
22 Dicembre – Invano

La tristezza e la delusione avevano conquistato il gruppo. In Rudolf i sensi di colpa bruciavano i bordi della sua anima, in Artemisia pulsava inesorabile lo sconforto. Perfino Elio zampettava mesto con la coda tra le gambe. Decisero di far rientro a casa di Artemisia per confrontarsi sulla situazione, capire se sarebbe emerso un nuovo enigma dal libro dei frammenti di tenebra. Dato lo scoramento sarebbero stati disposti a sperare in qualsivoglia evento salvifico per ribaltare una situazione che, a parte per gli Umbræon e i luminæon che erano ancora nelle loro mani, pareva ormai compromessa. Rudolf alzò gli occhi al cielo, poi nemmeno la vista della barca Santa, attraccata nei pressi di Palazzo Tetta riuscì a distoglierli dai rispettivi pensieri. Arrivati davanti alla porta Elio ne grattò la soglia e Artemisia disse: “Dai piccolo, un attimo e andiamo dentro, sù!” Prese così dalla tasca la chiave ed aprì. Rudolf entrò e guardò con aria corrucciata l’angolo in cui solitamente Krampus dormiva in piedi. Elio corse su una sedia e lì vi si appallottolò sopra. Artemisia mise a bollire dell’acqua dicendo: “Un buon tè ci salverà l’animo”. Rudolf sorrise malinconicamente e con voce calda disse: “Spero tu abbia ragione, intanto provo a consultare il libro, chissà che non ci dica qualcosa di utile”. Lo stupore lo colse al punto di esclamare: “Perdincibacco!” e Artemisia: “Che succede Rudolf?” e lui: “tutte le pagine bianche del libro, tutte tutte tranne una, sono ricoperte dal disegno di rovi, rovi ed un edificio in rovina, dappertutto, penso che anche il libro ci abbia abbandonato o semplicemente ci stia parlando sì, ma in maniera indecifrabile…” portandosi le mani sulla faccia. Fu quella frase, pronunciata come un requiem da Rudolf, insieme ad un ricordo riaffiorato improvvisamente ad accendere invece la luce delle idee in Artemisia che corse letteralmente verso la sua camera, inseguita da Elio, urlando: “Eureka! Eureka!”. Rudolf alzò la testa cercando di capire e rimase appeso con sguardo e udito rivolti verso la stanza di Artemisia. Lei di nuovo: “Eureka! Eureka! Rudolf vieni qui, subito!” e lui: “Eccomi, che accade?!”. Artemisia, con una precisione inspiegabile dato il suo limite visivo, indicava un punto preciso della sua mappa della laguna, Rudolf si avvicinò per leggere e, sottovoce disse: “Poveglia, ex manicomio, rovine e rovi” poi volgendosi verso Artemisia: “Dici che avevamo la risposta davanti agli occhi fino ad ora?” e lei: “Si, perchè rovi, finestre, edificio in rovina, tutto collima con il profilo dell’isola di Poveglia” e Rudolf: “Cosa aspettiamo a salpare? Andiamo a scoprire quale mistero si cela laggiù”. Uscirono di casa rapidamente. Molto più velocemente di come vi fossero entrati, ritemprati nello spirito e nelle energie. Arrivati davanti all’osteria nella Fondamenta dei Felzi, dove era ormeggiata la barca, notarono un ragazzino a bordo. Osservava attentamente l’incisione, e quando si accorse di essere guardato, si girò verso Rudolf e gli altri: “Dovete sapere che i rovi crescono lì dove nessuno guarda più, in quei luoghi che cambiano ogni volta che ci torni e serbano i semi di un dolore antico,” disse, come parlando a se stesso e al contempo a loro. Rudolf lo osservò incuriosito, Artemisia rimase immobile, come avvolta da un filo invisibile. “Che bel pensiero… come ti chiami?” chiese. “Sono Nico,” rispose il ragazzino, con occhi che parevano ancora illuminati da un bagliore lontano, “sono salito a bordo perché il nome, i colori… e questa incisione mi ricordavano qualcosa… qualcosa che non so spiegare del tutto.” Rudolf, un po’ sorpreso, annuì: “Noi dobbiamo muoverci, ma finché la barca resta qui, puoi curiosare quanto vuoi.” Nico sorrise appena, un filo di luce tremolante nei suoi occhi come se vi fosse un’eco, un riverbero, di quella luce sprigionatasi un anno prima così pura e potente da quelle parti. Per un istante alzò la mano come a voler accarezzare l’incisione, e poi, come fosse capace di dominare una legge invisibile, sparì tra le ombre della Fondamenta, lasciando dietro di sé un senso di mistero sospeso. Rudolf rise piano: “Ah, questa gioventù… sempre pronta a fare stravaganze senza chiedere permesso.” Rudolf prese il timone, aveva studiato dalla mappa in camera di Artemisia l’itinerario, ormai non poteva definirsi un marinaio, ma qualcosa lo stava imparando. Usciti dal dedalo di canali interni imboccarono il Rio dei Greci per uscire nei pressi del Bacino di San Marco trovando innanzi a loro l’Isola di San Giorgio Maggiore. Rudolf, memore di quanto visto, costeggiò l’isola de la Grazia, poi quella di San Clemente, poi San Spirito ed infine, ecco Poveglia all’orizzonte. I nostri vi giungevano dal versante est e ad un tratto Artemisia: “Sento della luce fortissima, un’energia radiosa, Rudolf, mi sto perdendo qualcosa?” indicando verso ovest e lui: “No Artemisia, la laguna è placida, la luce solare piatta, in quella direzione ci sono due vogatori con una barchetta, ma sono davvero un puntino all’orizzonte” e lei: “Ok, mi stavo preoccupando, avevo il timore stesse accadendo qualcosa di strano”. Vi era un pontile nel versante sud-est di Poveglia e, per praticità, decisero di attraccarvici. Rudolf scese per primo, aiutando poi Artemisia ed Elio nella discesa. La natura era la regina, incontrastata di quei luoghi. Il caos era l’architetto di ciò che, selvaggiamente, era cresciuto senza influssi umani. Nell’avvicinarsi Artemisia sentì dei rumori, come un bussare forte e costante in lontananza: “Rudolf, lo senti anche tu?” e lui “Quel toc toc toc quasi costante? Sì, magari è qualcuno che chiede aiuto, magari Santa o Luca” avviciniamoci senza farci sentire, chiunque sia sarà felice di essere liberato. Artemisia: “Che odore nauseabondo!” e Rudolf: “Stiamo passando vicino alle cucine, dei pentoloni avevano continuato a ribollire incustoditi, il loro fondo in alcuni casi si era sciolto, in altri il cibo ormai stracotto aveva assunto un sentore davvero fetido”. Rudolf vide un secchio d’acqua, lo gettò sui fuochi così da interrompere la produzione di odori indesiderabili. Il bussare si fece più forte. Passarono dal corridoio, una cella era aperta e vuota, a terra Rudolf notò qualcosa di familiare: “Un pezzo di saio! Luca forse è qui da qualche parte..” Artemisia, vicino alla soglia da cui proveniva il rumore bisbigliò: “Sento delle presenze, più di una dietro la porta, nulla di pericoloso a pelle”. Rudolf allora sfilò l’anima dal chiavistello sbloccando la porta, ciò che accadde dopo fu memorabile. Come una tempesta non uno, non due, ma almeno una decina di Schabmänner uscì disordinatamente dalla cella. Le Schabmänner impazzirono completamente: si urtavano tra di loro, sbattevano contro le pareti e producevano suoni grotteschi in una sinfonia affatto melodica. I loro occhietti vacui luccicavano di una follia incontrollabile, e i movimenti scoordinati le rendevano quasi sfumate, come se un vento invisibile le avesse animate solo per seminare caos o soffiarle via. Nel trambusto del loro non capire più nulla, forse intuendo anche molto meno del solito, sembravano più spaventate da loro stesse che da chiunque altro. Rudolf e Artemisia scoppiarono a ridere per quanto avevano appena vissuto, ma il sorriso durò poco, Rudolf entrò nella cella da cui erano uscite come una mandria quelle creature e, guardando la sedia, riconobbe un lembo del vestito di Santa. Era stato lì, forse fino a poco prima. Artemisia: “Sì, non è qui, non ora, ma lo era”. Elio ricomparve dopo essersi spaventato per colpa delle Schabmänner. Rudolf: “Ok le sensazioni, ma che dici Artemisia se proviamo comunque a cercarlo?”. Lei annuì. Girarono ogni anfratto, badando di non farsi male dato che l’isola ed i suoi edifici versavano in uno stato di totale abbandono e decadimento. Di Santa e di Luca solo gli indizi nelle celle, nulla di più. Forse Krampus nel suo piano diabolico li aveva tratti con sé in un altro nascondiglio. Uscirono all’aperto, dirigendosi verso la barca, Elio cominciò ad aggrapparsi ai pantaloni di Rudolf, come a volerlo rallentare. Lui si girò e disse: “Elio, dimmi, cosa c’è? Non possiamo mica restare qui”. Niente, il gatto continuava a tirarlo dalla parte opposta rispetto alla barca. Continuò per minuti con Artemisia che sorrideva immaginando l’impasse. Ad un tratto Rudolf guardò verso il campanile e non verso il gatto che lo voleva trainare. Notò una luce abbagliante dalla cella campanaria del campanile. Al che Rudolf disse: “Aspettatemi qui, torno subito”. Artemisia non capì nulla di quanto stesse accadendo, ma si fidò di lui. Le campane dell’isola suonarono, una, due, cinque volte. “Ma non era abbandonato questo posto?” Si chiese lei stupefatta. Intanto, salito sul campanile di Poveglia, Rudolf arrivò a tenere tra le mani un luminæon, il quinto. La sua superficie pulsante irradiava una luce calda e viva, come se custodisse un’energia sottile, vibrante, che pareva insinuarsi tra i canali e le rovine, insinuando nei cuori di chi la osservava un senso di possibile salvezza, un filo invisibile che collegava il passato con il presente ed il futuro. Elio si strusciò tra le gambe di Rudolf non appena lo vide tornare, come percependo anch’egli quel riverbero, mentre Artemisia, pur senza poterlo vedere direttamente, sentiva un fremito da pelle d’oca, un’eco di qualcosa di più grande che stava per accadere. Artemisia disse: “Trovato qualcosa?” e Rudolf: “Torniamo a casa con un pizzico di luce in più Artemisia, in cima al campanile ho trovato il quinto luminæon, non so ancora se sia un vero e buon presagio, ma è la prova che una parte della soluzione passa da queste sfere potenti e misteriose”. Nel frattempo, Luca e Santa, un colpo di remo alla volta, erano giunti fino a Riva degli Schiavoni e, d’accordo sul suggerimento di Luca, si stavano dirigendo verso Campo San Zaccaria per bussare alla porta della sacrestia, dove Luca contava di trovare Don Lucio, un suo carissimo amico che di certo non avrebbe rifiutato di offrire aiuto a lui e al suo misterioso compagno di viaggio. Il gruppo, pur ancora diviso e ignaro di come tutte le tessere si sarebbero ricomposte nel mosaico finale, percepì che quella luce e quella soglia a cui bussare non erano solo un segnale o una tappa, ma una promessa: che, tra caos, misteri, sorprese ed incertezze, i semi di tarassaco stavano finalmente danzando nel vento per trovare una destinazione comune.
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