“Chi ha rapito Santa Claus?” 22 Dicembre – Invano

"Chi ha rapito Santa Claus?" - cover by Trarealtaesogno

22 Dicembre – Invano

il luminæon in cima al campanile dell'isola abbandonata di poveglia

La tristezza e la delusione avevano conquistato il gruppo. In Rudolf i sensi di colpa bruciavano i bordi della sua anima, in Artemisia pulsava inesorabile lo sconforto. Perfino Elio zampettava mesto con la coda tra le gambe. Decisero di far rientro a casa di Artemisia per confrontarsi sulla situazione, capire se sarebbe emerso un nuovo enigma dal libro dei frammenti di tenebra. Dato lo scoramento sarebbero stati disposti a sperare in qualsivoglia evento salvifico per ribaltare una situazione che, a parte per gli Umbræon e i luminæon che erano ancora nelle loro mani, pareva ormai compromessa. Rudolf alzò gli occhi al cielo, poi nemmeno la vista della barca Santa, attraccata nei pressi di Palazzo Tetta riuscì a distoglierli dai rispettivi pensieri. Arrivati davanti alla porta Elio ne grattò la soglia e Artemisia disse: “Dai piccolo, un attimo e andiamo dentro, sù!” Prese così dalla tasca la chiave ed aprì. Rudolf entrò e guardò con aria corrucciata l’angolo in cui solitamente Krampus dormiva in piedi. Elio corse su una sedia e lì vi si appallottolò sopra. Artemisia mise a bollire dell’acqua dicendo: “Un buon tè ci salverà l’animo”. Rudolf sorrise malinconicamente e con voce calda disse: “Spero tu abbia ragione, intanto provo a consultare il libro, chissà che non ci dica qualcosa di utile”. Lo stupore lo colse al punto di esclamare: “Perdincibacco!” e Artemisia: “Che succede Rudolf?” e lui: “tutte le pagine bianche del libro, tutte tutte tranne una, sono ricoperte dal disegno di rovi, rovi ed un edificio in rovina, dappertutto, penso che anche il libro ci abbia abbandonato o semplicemente ci stia parlando sì, ma in maniera indecifrabile…” portandosi le mani sulla faccia. Fu quella frase, pronunciata come un requiem da Rudolf, insieme ad un ricordo riaffiorato improvvisamente ad accendere invece la luce delle idee in Artemisia che corse letteralmente verso la sua camera, inseguita da Elio, urlando: “Eureka! Eureka!”. Rudolf alzò la testa cercando di capire e rimase appeso con sguardo e udito rivolti verso la stanza di Artemisia. Lei di nuovo: “Eureka! Eureka! Rudolf vieni qui, subito!” e lui: “Eccomi, che accade?!”. Artemisia, con una precisione inspiegabile dato il suo limite visivo, indicava un punto preciso della sua mappa della laguna, Rudolf si avvicinò per leggere e, sottovoce disse: “Poveglia, ex manicomio, rovine e rovi” poi volgendosi verso Artemisia: “Dici che avevamo la risposta davanti agli occhi fino ad ora?” e lei: “Si, perchè rovi, finestre, edificio in rovina, tutto collima con il profilo dell’isola di Poveglia” e Rudolf: “Cosa aspettiamo a salpare? Andiamo a scoprire quale mistero si cela laggiù”. Uscirono di casa rapidamente. Molto più velocemente di come vi fossero entrati, ritemprati nello spirito e nelle energie. Arrivati davanti all’osteria nella Fondamenta dei Felzi, dove era ormeggiata la barca, notarono un ragazzino a bordo. Osservava attentamente l’incisione, e quando si accorse di essere guardato, si girò verso Rudolf e gli altri: “Dovete sapere che i rovi crescono lì dove nessuno guarda più, in quei luoghi che cambiano ogni volta che ci torni e serbano i semi di un dolore antico,” disse, come parlando a se stesso e al contempo a loro. Rudolf lo osservò incuriosito, Artemisia rimase immobile, come avvolta da un filo invisibile. “Che bel pensiero… come ti chiami?” chiese. “Sono Nico,” rispose il ragazzino, con occhi che parevano ancora illuminati da un bagliore lontano, “sono salito a bordo perché il nome, i colori… e questa incisione mi ricordavano qualcosa… qualcosa che non so spiegare del tutto.” Rudolf, un po’ sorpreso, annuì: “Noi dobbiamo muoverci, ma finché la barca resta qui, puoi curiosare quanto vuoi.” Nico sorrise appena, un filo di luce tremolante nei suoi occhi come se vi fosse un’eco, un riverbero, di quella luce sprigionatasi un anno prima così pura e potente da quelle parti. Per un istante alzò la mano come a voler accarezzare l’incisione, e poi, come fosse capace di dominare una legge invisibile, sparì tra le ombre della Fondamenta, lasciando dietro di sé un senso di mistero sospeso. Rudolf rise piano: “Ah, questa gioventù… sempre pronta a fare stravaganze senza chiedere permesso.” Rudolf prese il timone, aveva studiato dalla mappa in camera di Artemisia l’itinerario, ormai non poteva definirsi un marinaio, ma qualcosa lo stava imparando. Usciti dal dedalo di canali interni imboccarono il Rio dei Greci per uscire nei pressi del Bacino di San Marco trovando innanzi a loro l’Isola di San Giorgio Maggiore. Rudolf, memore di quanto visto, costeggiò l’isola de la Grazia, poi quella di San Clemente, poi San Spirito ed infine, ecco Poveglia all’orizzonte. I nostri vi giungevano dal versante est e ad un tratto Artemisia: “Sento della luce fortissima, un’energia radiosa, Rudolf, mi sto perdendo qualcosa?” indicando verso ovest e lui: “No Artemisia, la laguna è placida, la luce solare piatta, in quella direzione ci sono due vogatori con una barchetta, ma sono davvero un puntino all’orizzonte” e lei: “Ok, mi stavo preoccupando, avevo il timore stesse accadendo qualcosa di strano”. Vi era un pontile nel versante sud-est di Poveglia e, per praticità, decisero di attraccarvici. Rudolf scese per primo, aiutando poi Artemisia ed Elio nella discesa. La natura era la regina, incontrastata di quei luoghi. Il caos era l’architetto di ciò che, selvaggiamente, era cresciuto senza influssi umani. Nell’avvicinarsi Artemisia sentì dei rumori, come un bussare forte e costante in lontananza: “Rudolf, lo senti anche tu?” e lui “Quel toc toc toc quasi costante? Sì, magari è qualcuno che chiede aiuto, magari Santa o Luca” avviciniamoci senza farci sentire, chiunque sia sarà felice di essere liberato. Artemisia: “Che odore nauseabondo!” e Rudolf: “Stiamo passando vicino alle cucine, dei pentoloni avevano continuato a ribollire incustoditi, il loro fondo in alcuni casi si era sciolto, in altri il cibo ormai stracotto aveva assunto un sentore davvero fetido”. Rudolf vide un secchio d’acqua, lo gettò sui fuochi così da interrompere la produzione di odori indesiderabili. Il bussare si fece più forte. Passarono dal corridoio, una cella era aperta e vuota, a terra Rudolf notò qualcosa di familiare: “Un pezzo di saio! Luca forse è qui da qualche parte..” Artemisia, vicino alla soglia da cui proveniva il rumore bisbigliò: “Sento delle presenze, più di una dietro la porta, nulla di pericoloso a pelle”. Rudolf allora sfilò l’anima dal chiavistello sbloccando la porta, ciò che accadde dopo fu memorabile. Come una tempesta non uno, non due, ma almeno una decina di Schabmänner uscì disordinatamente dalla cella. Le Schabmänner impazzirono completamente: si urtavano tra di loro, sbattevano contro le pareti e producevano suoni grotteschi in una sinfonia affatto melodica. I loro occhietti vacui luccicavano di una follia incontrollabile, e i movimenti scoordinati le rendevano quasi sfumate, come se un vento invisibile le avesse animate solo per seminare caos o soffiarle via. Nel trambusto del loro non capire più nulla, forse intuendo anche molto meno del solito, sembravano più spaventate da loro stesse che da chiunque altro. Rudolf e Artemisia scoppiarono a ridere per quanto avevano appena vissuto, ma il sorriso durò poco, Rudolf entrò nella cella da cui erano uscite come una mandria quelle creature e, guardando la sedia, riconobbe un lembo del vestito di Santa. Era stato lì, forse fino a poco prima. Artemisia: “Sì, non è qui, non ora, ma lo era”. Elio ricomparve dopo essersi spaventato per colpa delle Schabmänner. Rudolf: “Ok le sensazioni, ma che dici Artemisia se proviamo comunque a cercarlo?”. Lei annuì. Girarono ogni anfratto, badando di non farsi male dato che l’isola ed i suoi edifici versavano in uno stato di totale abbandono e decadimento. Di Santa e di Luca solo gli indizi nelle celle, nulla di più. Forse Krampus nel suo piano diabolico li aveva tratti con sé in un altro nascondiglio. Uscirono all’aperto, dirigendosi verso la barca, Elio cominciò ad aggrapparsi ai pantaloni di Rudolf, come a volerlo rallentare. Lui si girò e disse: “Elio, dimmi, cosa c’è? Non possiamo mica restare qui”. Niente, il gatto continuava a tirarlo dalla parte opposta rispetto alla barca. Continuò per minuti con Artemisia che sorrideva immaginando l’impasse. Ad un tratto Rudolf guardò verso il campanile e non verso il gatto che lo voleva trainare. Notò una luce abbagliante dalla cella campanaria del campanile. Al che Rudolf disse: “Aspettatemi qui, torno subito”. Artemisia non capì nulla di quanto stesse accadendo, ma si fidò di lui. Le campane dell’isola suonarono, una, due, cinque volte. “Ma non era abbandonato questo posto?” Si chiese lei stupefatta. Intanto, salito sul campanile di Poveglia, Rudolf arrivò a tenere tra le mani un luminæon, il quinto. La sua superficie pulsante irradiava una luce calda e viva, come se custodisse un’energia sottile, vibrante, che pareva insinuarsi tra i canali e le rovine, insinuando nei cuori di chi la osservava un senso di possibile salvezza, un filo invisibile che collegava il passato con il presente ed il futuro. Elio si strusciò tra le gambe di Rudolf non appena lo vide tornare, come percependo anch’egli quel riverbero, mentre Artemisia, pur senza poterlo vedere direttamente, sentiva un fremito da pelle d’oca, un’eco di qualcosa di più grande che stava per accadere. Artemisia disse: “Trovato qualcosa?” e Rudolf: “Torniamo a casa con un pizzico di luce in più Artemisia, in cima al campanile ho trovato il quinto luminæon, non so ancora se sia un vero e buon presagio, ma è la prova che una parte della soluzione passa da queste sfere potenti e misteriose”. Nel frattempo, Luca e Santa, un colpo di remo alla volta, erano giunti fino a Riva degli Schiavoni e, d’accordo sul suggerimento di Luca, si stavano dirigendo verso Campo San Zaccaria per bussare alla porta della sacrestia, dove Luca contava di trovare Don Lucio, un suo carissimo amico che di certo non avrebbe rifiutato di offrire aiuto a lui e al suo misterioso compagno di viaggio. Il gruppo, pur ancora diviso e ignaro di come tutte le tessere si sarebbero ricomposte nel mosaico finale, percepì che quella luce e quella soglia a cui bussare non erano solo un segnale o una tappa, ma una promessa: che, tra caos, misteri, sorprese ed incertezze, i semi di tarassaco stavano finalmente danzando nel vento per trovare una destinazione comune.

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“Chi ha rapito Santa Claus?” 21 Dicembre – L’Evasione

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21 Dicembre – L’Evasione

barche abbandonate a Poveglia

Patty, con i baffetti tesissimi, si guardava intorno in attesa che uno degli Schabmänner giungesse per controllare lo stato del cappuccio di Santa e per portargli la colazione. Quest’ultima consisteva in un tozzo di pane duro come pietra e una ciotola di latte. Santa non ebbe mai modo di mangiarla, era sempre legato, ma spiegalo tu ad una Schabmänner. Impossibile. Patty vide una di quelle goffe creature arrivare, inizió a contare i secondi: “uno, due, tre… ventisette..” lo faceva perché Santa, capito chi fosse, anzi, chi non fosse dato ch’era solo un’ombra, dopo i recenti eventi aveva avuto un’idea per tentare la fuga. Non era certo del successo del suo piano, ma dato che, se avessero voluto fargli del male, lo avrebbero già fatto, decise di tentare. Patty intanto: “trecentoquattro, trecentocinque…” lo Schabmänner guardó Santa, posó ben distante da lui il cibo e, vedendolo col cappuccio, glielo tolse. Santa sussurró: “é il momento, queste Schabmänner non capiscono proprio nulla..” e ne rise. Patty tornó da lui e sussurró: “Le Schabmänner impiegano in totale circa cinquecento secondi ad andare e tornare quando fanno il giro del cibo e poco meno quando fanno quello di controllo, pensi di farcela?” E Santa: “devo solo nascondermi, instillare il panico, non fuggire, almeno non subito. Prima peró devi cercarmi un oggetto acuminato con cui io possa tentare di liberarmi da questi vincoli a polsi e caviglie” Patty, che pendeva dalle sue labbra, stava per perderlo, era conscia stesse per accadere, ma al contempo era consapevole che Santa valeva di più del suo egoistico affetto. Passarono minuti, a decine e questi messi insieme divennero ore. I raggi del sole cambiarono l’inclinazione delle ombre che i rovi esterni, aggrappati alle sbarre, generavano sul pavimento. Ad un tratto Patty percepì, drizzando i baffetti di conseguenza, una Schabmänner che cominciava a muoversi verso la cella di Santa. Quando questa fu a metà corridoio Patty, raso muro, cominció il suo percorso verso la zona in cui gli Schabmänner preparavano i pasti, se così si potevano chiamare. Corse raso muro e arrivó ad una sorta di cucina, un luogo fetido, sudicio, affatto mondo. C’erano dei pentoloni che ribollivano di non si sa bene quale nefanda preparazione. Corse contando nella sua testolina “duecentotrentasette, duecentotrentotto…” il tempo scorreva incalzante, ma lei non aveva intenzione di demordere. Arrivó ad un cassetto socchiuso, c’erano cucchiai, forchette, coltelli fin troppo usurati. Alla fine, per non dare nell’occhio, prese una forchettina da dessert. Si guardó intorno, fece vibrare i suoi baffetti per la tensione e ripartì. Un altro Schabmänner passò, aprì una cella vicina per consegnare del cibo e disse: “un altro prigioniero” squittì sommessamente Patty tra sé e sé. Lo vide, lineamenti gentili, vestito con una tunica tinta cacao, ricevuto il cibo ci si genuflesse innanzi, era legato solo ad una caviglia, cominció a lodare il Signore per quanto stesse per mangiare. “Un frate!” Squittì e, quello, udendo il suo squittire, si giró salutandola con la mano mentre la sua cella veniva richiusa. Patty tornó di corsa da Santa, schivó lo Schabmänner che compiva il giro di ritorno e, con un’agilità incredibile saltó dentro col suo prezioso strumento. Santa la sentì zampettare, gli avevano rimesso il cappuccio, Patty si arrampicò come sempre partendo dal piede, poi il ginocchio e su, fin dietro la testa. Da lì cominciò a sfilare il cappuccio e, una volta fatto, lo lasciò cadere al suolo. Passó davanti, si era riportata alla bocca la forchettina. Lo sguardo che Santa le riservó era un misto di gratitudine e commozione e, con un semplice cenno trovarono l’intesa. Patty dunque scese lungo la schiena, fino al polso sinistro di Santa che, tra zampette e baffetti rise divertito dal solletico. Patty avvicinò alle sue dita la forchettina e, una volta che Santa l’ebbe saldamente tra i polpastrelli cominciò a lavorare sulle funi che lo vincolavano per liberarsi. Ci vollero decine di minuti, ma alla fine Santa riuscì a liberare il primo polso dalla fune. La mano era indolenzita, ci volle un po’ per averne il pieno risveglio, ma con una mano a disposizione tutto diveniva più semplice. In un batter d’occhio Santa liberò anche l’altra e poi i piedi, prima il destro, poi il sinistro. Patty lo guardò sognante: “Ora sei libero!” e lui: “No, non sono libero, cara Patty, ora siamo liberi”. Lei pianse, lui la fece accoccolare dentro al suo taschino, da lì oltre che al riparo lei ne percepiva il battere e levare del suo cuore. Non era mai stata così felice. Lo guardò, da lì sotto e gli disse: “Sai che c’è un frate imprigionato dall’altra parte?” e Santa: “Dopo salveremo anche lui, ma prima, passiamo alla fase due, diamo il via all’operazione instillare il panico!”. Fu così che Santa, percependo l’imminente arrivo di una Schabmänner salì sulla sedia a cui era stato legato e, sfruttando la catena che penzolava dal soffitto che una di quelle creature ottuse aveva fatto scendere, ci si arrampicò. Arrivò a tre metri da terra, vide la Schabmänner giungere, guardare la sedia, girarci attorno, e poi col suo sguardo, fisso e impacciato, oscillava tra la sedia vuota e il perimetro della cella. Parve inspirare profondamente, cercando di ricordare il protocollo, ma la logica semplice non bastava: il prigioniero infatti non era dove doveva essere. Con un brontolio sommesso emise un fischio meccanico e agitò le braccia, attirando l’attenzione delle compagne. Subito, le altre si affacciarono dai corridoi vicini, ognuna confusa e titubante a modo suo. Una ruotò sul posto e disse un breve: “Oh?” La seconda annuiva, una terza, più piccola, cominciò a saltellare sul pavimento con movimenti nervosi, inciampando in un angolo, creando un effetto domino in una escalation di gesti goffi e frenetici che forse un significato potevano pure averlo. La prima Schabmänner allora si piegò, tastando sotto la sedia e poi verso le funi, ma senza avere mai la tentazione di guardare in sù. La confusione esplose nel silenzio e si diffuse come un’onda: le Schabmänner si spostarono in cerchio, senza capire dove guardare. Il panico, seppur meccanico, prese il sopravvento: si inciampavano l’un l’altra, sbattevano contro le pareti e poi, in fila indiana andarono di zona in zona urtando pentoloni, scaffali, porte.  La loro routine precisa si stava trasformando in un incubo, come avrebbe reagito l’ombra? Panico. Santa a quel punto, attraverso uno spiraglio tra i rovi della finestra le vide correre fuori, sempre in fila indiana, ma, dettaglio fondamentale, dell’ombra oscura che vigilava su quel luogo nessuna traccia. Santa abbassò lo sguardo verso Patty, era il momento di scendere dalla catena e sfruttare il vuoto lasciato dall’inettitudine delle Schabmänner. Santa e Patty, una volta a terra, si confrontarono e decisero di eliminare il problema di quelle guardiane maldestre alla radice. Santa si nascose dietro una porta, Patty andò fuori ad attirarle, diede ad intendere loro di sapere dove si trovasse il fuggitivo, in fondo era vero. Le Schabmänner accorsero, maldestre e convinte come poche volte nella loro vita, Patty le guidò dentro la cella e: “Clang!” Santa le rinchiuse dentro, Patty scappò veloce e tornò nel taschino. Santa le guardò dalle grate sulla porta in legno da cui fino a poco fa era vincolato e fece ciao ciao con la mano. Da una finestra finalmente vide l’esterno, Santa sospirò, sapeva dove si trovava e, forse, la via per scappare, ma prima bisognava capire chi fosse l’altro prigioniero e, ombra permettendo, salvarlo. Patty indicò la direzione, Santa corse, nessuno lungo il tragitto. Quando fu vicino alla porta sentì una voce gentile recitare delle preghiere. Gli parve di conoscerla, ma non vi diede troppo peso. Scardinò il lucchetto con la forchettina di Patty, aprì lentamente la porta scricchiolante, il tutto mentre le Schabmänner non si sa bene cosa urlassero dalla cella. Ciò che vide lo sconvolse nel profondo. Quella sagoma era inconfondibile, il frate si girò verso il suo salvatore e un silenzio di reciproco stupore colse entrambi. Il frate, guardando Santa: “Non ci posso credere, sei proprio tu?” e Santa: “Luca, fraterno amico mio”. Piansero di gioia, entrambi, abbracciati per istanti che parvero non cessare mai. Si era fatto però tempo di compiere la fuga e, abbandonando le Schabmänner nella cella, si guardarono intorno per esser certi di non essere seguiti dall’ombra e presero il corridoio che dava l’impressione di condurre all’esterno. Dopo qualche deviazione arrivarono all’esterno ad una sorta di canale generato dai confini dell’isola e da un antistante ottagono militare, si voltarono e, capirono dove si trovassero. Erano stati imprigionati a Poveglia. Santa “Luca, ora come scappiamo da qui?” e il frate: “Ricordo che sul lato opposto a questo che guarda al Lido c’era una sorta di cimitero di barche abbandonate, magari siamo fortunati..” e Santa: “Proviamoci”. Giunti sul versante nord rimasero stupefatti, non una, non due, decine di barche abbandonate e poi remi, forcole, ogni genere di accessorio. Un vero spreco, ma fortuito per loro! Santa e Luca si intesero con un cenno del capo, non serviva parlare. Scelsero la barca, le forcole, i remi e, come un anno prima, vogando, si allontanarono da Poveglia vogando al tramonto. C’era tutta la poesia del mondo cristallizzata in quell’istante e, per la prima volta nella sua vita, Patty stava vedendo la laguna da vicino.

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“Chi ha rapito Santa Claus?” 20 Dicembre – I tre tocchi

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20 Dicembre – I tre tocchi

la cartolina da cui Santa tolse solo il francobollo un anno fa presso la libreria acqua altra

Artemisia ed Elio, una volta svegli non uscirono dalla stanza, attesero un attimo fermandosi innanzi alla mappa tattile della laguna che, con il felino in veste di osservatore, Artemisia ebbe cura di aggiornare con le ultime scoperte. Le sue mani indugiarono sugli appunti di molte isole lagunari, specialmente quelle abbandonate. Queste ultime infatti le davano la sensazione di nascondere tanti, tantissimi segreti, anche quello cui loro tutti tenevano di più: trovare Santa. Le sue mani sorvolarono con ampi gesti e tocchi lievi isole con ruderi, isole di arbusti e siepi, conventi, isole piene di frutti selvatici, tra cui le more e molto altro, bisbiglió qualcosa verso Elio che parve acconsentire e smisero di cercare. Quando si fece avanti in zona giorno sentì Rudolf respirare profondamente sfogliando pagine, probabilmente quelle del libro dei frammenti di tenebra con il nuovo enigma; oltre il tavolo invece percepì il profondo respiro di Krampus che, come sempre, probabilmente dormiva ad occhi aperti, magari ancora nella medesima posizione di ieri. Rudolf alzò il capo, scelse Artemisia come orizzonte e le disse: “Buongiorno, ho passato la notte qui, sopra questo testo, ma stavolta non vi è nulla da tradurre, non capisco proprio come risolvere questo enigma privo di un vero e proprio quesito palese. Lei si avvicinò, cercò con le mani il contenitore dei biscotti, trovatolo lo avvicinò a Rudolf aprendone il coperchio. Disse: “Intanto, visto che non hai dormito, almeno prendi un po’ di energia. Poi risolveremo tutto il resto”. Lui acconsentì e lasciò cadere il libro, che stava tenendo aperto a forma d’ali di gabbiano, mangiò due, forse tre biscotti e poi si lasciò andare con un piccolo sfogo: “Sai Artemisia, i fatti di ieri hanno ridestato molte insicurezze che, in cuor mio, credevo d’aver sopito. Santa ha lasciato più tracce di quanto potessimo sospettare, eppure io, Rudolf, il suo più fedele amico, non riesco a cavare un ragno dal buco”. Artemisia sospiró: “L’autocritica è una qualità che a piccole dosi vale tantissimo, ma qui non é ben spesa Rudolf. Il tuo impegno é giá un segno distintivo delle tue qualità, certo, il caso non è risolto, ma è soprattutto grazie a te che siamo arrivati fin qui”. E lui: “Grazie, le tue parole contano tantissimo” nel mentre Elio gli si strusció contro in segno di affetto e supporto. Rudolf venne distratto da una cosa molto strana, gli occhi di Krampus cominciarono a muoversi, in maniera naturale e come se fosse desto, un po’ a sinistra, poi su, dritto e via così. Fino a fermarsi come poco prima. Rudolf tornó a studiare l’enigma e di colpo, quasi agitato: “Non distante dalla guardia del campanile, laddove solcava acque ora abbraccia libri, Artemisia, ti dice nulla questa frase sconclusionatamente sensata?” E lei: “Sai Rudolf, qui a Venezia molti campanili avevano dei mascheroni che dovevano tener lontano il demonio.. a ben pensarci non distante da qui c’é quello di Santa Maria Formosa.. ma ci sta dicendo qualcosa che è lì vicino..” Rudolf: “giá, spremi le meningi Artemisia, solo tu puoi svelare di cosa si tratti” e lei: “Seguimi, voglio consultare la mappa in camera, sento che qualcosa di lapalissiano mi sta sfuggendo tra le righe di questo enigma”. Entrarono e Rudolf, vedendo da vicino l’opera a muro con tutta la laguna catalogata un anfratto dopo l’altro non poté che cedere ad uno stato di profonda ammirazione. Artemisia era lì, davanti a lui, non vedeva, ma sapeva l’esatta ubicazione d’ogni cosa. Nel mentre tracciava segni nell’aria, come ad allinearsi col suo mondo, toccando poi vari punti della mappa, su, giù, destra, sinistra, altrove. Era una sorta di calibrazione che la portava ad uno step successivo. Identificò la posizione del campanile di Santa Maria Formosa col suo mascherone, da quell’istante i suoi polpastrelli si fecero passi, esplorarono tutti i dintorni di carta, si soffermarono qui e lì, finchè il suo viso non si illuminò di colpo: “Rudolf! Come abbiamo fatto a non pensarci?” e lui “Rivelami la tua intuizione ti prego, la mia conoscenza della città non è confrontabile con la tua” e Artemisia: “Solcava acque e ora abbraccia libri… quella frase parla di una gondola che viene utilizzata come libreria e, proprio lì vicino, ce n’è una che espone i libri utilizzando materiali di recupero tra cui una gondola, la Libreria Acqua Alta!”. Rudolf la cinse e stretti in un abbraccio saltellarono insieme dalla gioia. Rudolf e Artemisia tornarono nella stanza dove Krampus era ancora ancorato al muro, investito dalla luce — ma senza gettare ombra. Una mancanza che Rudolf registrò solo a metà, come un’informazione su cui la mente scivola via prima di afferrarla davvero. Si sedettero e cominciarono a discutere su cosa avrebbero trovato alla libreria. In quel momento, con passo felpato e quasi innaturale, Krampus si avvicinò al tavolo, ascoltando le deduzioni tratte dagli indizi che i due avevano elaborato mentre lui, forse apparentemente, dormiva sotto la luce flebile che entrava dalla finestra. Con un ghigno appena accennato piegò la testa di lato: “Se Santa ha davvero lasciato qualche segno dietro di sé – disse con voce piatta – non saranno certo quei tre… piccoli tocchi che usa fare a metterci sulla pista giusta”. Seguì un silenzio breve che parve eterno. Artemisia sollevò il volto, era consapevole di dove si trovasse così rivolse un battito di ciglia soltanto, ma sufficiente per lanciare un messaggio chiaro agli occhi di Rudolf. Un’intesa istantanea che riusciva a comunicare nel silenzio questa frase che pensavano entrambi: Krampus non poteva saperlo. Lui continuò, impassibile, giocherellando con uno dei dettagli ornamentali del suo bastone e disse: “Dobbiamo concentrarci su ciò che sappiamo davvero. Senza operare con gesti istintivi o privi di logica”. Quel tono colpì ulteriormente Rudolf e Artemisia, pareva che Krampus stesse ricordando qualcosa, Artemisia di colpo sentì una scossa alla schiena, un brivido risalì dalla base fino alla nuca. Krampus non poteva conoscere i tre tocchi a meno che non fosse stato presente quando Santa li eseguì o, addirittura, non li avesse fatti lui. Rudolf esordì: “Andiamo che il sole mangia le ore” Artemisia rise per questa parafrasi del detto veneziano e, approfittando di un momento in cui Krampus era intento in altro fece con le dita il segno di ok a Rudolf. Uscirono di casa, Elio ogni sei passi si girava verso Krampus, quella frase aveva lasciato un alone strano anche a lui. Si incamminarono in Corte Veniera, giunsero davanti all’osteria, dunque davanti alla barca di Luca, Rudolf sospirò e disse: “Ti troveremo fratello”. Subito dopo alzò lo sguardo e fu catturato dalla bellezza di Palazzo Tetta illuminato dal sole. “Un palazzo bagnato dall’acqua su tre lati, non sarà l’unico in città, ma questo tra i tanti ha un fascino davvero unico”. Rudolf proseguì: “E quelle persone che sbucano dal muro e guardano il canale dove sono?” Artemisia: “Quello è l’affaccio panoramico ottenuto con una scala composta di libri che, simbolicamente, si fanno gradini. Proprio lì alla libreria”. Rudolf accelerò il passo e, in men che non si dica erano arrivati. Entrarono, tanti, tantissimi turisti affollavano già alle prime ore del mattino quel luogo sospeso. C’erano libri, cartoline, gondole usate come scaffali, gatti, sì, anche gatti. Krampus, visibilmente in difficoltà in quegli spazi angusti, ad un tratto vide una poltrona, una sorta di trono, e disse: “Bene, qui han capito chi sono” e si sedette affatto interessato alla ricerca in corso. Rudolf e Artemisia proseguirono, si fecero largo tra i visitatori, lasciando Krampus sul suo “trono”. La libreria, con i suoi corridoi stretti e serpeggianti, pareva respirare. Ogni passo era un tuffo in un archivio vivente, un mosaico di storie sospese ma nonostante tutto, catalogate con cura. Giunsero nella stanza laterale dove, contro un vecchio portone color verde mare, era stata allestita una tavola di legno con cartoline appese tramite piccole mollette. Una sorta di mostra spontanea dedicata agli oggetti ritrovati. Rudolf si fermò di colpo. Non fu un gesto deciso, ma un rallentamento naturale, come se qualcosa gli avesse sfiorato la mente prima ancora degli occhi. Artemisia inclinò appena il capo percependo un’energia diversa: “Che succede?” Lui non rispose subito. Aveva visto quella cartolina appesa prima ancora di leggerla e di saperne la storia. Il rettangolo chiaro sul lato superiore, dove un francobollo era stato staccato con cura, gli aveva trafitto la mente. Si avvicinò. Artemisia, seguendo il suo silenzio, ne percepì l’intensità. Rudolf prese la cartolina tra le dita. Sul fronte, Betlemme in una stampa d’altri tempi. Sul retro, la calligrafia ordinata: “Ti mando un caro saluto da questi luoghi Santi. Spero di trovarti bene. Il mio viaggio sta proseguendo benissimo: partire da Roma per andare a Betlemme è stato un viaggio quasi metaforico, a ritroso, dall’Omega all’Alfa delle tradizioni cristiane.” Artemisia, attenta ai cambiamenti impercettibili del respiro, riconobbe quel tono di sospensione: “Rudolf… è qualcosa che conosci”. La voce gli uscì bassa, quasi incrinata. “Santa è passato di qui, la cartolina magari la trovò l’anno scorso. La stessa. Identica, me lo sento”. Un gatto bianco e rosso, appollaiato su una pila di volumi lì vicino, li osservava immobile, coda piegata come un punto interrogativo. Sotto la cartolina c’era un biglietto scritto a mano che recitava: “Ringraziamo il visitatore dalla barba bianca e folta che nel dicembre 2024, per proteggere questa dedica da lui scoperta, acquistò soltanto il francobollo staccandolo dalla cartolina. Grazie al suo gesto oggi possiamo ancora leggerla e provare le stesse emozioni che hanno coinvolto lui”. Rudolf trattenne il fiato. Era come se quel piccolo frammento di carta fosse un segno lasciato non solo da Santa, ma dal mondo stesso: un filo sottile che resisteva al tempo, alle tempeste e persino alle ombre che parevano allungarsi sul Natale. Artemisia sfiorò il bordo del pannello. “Sono parole gentili, calde e rare. Se Santa ha toccato questa cartolina… allora forse siamo più vicini a lui di quanto pensiamo, è un segno”. Rudolf sussurrò “Sì” lentamente. Per la prima volta da giorni, sentì una certezza semplice, limpida: Santa non era un’eco lontana, ma il riverbero lieve di una grande onda. Era passato da lì. E aveva lasciato tracce di sé per avrebbe saputo vedere — o riconoscere. Alle loro spalle, il gatto miagolò piano, come se avesse appena confermato qualcosa che nessuno aveva chiesto. Rudolf rimise la cartolina al suo posto con un gesto misurato, quasi rituale. Poi guardò Artemisia: “Andiamo avanti. Santa sta parlando ancora tra queste mura. Dobbiamo solo ascoltare”. Fu in quel momento che il gatto, con un balzo, tentò, apparentemente, di graffiare Rudolf che si girò e disse: “Hey hey micio, che ti ho fatto?” Elio si scocciò e si allontanò per non litigare con l’altro quadrupede, che di nuovo tentò di attirare l’attenzione di Rudolf: “Ok dai, provo a seguirti dato quanto insisti”. Sinuoso ed elegante si fece cicerone, di scaffale in scaffale, di stanza in stanza. D’un tratto si fermò. Era una stanzina piccola, quasi un vicolo cieco che però godeva di una luce strana, calda e intensa. Artemisia: “Rudolf, in questo anfratto sento un’energia incredibile” e lui: “Artemisia, il gatto non voleva graffiarmi, in questa stanza c’è un luminæon che, colpito dai raggi del sole, si esalta”. Rudolf prese la sfera e la mise nella sua sacca di juta con le altre, certo l’aveva lasciata lì Santa, sicuramente, ma a questo punto per non sentirsi totalmente dei ladri scelsero di acquistare dei libri e lasciare una generosa mancia a favore del mantenimento dei gatti. Una volta in cassa si unì loro anche Krampus, Artemisia prese Elio in braccio per preservarlo da schiacciamenti fortuiti e Rudolf pagò tre libri con Artemisia che curiosa chiese: “Cos’hai comprato?” e lui: “Una guida su Venezia, un ricettario italiano e, non meno importante, un manuale sull’autostima e la trasformazione dei sensi di colpa in energia positiva”. Mantenendo il suo ormai consueto silenzio, Krampus si fermò improvvisamente sedendosi, quasi in segno di ribellione, sopra la carriola dei libri posta da anni fuori dalla libreria. Assunse un’aria concentrata e, sollevando la mano sopra una mappa della laguna, tracciò tre tocchi nell’aria, identici a quelli che Santa aveva tracciato tempo prima. Un fremito attraversò la calle; Krampus a quel punto fece altri tre tocchi, più misurati, su un punto preciso di una mappa della laguna. Il buio si accese per un istante, poi lui scomparve in un lampo e della mappa non rimasero che le ceneri, bruciò. Non lasciò traccia se non un’eco sospesa, un respiro interrotto, un urlo soffocato in gola. Artemisia, Elio e Rudolf rimasero esterrefatti: nessuno avrebbe osato fiatare. Qualcosa di oscuro si era rivelato nella sua vera natura ed era appena passato oltre, chissà verso dove, dopo essere stato a lungo uno di loro.


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“Chi ha rapito Santa Claus?” 19 Dicembre – Il Rapimento

"Chi ha rapito Santa Claus?" - cover by Trarealtaesogno

19 Dicembre – Il Rapimento

La navigazione procedette placida e condusse Artemisia, Elio, Krampus e Rudolf in un lungo attraversamento della laguna al chiaro di luna. Le acque si mostravano piatte, quasi setose, prive di increspature. Le luci sulle bricole si sommavano alle stelle e il silenzio, specialmente di fronte a Ca’ Roman si fece profondissimo. Luca a differenza del solito appariva meno chiacchierone, meno interattivo, aveva assunto la classica espressione di chi sta rimuginando su qualcosa. Alternava momenti in cui il suo viso si faceva faro nella notte ad altri in cui si spegneva. Nessuno osava chiedere il perché, un po’ per la stanchezza e un po’ per non fermare il suo processo mentale. Ad un tratto Rudolf lo guardò e disse: “Vuoi il cambio alla guida?” e lui: “No tranquillo, sto solo riflettendo su un dettaglio che mi ronza in testa, una sorta di porta aperta su un corridoio buio, al termine del quale però intravedo una luce, una soluzione. Se lo dicessi ora vi influenzerei e non è mia intenzione farlo. Quando avrò capito ve lo dirò”. Nessuno se n’era accorto tranne Luca che, stando a poppa con la barra del timone in mano poteva osservarla da relativamente vicino, ma la barca Santa era seguita in acqua dall’ombra minacciosa, che però non pareva interessata a far danni, ma a carpire segreti. Il frate trovò in un angolo un bulino acuminato e, data la situazione, cominciò a segnare la carena interna dell’imbarcazione per lasciare una traccia di quello che aveva intuito. Arrivarono all’attracco davanti all’Osteria dove avevano già fatto stazionare la barca precedente, stavolta l’Osteria era aperta e, data l’ora e la fame scesero tutti e, incrociando l’oste al suo esterno chiesero se vi fosse posto anche per tutti loro. Quello rispose: “Prego, c’è spazio per tutti, anche per quelli grandicelli” disse guardando la mole di Krampus che con un ghigno dei suoi sbuffò. Rudolf aiutò Artemisia ed Elio a scendere e poi si rivolse a Luca, ancora intendo a segnare la barca di nascosto: “Hey Luca, non hai fame?” e lui: “Andate avanti, ordinate un primo, io finisco una cosa e, da bravo frate, mi accontento di un secondo”. Rudolf non ci vide alcunchè di strano e con un sorriso si girò, raggiungendo gli altri all’interno”. Poco dopo uscì e per portarsi avanti chiese: “Luca, fegato alla veneziana o manzo?” e lui: “Seguiamo le tradizioni dai, vai col piatto veneziano”. Rudolf tornò dentro e, poco dopo Luca alzò le mani al cielo in segno di riconoscenza: aveva infatti finito di incidere simbolicamente la sua intuizione sulla barca, proprio vicino al timone cosicché niente e nessuno potessero scipparla alla squadra. Artemisia, a tavola con gli altri, si rivolse a Rudolf: “Quando interpreterai cosa ci riserva il libro dei frammenti di tenebra per il prossimo futuro?” e lui: “Quando rientra Luca e dopo aver mangiato il secondo provvederemo, ora ci sono troppe distrazioni e Krampus, come vedi, addirittura dorme sulla sedia”. Risero, perchè effettivamente pareva assopito pur avendo gli occhi aperti, data la particolarità del personaggio però non vi diedero peso alcuno. Rudolf gli passò una mano davanti agli occhi, ma niente, non reagì. “Addormentato ad occhi aperti, pazzesco, lasciamolo fare dai..” arguì dunque Rudolf per chiudere l’episodio. Arrivarono i camerieri con i primi, Artemisia sentì il profumo dei suoi spaghetti al nero di seppia e sorrise in piena beatitudine, poi fu la volta di Rudolf, a Elio misero a terra una ciotolina con dei pezzettini di tonno, lo gradì e si accomodò ad assaporarlo, infine arrivò il piatto innanzi a Krampus, ancora addormentato ad occhi aperti. Il cibo però svolse un ruolo miracoloso: appena il suo piatto di pasta con le vongole gli fu davanti infatti si rianimò e sogghignando in maniera quantomeno particolare disse tra sè e sè, ma udibile: “Davvero eccellente, molto, molto, bene”. Rudolf però, dopo il primo boccone, posò la forchetta e disse: “Ragazzi, capisco voglia mangiare solo il secondo, ma, se siete d’accordo, andrei a chiamare Luca dentro con noi. Qualunque cosa stia facendo la finirà dopo”. Rudolf uscì, la barca era lì ormeggiata, ma la sensazione che lo travolse fu quella di un paesaggio del deserto nord glaciale artico, di Luca e delle sue cose nessuna traccia: “Corpo di mille renne! Luca?!? Dove sei?” Artemisia aveva un senso dell’udito fortissimo così, quasi scaraventando le posate sul tavolo corse fuori e, una volta raggiunto Rudolf disse: “Rudolf! Rudolf! Che succede?” e lui cingendola: “Lu.. Luca..” e lei: “Luca?” e Rudolf dopo aver visto accorrere anche Elio: “Non c’è, non è qui… ho paura che sia stato rapito”. Elio si strusciò teneramente, forse triste, sulle gambe di Rudolf provando a consolare il suo dolore e quest’ultimo disse: “Luca prima parlava di aver avuto un’intuizione, questa sparizione non è casuale. Mi ero accorto che mentre teneva il timone spesso si guardava indietro, verso l’acqua, ma non ci avevo dato peso. Sono un pessimo compagno di squadra”. Artemisia strinse le sue mani e, accoratamente, rispose: “Rudolf, non si può ponderare l’imprevedibile, anche io ho sentito un odore strano prima che tu urlassi quando ero dentro al locale, anzi, per la precisione l’ho sentito quando Krampus ha riaperto gli occhi per il cibo, ho sentito un fortissimo odore di cenere”. Rudolf a quel punto disse: “Artemisia, che ne dici di salire a bordo della barca e provare a percepire qualcosa? Dividiamoci, io vado a prua e tu a poppa, poi semmai ci invertiamo”. Mentre Artemisia tracciava ampissimi gesti con le mani e, di tanto in tanto toccava il legno della barca, Rudolf camminava nervosamente a prua, posando lo sguardo ovunque, dentro e fuori la “Santa”. Ad un tratto Rudolf non trovando conforto e vedendo Artemisia tutta concentrata approfittò per tirare fuori il Libro dei frammenti di tenebra per capire se avrebbe potuto aiutare. Elio, vicino ad Artemisia, si mise a grattare con forza un punto della barca, proprio vicino ad Artemisia che disse: “Ma Elio, che succede? Dimmi!” lei poi toccando la parte di barca che il felino grattava prima lo redarguì perché credeva l’avesse rovinata, poi lo prese in braccio fiera: “Bravissimo!”. Rudolf: “Che succede Artemisia?” e lei: “Qui Rudolf, qui dove Elio grattava, ci sono delle incisioni, tipo un disegno, sembrerebbero dei rovi”. Rudolf accorse e li vide, erano proprio rovi incorniciati in una finestra. Krampus uscì dall’osteria tutto fiero e disse: “Io nel dubbio ho mangiato tutto quello che voi avete lasciato lì, c’è da pagare il conto e… Luca dov’è?” la risposta di Rudolf, sommessa, non tardò: “Luca temiamo sia stato rapito Krampus” e quello come se nulla fosse: “Ah, caspita, allora il conto tocca a te Rudolf”. “Al conto ci pensiamo dopo, abbiamo trovato un piccolo indizio, ma finchè non capiremo di più possiamo solo ipotizzare che chi ha rapito Santa ora abbia in scacco anche Luca, sono convinto che, a malincuore, anche lui ci direbbe di proseguire e di non mollare. Salvare Santa significherebbe salvare anche Luca, ce la faremo!”. Artemisia sorrise in direzione di Rudolf, mentre Krampus, glaciale come suo solito: “Allora se dobbiamo agire io comincio andando al bagno”. Rudolf invitò Artemisia ed Elio ad attenderlo sulla riva, seguì Krampus all’interno, si scusò con l’oste per le strane dinamiche e, una volta pagato, tornò fuori. Krampus non era ancora arrivato, ma il tempo stringeva e dunque esordì così: “Artemisia, che dici, facciamo qualche ora di sonno, o almeno ci proviamo, e domani analizziamo meglio il libro e cerchiamo di capire che strada prendere o ci mettiamo subito all’azione” e lei, saggia e pacata come sempre: “Rudolf, vorrei dirti che con i miei canali alternativi ho delle sensazioni, ma non è così. Ci conviene riposare e sperare in un domani migliore” Rudolf sorrise amaramente e, dandole ragione, la prese per mano accompagnandola verso l’ingresso dell’osteria. Passarono più di dieci minuti ancora, ma di Krampus nessuna traccia, così si dissero: “A questo punto torniamo a casa, sa dove trovarci no?” e lei: “Ok, non è la cosa più cortese ma a questo punto meglio, magari avvisiamo l’oste di dirglielo, che dici?” Rudolf annuì e, avvisato l’oste, uscì. In pochi minuti, attraversando con Artemisia ed Elio Campo San Giovanni e Paolo, totalmente deserto, si lasciò andare a qualche lacrima commossa per le emozioni che gli suscitava quel luogo, per i ricordi dell’anno prima e, specialmente, per la scomparsa di due persone a cui si sentiva legatissimo. La commozione però durò poco, le luci in casa di Artemisia erano accese, Rudolf vedendole se ne preoccupò e, avvisandola, le disse: “Facciamo attenzione, potrebbe essere il rapitore” e lei: “Andiamo per di qua, una delle finestre in realtà è una porta mascherata, seguimi”. Come al solito il suo modo di vedere attraverso la mente e la memoria superava il senso che tutti conosciamo. Entrarono, silenzio, Rudolf seguì la luce, proveniva dalla zona in cui c’è il tavolo su cui facevano le colazioni e le riunioni. Artemisia: “Ancora quell’odore di cenere, ma non sento energie strane”, Rudolf si affacciò e, eccolo lì il mistero da risolvere. Era una creatura vestita con una tunica e che dormiva in piedi, con un bastone tra le mani, gli occhi aperti che parevano scrutare il buio nel sonno. La luce fredda della notte rimbalzava sul suo volto arcigno, facendolo apparire come una creatura ricavata dall’ombra stessa, una entità che neppure il mondo sapeva se accettare o respingere. Era Krampus, non si sa bene come, ma era lì. Addormentato in piedi. Artemisia ne rise, Rudolf sbuffò, per la prima volta forse nella sua lunga vita e si girò, abbracciando Artemisia e augurando a lei ed Elio una notte serena. Consapevole che la sua non lo sarebbe stata affatto.


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“Chi ha rapito Santa Claus?” 18 Dicembre – Ritorno a Castello 

"Chi ha rapito Santa Claus?" - cover by Trarealtaesogno

18 Dicembre – Ritorno a Castello 

Schabmänner in azione

Patty aveva ormai colto il meccanismo: ogni volta che gli sfilava il cappuccio, qualcosa nell’oscurità si agitava, come se l’Ombra, custode di quel luogo, impartisse un ordine che altri avrebbero dovuto eseguire per lei; non poteva toccare Santa, solo comandare, era un’ombra in fondo. Lui, a bassa voce: “Patty… hey Patty, posso chiederti una cosa? La tua risposta potrebbe aiutarci tutti più di quanto immagini”. Lei tornò su, da terra alla sua spalla destra, e sussurrò: “Dimmi, sarei felicissima di poterti aiutare”. “Patty, prova a farmi capire, chi ti impedisce di farmi togliere questo cappuccio e me lo rimette ogni volta?”. “Ma io non saprei… nel senso che li vedo da sempre, ma mai distintamente, sono goffi e strani”. “Strani… in che senso?”. Con uno sforzo di coraggio: “Hai presente una scopa di saggina?”. “Sì, ovvio, puliamo sempre anche al Polo Nord sai?”. “Era una domanda discorsiva, non fare il permaloso… davvero, sono sorte di scope di saggina con le braccia”. Santa si illuminò come un plenilunio nella notte polare: “Schabmänner! Patty, dimmi: si muovono a scatti? Sono maldestri e apparentemente stupidi, muovendosi in maniera molto rumorosa?”. “Sì! Proprio così!”. “E dimmi, si agitano, barcollano, fanno le cose dando l’impressione di dimenticarsene mentre le fanno?”. “Esatto! Sai chi sono?”. “Sì, tutto torna: l’Ombra li comanda, loro eseguono, e male… forse senza avere idea di ciò che fanno davvero”. Santa: “Oggi è un giorno fortunato!” Dal buio del corridoio si udirono dei rumori, gli stessi di una scopa che spazza il pavimento, emerse il contorno indefinito ma riconoscibile di uno Schabmänner. Patty spostò con un colpo di anche la lanterna che ora lo illuminava a brevi tratti: corpo di scopa, braccia lunghe e sottili che oscillavano in maniera goffa, occhi minuscoli che lampeggiavano come lumicini impazziti. Ad ogni passo produceva un scricchiolio legnoso e un fruscio di setole “scrish-scrash” che parevano applaudire da sole ad ogni movimento. Giunto lì quasi perse l’equilibrio, facendo roteare le braccia come se stesse danzando in una coreografia assurda. La Schabmänner, senza accorgersene, urtò una piccola levetta nascosta vicino a un pilastro: un lieve clic fece scattare una catena verso il basso, a poche decine di centimetri dalla testa di Santa, facendola oscillare lentamente come un pendolo che danzava nell’aria. L’ombra che vegliava sulla sala da lontano, apatica e disinteressata, si mosse appena, ma nessuno ancora seppe cosa significasse. Patty scivolò indietro, ridendo nervosamente:  “Oh… oh no… guarda come cammina… non si può proprio vedere!” Santa, invece, osservava con attenzione, cercando di carpire ogni possibile dettaglio da quegli istanti. La Schabmänner, ignara di quanto avesse fatto con quella catena, continuò a sbattere oggetti e inciampare, producendo rumore costante e disordinato che fece risuonare echi buffi tra le pareti della prigione. Arrivò infine il momento, la Schabmänner arrivò davanti a Santa, lui seduto stavolta riusciva a guardarla, vederla, distinguerla. Questa alzò il suo sguardo decisamente poco sveglio e precipitò negli occhi di Santa che le si rivolse così: “Ma ciao Schabmänner! Mi volevi rimettere quello?” Guardando verso il cappuccio per terra. Ciò che ne seguì non si sarebbe potuto vedere nemmeno sommando tutte le scene più trash dei film comici. Una danza delirante affatto dotata di equilibrio. Santa: “Tutto questo trambusto per un cappuccio… se solo avessero un briciolo di cervello, sarebbe stato più semplice che bere un bicchiere d’acqua!” Patty scivolò giù verso il muro, intuendo di doversi nascondere, l’Ombra bofonchiò dalla sala in cui si era ritirata fidandosi, ingenuamente, di quelle scope senza cervello. Arrivata all’ingresso della cella impartì ad altre quattro Schabmänner di porre rimedio e ricoprire con il cappuccio Santa: “Agite, stolte… Sempre a inciampare. Se potessi… non avrei bisogno di nessuna di voi. Prima lo terrei incappucciato come si deve… e poi mi assicurerei che imparaste la lezione. Una alla volta, ma per vostra fortuna come ombra non posso agire.” rise grottescamente. L’Ombra, distesa lungo il muro in un’oscillazione sinuosa, proiettò per un istante una forma luminosa alla sorgente: qualcosa di appuntito e fragile tremolava sulla parete. Santa rabbrividì, come se un ricordo antico cercasse di riaffiorare, senza riuscire a identificarlo del tutto.: la forma, il tremolio… un ricordo antico cercava di riaffiorare, qualcosa che lo riportava a un’ombra che un tempo aveva incrociato. Stringendo leggermente le mani, sussurrò tra sé e sé: “L’Ombra ordina, ma tutto il resto è affidato a queste scope impazzite…”. Santa venne così incappucciato nuovamente, l’ombra si allontanò sinuosa e quelle scope impazzite uscirono caracollando dalla cella. Patty fece capolino da una fessura sul muro a mezza altezza e disse: “Via libera!” Si precipitò dunque giù attraverso percorsi che solo lei conosceva e, giunta innanzi la punta delle calzature di Santa, cominciò la risalita fino alla nuca di Santa, cominciò a tirare e… “Libero!” Squittì esultante. Lei tornò davanti a lui, altezza ginocchio, lo osservava nel suo sembrare meditabondo e gli disse: “Hai tutta l’aria di qualcuno che ha visto una che gli è rimasta impressa nel subconscio” e Santa: “Brava! L’Ombra prima ha detto o fatto qualcosa che mi si è instillato nelle ossa, qualcosa che non mi giunge come nuovo… la mia anima ora sa più di quanto lascia intravedere”. Nel frattempo Rudolf e gli altri erano risaliti a bordo della Santa. Poco prima della partenza, precisamente nel momento in cui a Santa venne sfilato per la seconda volta il cappuccio, gli Umbræon e i Luminæon vibrarono distintamente, dando l’impressione di compensare tramite la loro prossimità le rispettive energie. Contemporaneamente, mentre Luca slegava gli ormeggi, nelle acque appena sotto il Ponte di Vigo ecco palesarsi il volto oscuro, quello dello specchio, quello che aveva distrutto la sanpierota di Luca, le acque cominciarono a muoversi spumeggianti e scure. Rudolf: “Che succede?” e Luca, indicando le acque con l’indice destro proteso: “Lì”. Accorsero tutti a poppa per osservare, capire, difendere. Fortunatamente non fu necessario, il volto parve farsi preoccupato, adirato e, infine, distratto. Si affievolirono tutti i fenomeni e, com’era dal nulla apparso, nel nulla sparì. Il merito? Di Santa e Patty, che, inconsapevolmente, privando il primo del cappuccio e grazie all’inefficenza delle Schabmänner costrinsero il volto dell’ombra a tornare dal suo proprietario. L’ombra a guardia di Santa. Patty scese dalle sue gambe, Santa ne osservava l’ombra minuta a terra e, ridacchiando ebbe modo di riflettere su quanta intelligenza ed empatia serbasse quella creaturina. Patty lo guardò e disse: “Hey, che succede? Stai male? Ti sei fatto serissimo” e lui, con una luce nuova negli occhi e una voce che, per determinazione e forza ricordava quella che avremmo attribuito ad un gladiatore del Colosseo: “Patty, cara Patty, sono i dettagli a fare la differenza, sappi solo che in questo momento sono certo di conoscere l’identità del mio rapitore”. La topolina fu travolta da una variegata quantità di emozioni: pianse, fu felice, ma anche emozionata e triste, perché se lui fosse riuscito a liberarsi era consapevole che lo avrebbe perso per sempre. Nel frattempo a bordo della “Santa”, la barca ancora nei pressi del Ponte di Vigo, Rudolf osservò l’acqua tornare calma, ma non senza fidarsi di quella calma e silenzio che riteneva apparenti. Disse: “È finita qui… solo per ora. Ritorniamo a Castello, riposiamoci e facciamo il punto della situazione”.

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