volte in poche righe, ma devo leggere meglio per coglierne il senso”. Nel frattempo tra i due volti, quello di lei in ascolto e quello di lui intento a leggere comparve una mano ombrosa. Questa si allungava furtiva verso il tavolo, anche loro la notarono, non ne capivano il senso. Afferrò il pomello, alzò il coperchio, infilò la mano nel vaso e, con voce piena disse: “Non favorite un biscotto malandrini?” era Krampus, che a quel punto sapendo d’essersi fatto percepire più minaccioso di quanto fosse si lasciò andare ad una grassa risata. Rudolf chiuse il libro di scatto ed esordì così: “Ci sono!” Krampus e Artemisia si voltarono verso di lui, Elio ritornó sul tavolo. “Il tempio delle essenze silenti; ecco la traduzione di oggi!”. La traduzione c’era, ma l’entusiasmo si smorzó subito in quanto nessuno aveva capito di che luogo o edficio si potesse trattare, i loro volti dapprima ebbri e felici s’incupirono per la difficoltà del quesito. Elio reagì diversamente, si sollevò dal tappeto e cominciò a muoversi con quella sua andatura morbida come un’ombra che prende forma. Si fermò davanti al vaso dei biscotti, poi alzò lo sguardo verso il vetro della finestra e scese. Le sue pupille, dilatate, seguivano qualcosa che nessun altro vedeva. Fece un passo, poi un altro, fino a posarsi accanto alla parete dove l’umidità aveva disegnato un alone azzurrognolo. Lì si accovacciò, annusando l’aria come se vi fosse nascosto qualcosa di dimenticato. Artemisia lo osservò in silenzio. L’odore della casa — di cera, legno, spezie e tè — le parve mutare impercettibilmente, lasciando affiorare una nota di stoffa bagnata, di erbe macerate, di colore e tinture antiche. Elio sollevò il muso e miagolò piano, come a voler dire “seguite il silenzio tracciato dalle essenze”. Rudolf sentiva il senso di colpa aumentare. Una lama di luce attraversò la stanza, colpendo una bottiglia vuota sul tavolo: per un attimo il vetro si tinse di viola e d’oro, come se dentro avesse preso vita una scia invisibile. L’odore cambiò ancora — più aspro, più antico — e Artemisia comprese che Elio non stava giocando. Aveva appena indicato la strada e disse: “Dirigiamoci alla Corte del Tintor!” Non era infatti un sentore vivo, ma un’eco di tradizioni perdute e la mente corse, improvvisa, dove il tempo aveva imprigionato il respiro delle antiche tinture. Partirono così verso Cannaregio e, prima di raggiungere l’attraversamento in gondola del Canal Grande a Santa Sofia, necessario per arrivare rapidamente a destinazione, passarono per il ponte San Canciano, Artemisia allungó la mano destra e sfioró le due ancorette facendole tintinnare, gli altri fecero lo stesso e Rudolf: “Perchè lo stiamo facendo?” Artemisia: “perchè se le puoi sentire sei ancora vivo”. Rudolf si fece bastare quella risposta, sicuro c’era di più, ma preferì annotarsele come portafortuna. Dopo altri cinque minuti arrivarono alle gondole di Santa Sofia e Artemisia: “ok, attraversiamo qui”. Krampus: “io non salgo su quel trabicolo! Proseguo a piedi”. Così per la prima volta da quando si era costituito il gruppo si divise. La traversata in gondola fu una vera rivelazione per Rudolf, impreziosita per di più dalla vista del palazzo Della Ca’ d’oro quando si votò quasi per caso verso il punto di partenza. Le acque cullavano quella gondola alla stessa maniera in cui Artemisia teneva tra le braccia un placido Elio. Guardandola Rudolf disse: “Sono convinto che una volta che avremo raccolto tutti, o almeno una buona parte degli Umbræon saremo in grado di capire dove si trova o come liberare Santa”. Lei rispose: “ sento che nelle tue parole risiede la più profonda delle verità”. La gondola scivolava silenziosa, e per un momento Venezia sembrò trattenere il respiro con loro. Artemisia osservò l’acqua incresparsi attorno alla prua, poi guardò Rudolf, che aveva lo sguardo perso sui palazzi riflessi sulla superficie del Canal Grande. Fu allora che lui abbassò la voce, quasi al livello dell’acqua sottostante, come se persino le increspature delle onde potessero ascoltare. “C’è un dettaglio che non ho detto a nessuno,” mormorò. “Santa… quando sa di essere in pericolo, lascia una traccia invisibile ai più, faccendo tre piccoli tocchi con il guanto, con la punta delle dita o con la punta del suo stivaletto. Un segnale impercettibile, il nostro codice per manifestare una forma di pericolo che lo riguarda. Io sono l’unico a conoscerlo, ora anche se non lo puoi vedere, lo sai anche tu perchè ti reputo degna di questa fiducia.” Artemisia lo ascoltò senza interromperlo e visibilmente emozionata, nel mentre Elio aprì un occhio, come se avesse potuto percepire il peso di quelle parole. Rudolf continuò: “Nel punto in cui è sparito non c’era nessun segno. Nessun tocco.” Lei rimase immobile, la gondola oscillò più forte e disse: “Questo cambia tutto,” disse sottovoce. “O non ha avuto il tempo… o conosceva già chi aveva davanti.” Rudolf annuì, serrando le mani. “È per questo che dobbiamo arrivare al più presto. Prima lo capiamo, prima lo salviamo.” Il gondoliere li aiutò a scendere dalla gondola verso il classico attracco in legno che digrada verso l’acqua, ebbe un occhio di riguardo per Artemisia, probabilmente la conosceva e, sapendo della sua condizione, ebbe estrema premura nell’assistere il suo passo in maniera che la discesa risultasse quanto mai sicura. Lo ringraziarono e, Rudolf capì che erano tornati al mercato ittico, vicino al luogo in cui solamente il giorno prima lo stormo di pappagalli, capitanato da quello Buranello, li aveva assistiti nella ricerca del pozzo di vimini. Si guardarono ripetutamente intorno, ma di Krampus nessuna traccia, passò infine più di mezz’ora ed eccolo apparire, caracollante e sorridente: “Scusate il ritardo, ma tra gruppi di turisti giapponesi e calli pervie non sono riuscito subito a raccapezzarmi. L’importante è esserci ritrovati, proseguiamo dunque!”. Annuirono come a rasserenarlo sulla sua scelta e Artemisia li invitò a proseguire verso Riva de l’Ogio, ma Rudolf fu ammaliato da un piccolo ponticello in legno visibile dal ponte che portava a quella riva che dovevano raggiungere. Il ponte, davvero minuto e cortissimo, portava ad un ristorante “Alle Poste Vecie” e Artemisia, avendo immaginato cosa avesse attirato Rudolf, gli disse: “Quel locale è nato intorno al 1500, profuma di mare e storia”. Rudolf spalancò la sua bocca stupefatto dalla precisione della ragazza, ma preferì non evidenziarlo, consapevole che ella percepiva ben oltre il comprensibile. Dopo un dedalo di calli giunsero alla soglia di Corte del Tintor, entrarono in un piccolo portico, un tunnel da percorrere in fila indiana. Una volta dentro la corte si misero ciascuno schiena contro schiena per guardarsi intorno. Gli occhi di tutti, anche quelli interiori di Artemisia, si lanciarono alla ricerca di un segno, una traccia, un indizio. Nulla, dopo alcune decine di minuti, di nuovo, rinunciarono e decisero incamminarsi fuori dalla corte ed esplorare la Calle del Tentor, sperando che questa deviazione fosse foriera di notizie migliori. Rudolf: “Eppure la frase tradotta è corretta, dobbiamo capire cosa sia il tempio delle essenze silenti… ma, scusate, conosco tanti nomi di santi, ma, chi è San Stae?”. Artemisia: “Rudolf, si vede che non sei di qui! San Stae è il nome in dialetto di Sant’Eustachio cui è intitolata la chiesa qui vicino, se volete vi ci porto. Krampus: “io in chiesa non ci entro, penso lo possiate capire” a seguire Rudolf: “Io son curioso” ed Elio: “miaooo!”. Trovata l’intesa dunque svoltarono nella Salizada San Stae e.. Rudolf rimase di nuovo a bocca aperta: “A a a Artemisia – balbettando – ma non ti ricordavi che qui c’è il museo del profumo?” e lei: “Che la marea ribolla in cielo! Come ho fatto a non pensarci! Entriamo subito, il tempio del profumo potrebbe essere una formulazione libera per indicare questo luogo”. Krampus si fece largo, Artemisia al seguito, Rudolf, tenendo la porta, fece accomodare Elio. Ognuno felice e speranzoso a suo modo.

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