I Segreti di Venezia: L’acqua della serenissima, i Veneziani e l’acqua potabile

Benvenuti nella serie “I Segreti di Venezia”, un viaggio senza tempo tra le intriganti vicende della città lagunare. In questa tappa esploriamo un dilemma quasi amletico: come riuscivano a bere acqua potabile in una città circondata da acque salmastre? L’acqua, elemento imprescindibile per la vita, assume a Venezia un significato speciale: non solo per la sua apparente abbondanza, ma per le sfide uniche che questo elemento comporta in una città costruita proprio sulle acque. L’obiettivo non è offrire risposte scientifiche, ma raccontare con passione quei piccoli dettagli che, nascosti tra le pieghe di una città unica, si sono persi tra tempi e memorie remote e che ancora oggi ci parlano della sapienza e della quotidianità di chi ha vissuto la Serenissima..

Come i veneziani hanno reso potabile l’acqua in una città costruita sull’acqua salata:

È risaputo, Venezia è una sorta di palafitta, una vera e propria foresta capovolta. Viene abbracciata dalle acque salmastre lagunari a tutto tondo e, ovviamente, queste acque sono inadatte per loro natura intrinseca al consumo umano. Il problema dell’acqua potabile risultò cruciale in termini di sopravvivenza cittadina e, l’indipendenza sotto questo profilo si fece decisiva anche nei periodi più bui.

Una vera da pozzo veneziana vicino alla Scuola Grande di San Marco - monumento bartolomeo colleoni
Un esempio emblematico è la vera da pozzo situata accanto alla Scuola Grande di San Marco e al monumento equestre del Colleoni: un’immagine che racconta silenziosamente secoli di ingegno idrico veneziano.

Prima delle moderne infrastrutture idriche, i veneziani si affidavano a diverse soluzioni per procurarsi acqua potabile. È plausibile che l’acqua dolce fosse trasportata dalla terraferma tramite imbarcazioni come le “burchi”, anche se le modalità potevano variare nel tempo. Inoltre, la raccolta e conservazione dell’acqua piovana in cisterne domestiche era una risorsa fondamentale. Questi metodi mostrano l’ingegnosità necessaria per vivere in una città costruita sull’acqua.

La soluzione geniale adottata dai veneziani:

A Venezia, i pozzi e i bacini d’acqua dolce erano riforniti non solo dalle falde sotterranee, ma anche dall’acqua piovana convogliata tramite una rete di tombini e canali comunicanti verso cisterne pubbliche e private. Questo sistema intelligente integrava le risorse dove l’acqua dolce scarseggiava, creando riserve preziose per la città. Per migliorarne la qualità, venivano usati filtri naturali di pietre e sabbia.

Sotto la vera, la superficie dei campi, si trovavano cisterne rivestite d’argilla dove l’acqua raccolta dalle pilelle veniva conservata e filtrata in modo naturale. Sebbene la qualità fosse modesta, questi pozzi pubblici erano fondamentali e gestiti dalla corporazione degli Acquaroli. Data l’importanza vitale dell’acqua, la Serenissima affidava la sua gestione a quattro Magistrature, veri e propri ministeri dedicati a questa risorsa.

E chi erano gli Acquaroli? I custodi dell’acqua nella Venezia antica

Vi ricordate i Signori della Notte? Questi misteriosi guardiani pattugliavano Venezia durante le ore più oscure, mantenendo l’ordine e proteggendo la città da furti e pericoli. Il loro ruolo era di sorvegliare in generale la sicurezza pubblica, ma di certo tra i loro compiti rientrava anche la protezione delle infrastrutture vitali, come pozzi e cisterne, per evitare manomissioni o saccheggi. E gli Acquaroli? Questa corporazione altamente specializzata si occupava esclusivamente della gestione dell’acqua potabile: dalla manutenzione delle cisterne e pozzi, al rifornimento e al controllo della qualità dell’acqua stessa e della sua protezione contro sprechi o abusi (artigiani avidi di acqua per la loro attività). Mentre gli Acquaroli si occupavano direttamente delle risorse idriche, i Signori della Notte svolgevano una funzione di sorveglianza esterna e più ampia, proteggendo la città in senso lato, compresi anche i beni gestiti dagli Acquaroli. Questa distinzione evidenzia come la Serenissima avesse creato un sistema integrato di gestione e protezione dell’acqua, fatto di figure diverse ma complementari, consapevoli dell’importanza cruciale di questo bene prezioso.

L’acqua potabile oggi: cosa è cambiato e quando?

Se un tempo la sopravvivenza dei veneziani dipendeva da cisterne e pozzi piovani, e l’acqua dolce arrivava con i burchi dal Brenta, la vera svolta avvenne solo nel 1884, con l’inaugurazione del primo acquedotto moderno. Le condotte, posate sul fondo della laguna, portarono finalmente l’acqua potabile da Sant’Ambrogio di Trebaseleghe fino al cuore della città, accolta in festa da una fontana illuminata in Piazza San Marco. Oggi Venezia è collegata alla rete idrica della terraferma, con impianti avanzati di depurazione e distribuzione che garantiscono qualità e continuità. Ma il rispetto per l’acqua, bene prezioso e vulnerabile, resta centrale: le acque alte e la pressione ambientale lo ricordano ogni giorno. E proprio nel 2024 sono iniziati i lavori per due nuove condotte, a rafforzare ancora una volta quel ponte vitale tra passato e futuro.

Oggi, come allora, la sfida non è solo tecnica, ma culturale: comprendere quanto l’acqua, anche quando invisibile sotto i nostri piedi o nascosta dietro rubinetti automatici, resti l’anima liquida di una città che ha fatto dell’ingegno la sua prima difesa.

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In conclusione:

Oggi camminiamo tra campi e calli senza pensare a ciò che scorre sotto i nostri piedi.
Ma ogni pozzo ed ogni pietra raccontano una sfida vinta contro la natura.
L’acqua, invisibile e vitale, ha plasmato non solo la città, ma anche il carattere dei suoi abitanti, che inizialmente l’hanno scelta come rifugio dalle invasioni barbariche, lasciandosi cingere interamente. Nel silenzio delle cisterne, si custodiva la sopravvivenza della Serenissima. E mentre i turisti sorseggiano caffè, pochi sanno di poter bere da un’eredità d’ingegno secolare. Il rispetto per l’acqua, allora come oggi, è la chiave per comprendere Venezia. Perché in questa città, nulla è davvero scontato. Nemmeno un semplice bicchiere d’acqua.
Ed il rispetto, ci fa ambire d’essere dei turisti responsabili.

In questa città ricca di misteri e di segreti, ogni vicolo nasconde un aneddoto prezioso da tramandare, e la mia missione è cercare di incuriosirvi e regalandovi, una tessera di puzzle per volta, un quadro variopinto della storia locale da un punto di vista inedito. Continuate a seguire questa rubrica e lasciatevi incantare dalle meraviglie di Venezia, un passo alla volta.

Non dimenticate di condividere questa serie con i vostri amici e familiari per far sì che anche loro possano immergersi nei misteri e nella bellezza di Venezia. Lasciate un commento con le vostre opinioni e condividete le vostre esperienze personali sulla città. La vostra partecipazione rende questa serie ancora più speciale e coinvolgente per tutti!

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I Segreti di Venezia: Lo spioncino sul pavimento – San Marco

Benvenuti nella serie “I Segreti di Venezia”, un viaggio senza tempo tra le affascinanti storie e le unicità della splendida città lagunare. Oggi vi confesso qualcosa di particolare: il segreto che sto per svelarvi non è solo affascinante, ma anche uno dei più sfuggenti che abbia mai cercato. Seppur citato da molti, è rimasto a lungo celato, difficile da localizzare persino una volta giunti nel punto esatto. Ci è voluta più attenzione del solito, e un pizzico di ostinazione in più, per riuscire a scorgerlo.

isegretidivenezia.com

Casino Venier: cos’era?

A pochi passi da Piazza San Marco, nel cuore di una delle storiche “marzarie” veneziane — la Marzaria del Capitello — ci troviamo in un luogo che un tempo pulsava del profumo delle stoffe pregiate e dei vivaci commerci. Oggi, questa zona ospita eleganti boutique e marchi più o meno noti, che continuano, a modo loro, a onorare la vocazione mercantile dell’area.

Proprio qui, tra queste calli, si nascondevano i cosiddetti casini — non nel senso moderno del termine, ma nel significato originario e veneziano: piccoli salotti privati, accoglienti e discreti, dove la nobiltà si ritrovava per conversare, leggere, intrattenersi con musica o, talvolta, per incontri più riservati. Segno di distinzione e di modernità, questi spazi potevano essere posseduti anche da donne, senza che vi fosse alcuna limitazione di genere, a testimonianza dell’apertura culturale della Serenissima.

Il Ponte dei Bareteri
Il Ponte dei Bareteri

Come raggiungere Casino Venier:

Partiamo da Piazza San Marco, cuore pulsante di Venezia, e dirigiamoci verso le Mercerie de l’Orologio, vivace via commerciale. Attraversiamo la calle e svoltiamo a destra in Ramo San Zulian, un angolo tranquillo dove il tempo rallenta. Proseguendo, arriviamo alla Marzaria San Zulian, che racconta il cambiamento della città commerciale. Poi, ci dirigiamo al Sotoportego delle Acque, un passaggio discreto e segreto, dove la storia sembra fermarsi. Attraversato, siamo a un passo dal Casino Venier, dove il portone silenzioso nasconde un affascinante segreto veneziano, un luogo di conversazioni segrete tra aristocratici e amanti.

Lo spioncino sul pavimento ed il suo perchè:

Il Casino Venier, eretto nel 1750 e appartenente alla nobile famiglia Venier, rappresentava un rifugio elitario per la nobiltà e gli intellettuali dell’epoca. Frequentato da figure di spicco della cultura veneziana e europea, il casino era celebre per la sua eleganza e per i raffinati salotti dove si intrecciavano conversazioni, letture e incontri segreti. Gli interni, caratterizzati da affreschi originali e pavimenti in marmi policromi, riflettono la magnificenza del ‘700 veneziano. Tra i dettagli più curiosi, c’era uno spioncino nel pavimento, un piccolo accorgimento che permetteva di spiare i visitatori senza essere visti, un simbolo della discrezione e della riservatezza che permeava l’atmosfera del luogo.

Oggi, il Casino Venier ospita l’Alliance Française, e offre la possibilità di essere visitato su prenotazione. Un tempo, lo spioncino serviva per garantire la sicurezza e l’intimità degli incontri, permettendo di verificare chi stava bussando senza compromettere l’esclusività del locale.

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In conclusione:

In conclusione, il Casino Venier è un angolo nascosto di Venezia che, nonostante il passare dei secoli, conserva un fascino senza tempo. Ci sussurra di segreti e di storie uniche, declinando in un luogo iconico la raffinatezza e la discrezione che hanno contraddistinto la città. Ogni dettaglio, come lo spioncino nel pavimento, racconta un pezzo di storia vivido e vero. Venezia, con i suoi angoli segreti, si fa invito a guardarla più da vicino, a scoprire il passato che pulsa sotto la superficie delle sue pietre. Ogni mattone, ogni calle, ogni angolo è una pagina aperta della sua storia.

mappa casino venier venezia

In questa città ricca di misteri e di segreti, ogni vicolo nasconde un aneddoto prezioso da tramandare, e la mia missione è cercare di incuriosirvi e regalandovi, una tessera di puzzle per volta, un quadro variopinto della storia locale da un punto di vista inedito. Continuate a seguire questa rubrica e lasciatevi incantare dalle meraviglie di Venezia, un passo alla volta.

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I Segreti di Venezia: Ca’ Dario, è davvero un luogo maledetto? – Dorsoduro

Benvenuti nella serie “I Segreti di Venezia”, un viaggio senza tempo tra le intriganti vicende della città lagunare. Venezia è un luogo magico: già dalle sue fondamenta intuiamo la vastità di declinazioni possibili, i multiversi narrativi a cui — suo malgrado — ci sottopone.
Oggi, proprio di questa prospettiva andremo a trattare: in maniera leggera, ma — come sempre — fedele

Ca’ Dario – Dove si trova il palazzo che sussurra sventure?

Nel cuore del Sestiere di Dorsoduro, al civico 353 di Campiello Barbaro, sorge Ca’ Dario, un palazzo dalla storia tanto affascinante quanto inquietante. Commissionato nel 1479 da Giovanni Dario, segretario della Serenissima, come dono di nozze per la figlia Marietta, l’edificio è stato nel tempo al centro di una lunga scia di sventure, alimentando la sua fama oscura, al punto da essere ritenuto da alcuni “maledetto”.

La spoglia facciata della chiesa di San Pantalon


Affacciato sul Canal Grande, Ca’ Dario si colloca proprio di fronte al Sestiere di San Marco e si distingue per la sua evidente asimmetria architettonica, dettaglio che ne accresce ulteriormente l’alone di mistero. Non è accessibile all’interno, ma può essere ammirato dall’esterno, da più prospettive, che ne esaltano l’insolita bellezza.

Ci sono tre modi per vedere questo edificio dalla fama “particolare”:

  • Vaporetto Linea 1: partendo da Piazzale Roma, l’edificio sarà sul lato destro del vaporetto poco dopo il ponte ligneo dell’Accademia. Nel senso contrario, a parità di linea, si troverà invece sul lato sinistro subito dopo la fermata Santa Maria del Giglio, dove il natante effettuerà la sosta.
  • Vaporetto Linea 2: anche in questo caso, partendo da Piazzale Roma, Ca’ Dario apparirà sul lato destro del vaporetto poco dopo il ponte dell’Accademia. Nel tragitto opposto, si troverà sul lato sinistro subito dopo la fermata Santa Maria del Giglio, dove tuttavia il natante non effettuerà sosta.
  • A piedi, raggiungendo il Sestiere di San Marco: dopo aver trovato Campo San Maurizio, proseguite fino al Campiello del Traghetto e affacciatevi sul fronte lagunare, nel rispetto dei gondolieri che lì prestano servizio.

Difficile non notarlo: in un panorama architettonico straordinario come quello veneziano, Ca’ Dario riesce comunque a distinguersi, rappresentando un vero e proprio unicum — o quantomeno una rarità — soprattutto per la sua facciata, elegante e fuori dal comune. Quest’ultima è infatti realizzata con materiali di pregio, lavorati con tale maestria da conferire all’edificio un’aura raffinata e allo stesso tempo enigmatica.

La volta della chiesa, adornata dalla tela più grande del Mondo

Ca’ Dario il palazzo che cambia colore:

Tra le molte particolarità che circondano questo edificio, alcune delle quali assumono quasi i contorni di una leggenda metropolitana, c’è la convinzione che la facciata di Ca’ Dario cambi colore. In realtà, questo fenomeno ha una spiegazione del tutto naturale: è il risultato dell’interazione tra le condizioni meteorologiche, l’incidenza della luce e i materiali che rivestono l’edificio. A seconda dell’ora del giorno, dell’umidità o della luce solare, Ca’ Dario può apparire più chiara, ambrata o addirittura tendente al grigio, regalando ogni volta un’impressione unica e diversa a chi la osserva.

La Maledizione di Ca’ Dario: Superstizione o Realtà?

La maledizione di Ca’ Dario inizia con Marietta Dario e la sua dote nuziale: il marito, Vincenzo Barbaro, fu ucciso, lei si tolse la vita e il figlio morì in un agguato a Creta. Da allora, una serie di tragedie ha colpito i proprietari del palazzo, tra cui il conte Filippo Giordano delle Lanze, assassinato nel 1970, e Kit Lambert, manager dei The Who, che cadde in rovina. Anche John Entwistle, bassista della band, morì d’infarto, e Raul Gardini si suicidò nel 1993. Perfino Woody Allen, deciso ad acquistarlo, si ritirò all’ultimo momento. Storici e scettici vedono questi eventi come coincidenze, mentre altri credono che il palazzo sorga su un antico cimitero templare o che i simboli esoterici sulla facciata ne causino le disgrazie. Un’iscrizione latina, “VRBIS GENIO IOANNES DARIVS”, potrebbe nascondere un anagramma che recita: “Generare sotto una rovina insidiosa”. La facciata, enigmatica e asimmetrica, alimenta il mistero. Oggi Ca’ Dario è di proprietà di una società straniera e non è visitabile, ma rimane uno dei luoghi più affascinanti di Venezia. La domanda rimane: superstizione o una vera maledizione? Un enigma senza risposta, un luogo di bellezza senza tempo.

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In conclusione:

In conclusione, Ca’ Dario rappresenta un affascinante enigma nel cuore di Venezia, un simbolo di mistero che intreccia leggenda e realtà. Le tragiche vicende che hanno segnato la sua storia alimentano la superstizione, ma al tempo stesso invitano a una riflessione più profonda sul confine tra destino e casualità. La bellezza enigmatica del palazzo, con la sua facciata asimmetrica e i simboli misteriosi, aggiunge un ulteriore strato di fascino, rendendo Ca’ Dario un luogo che suscita curiosità e timore. Nonostante le leggende e la sua inaccessibilità, questo palazzo continua a essere una delle icone più intriganti di Venezia, un crocevia di storie, superstizioni e riflessioni che si intrecciano nel tempo, lasciando la domanda irrisolta: è solo il frutto di una superstizione o una vera maledizione aleggia su queste mura?

E tu, visiteresti questo luogo? Fammelo sapere nei commenti!

cà dario il palazzo maledetto - mappa

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I Segreti di Venezia: Le Scuole Grandi e il Viaggio dei Cavalli di San Marco

Benvenuti nella serie “I Segreti di Venezia”, un viaggio senza tempo tra le intriganti vicende della città lagunare. In questo episodio, vi porterò a scoprire due aspetti apparentemente distinti della storia veneziana e dello spirito che anima la venezianità. Come fili di un antico intreccio, questi elementi hanno percorso strade diverse, fino ad intersecarsi in un nodo doloroso e al contempo indelebile.
Da quell’incontro è nato qualcosa di profondo, che ancora oggi lascia tracce nel nostro presente e che, senza dubbio, merita un posto centrale nel racconto di questo progetto.

Le Scuole Grandi: custodi di Carità, Storia, Professioni e Mecenatismo

A Venezia, le Scuole erano istituzioni fondamentali per la vita sociale, culturale e religiosa della città. Si suddividevano in tre categorie principali:

  • Scuole religiose, come quelle dei Battuti, incentrate sulla devozione, la penitenza e la carità.
  • Scuole di stranieri, che accoglievano comunità provenienti da diverse aree geografiche (come Albanesi, Schiavoni, Greci), offrendo sostegno economico, spirituale e lavorativo. Tra queste spicca la Scuola Dalmata, nota per il celebre ciclo pittorico di Vittore Carpaccio.
  • Scuole di mestiere, dedicate agli artigiani, che fungevano da veri e propri albi professionali (lanaioli, salumai, pellicciai).

Nelle immagini qui sopra la Scuola Grande San Giovanni Evangelista

Le Scuole Grandi

Le Scuole Grandi rappresentavano l’élite di queste istituzioni: confraternite laiche, ufficialmente riconosciute dalla Repubblica, che univano beneficenza, cultura e mecenatismo. Frequentate dalle famiglie patrizie e sostenute da donazioni generose, arricchirono Venezia di opere d’arte straordinarie, reliquie e imponenti edifici. Ogni Scuola portava il nome del proprio santo protettore.

Nelle immagini qui sopra da sinistra verso destra vediamo: la Scuola Grande di San Rocco, la Scuola Grande dei Carmini e la Scuola Grande di Santa Maria della Misericordia.

Alla caduta della Repubblica, il 12 maggio 1797, le Scuole Grandi erano nove:

  • Scuola Grande di Santa Maria della Carità
  • Scuola Grande di San Marco (foto 3)
  • Scuola Grande di San Giovanni Evangelista
  • Scuola Grande di Santa Maria della Misericordia
    (foto 4 – Ex tempio del basket della Reyer)
  • Scuola Grande di San Rocco (foto 1)
  • Scuola Grande di San Teodoro
  • Scuola Grande di San Fantin (o dei Picai)
  • Scuola Grande del Rosario
  • Scuola Grande dei Carmini (foto 2)

A proposito della Scuola Grande San Giovanni Evangelista:

Come testimoniano le foto qui sotto, oltre a cicli pittorici di assoluto pregio, esistono durante l’anno diverse opportunità per scoprire nuove prospettive di questo luogo unico. Tra queste ad esempio, sperimentato in prima persona, i concerti Candle Light. Esperienze uniche, dove musica ed emozioni si fondono con un contesto davvero unico. Nella foto il Quartetto Dafne durante la loro esibizione sulle note di Coldplay ed Imagine Dragons del 4 maggio 2025.

Spoliazioni e Rinascita: il Viaggio dei Cavalli di San Marco

La caduta della Serenissima, sancita il 12 maggio 1797, segnò per Venezia non solo la fine dell’indipendenza, ma anche l’inizio di una spoliazione culturale dolorosa. Con l’occupazione napoleonica, le Scuole vennero soppresse, i beni dispersi, e numerose opere d’arte trafugate o vendute. Tra gli episodi più simbolici spicca la vicenda dei Cavalli di San Marco.

copia dei quattro cavalli
la copia dei quattro cavalli ora esposti all’interno della Basilica

Nel 1797, su ordine di Napoleone, i quattro cavalli bronzei che dominavano la loggia della Basilica vennero trasportati a Parigi come trofei di guerra. Ispirarono persino la quadriga dell’Arco di Trionfo del Carrousel. Dopo la sconfitta di Napoleone, i cavalli vennero restituiti nel 1815. La loro rimozione da Parigi avvenne sotto gli occhi increduli dei parigini, supervisionata dal capitano Dumaresq, che ricevette per l’impresa una tabacchiera d’oro ornata di diamanti dall’Imperatore d’Austria. Rientrati a Venezia, i cavalli tornarono sulla loggia di San Marco, dove rimasero fino al 1977. Per proteggerli dagli agenti atmosferici, oggi sono custoditi all’interno del Museo della Basilica, mentre all’esterno sono visibili delle copie fedelissime.

panoramica della basilica con vista sui quattro cavalli
Panoramica della Piazza, della Basilica e dei quattro cavalli

La Sopravvivenza delle Scuole

Non tutte le Scuole furono cancellate. La Scuola Dalmata degli Schiavoni, fondata dagli emigrati dalmati, sopravvisse, custodendo ancora oggi capolavori come il ciclo di Carpaccio.

Altre Scuole Grandi riuscirono a rinascere come musei, spazi culturali e centri spirituali:

  • Scuola Grande di San Rocco
  • Scuola Grande dei Carmini
  • Scuola Grande di San Giovanni Evangelista
  • Scuola Grande di San Teodoro
  • Scuola Dalmata dei Santi Giorgio e Trifone (mai soppressa)
il salone interno della Scuola Grande di San Marco
il salone interno della Scuola Grande di San Marco

Anche la Scuola Grande di San Marco, storicamente legata a Bartolomeo Colleoni, ha ritrovato nuova vita: oggi è integrata nella facciata dell’Ospedale Civile di Venezia ed è stata riaperta nel 2019 come spazio museale, proseguendo la memoria di un’epoca che sembrava perduta.

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In conclusione:

La caduta della Serenissima segnò una delle più dolorose ferite nella storia di Venezia: tra spoliazioni artistiche e soppressioni religiose, la città sembrava destinata a perdere la propria anima. Eppure, tra rovine e saccheggi, alcune istituzioni come le Scuole Grandi riuscirono a rinascere,capolavori come i Cavalli di San Marco furono protagonisti di un incredibile viaggio di andata e ritorno, ergendosi a simbolo eterno della resilienza veneziana.
Venezia è la somma delle sue infinite vite: nata su paludi insidiose, forgiata nell’acqua e nella fragilità, sorretta da una foresta capovolta, assediata da invasori, carestie, pestilenze, guerre e innumerevoli sventure, è giunta meravigliosamente fino a noi. Ogni angolo custodisce un frammento di storia, e ogni passo ci avvicina a un passato che ancora pulsa nelle calli e nei palazzi. Tra ombre, fragori e onde, si intrecciano storie di artigianato, tradizione e passione, che rendono questa città senza tempo. Camminando, si vive un’esperienza sensoriale unica, dove ogni dettaglio svela la bellezza di un luogo che non smette mai di incantare. Venezia non è solo da vedere, ma da sentire, da vivere, da respirare. Ogni passo in avanti ci riconduce ad un momento del passato, mentre, inconsapevolmente, diventiamo parte del suo futuro.

In questa città ricca di misteri e di segreti, ogni vicolo nasconde un aneddoto prezioso da tramandare, e la mia missione è cercare di incuriosirvi e regalandovi, una tessera di puzzle per volta, un quadro variopinto della storia locale da un punto di vista inedito. Continuate a seguire questa rubrica e lasciatevi incantare dalle meraviglie di Venezia, un passo alla volta.

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I Segreti di Venezia: Storia della Vecchia che fermò i rivoltosi con un mortaio da cucina – San Marco

Benvenuti nella serie “I Segreti di Venezia”, un viaggio senza tempo tra le affascinanti storie e le unicità della splendida città lagunare. Venezia è uno scrigno di vicende note e meno note; alcune, pur nella loro straordinaria bellezza, si nascondono con sottile ironia proprio là dove turisti e curiosi passano ogni giorno, spesso senza accorgersene. È proprio qui che risiede la magia di questa narrazione: nel rendere indimenticabile ciò che, troppo spesso, sfugge allo sguardo.

isegretidivenezia.com

Dove incontrare la “Vecchia” ed il suo mortaio?

Ci troviamo, come vedrete nello scatto sottostante, a pochi passi da Piazza San Marco, esattamente nei pressi del portico sovrastato dall’Orologio dei Mori e innanzi alla Basilica di San Marco ed a Palazzo Ducale. Se proprio qui alzerete gli occhi verso l’alto, scorgerete senza faticare un altorilievo che raffigura un’anziana signora nel momento esatto in cui rovesciava un mortaio sui passanti. Era la “Vecia del Morter”. Una vicenda che, per quanto surreale, si lega a stretto filo alla storia di Venezia.

piazza san marco dal portico dell'orologio dei mori

Quando e cosa è accaduto?

Ricordate questa data: il 15 giugno 1310. Ci arriveremo tra poco. Il contesto racconta di una Venezia scossa dall’aperta conflittualità tra le famiglie patrizie e quelle borghesi. Quest’ultime, infatti, grazie ai commerci, si erano arricchite, accrescendo potere ed influenza cittadina, andando così ad esacerbare le ambizioni di un’adeguata rappresentanza nella politica cittadina. Alla salita al potere del Doge Pietro Gradenigo, gli sconfitti, che avevano puntato tutto su Jacopo Tiepolo, tentarono – proprio quel 15 giugno – di assaltare Palazzo Ducale.

Qui entra in gioco la “Vecchia” che, proprio lì dove ammirerete l’altorilievo, fece la sua mossa: lanciò il suo mortaio dal balcone, centrando alla testa l’alfiere di Bajamonte Tiepolo, leader della rivolta. Presi alla sprovvista dall’accaduto, si generò un tumulto tale da mettere in fuga buona parte dei rivoltosi, lasciando soli e sconfitti i più temerari superstiti sotto i colpi dei fedelissimi del Doge.

la vecchia col mortaio 15 giugno 1310 nel contesto della torre dei mori e piazza san marco

La morale della storia:

Invenzione o fatto storico poco importa: ciò che davvero conta è la forza simbolica di questa storia. È il segno che, spesso, non sono le grandi strategie o i poteri costituiti a imprimere una svolta alla storia, ma il gesto istintivo e coraggioso di un singolo, mosso dalla volontà, dalla rabbia o dal semplice buon senso popolare. In questo caso, è la “pancia del popolo” — quella saggezza antica e viscerale — a prevalere sui grandi sistemi, spezzando equilibri consolidati e innescando un cambiamento che, in fondo, riflette il desiderio collettivo di giustizia e partecipazione. Una lezione che ci ricorda come, talvolta, siano proprio le azioni inaspettate e spontanee a lasciare il segno più profondo nella memoria di una città.

la vecchia col mortaio 15 giugno 1310
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In conclusione:

In conclusione, la “Vecia del Morter” incarna lo spirito più autentico di Venezia: imprevedibile, ironico e capace di sorprendere. Che sia leggenda o realtà, il suo gesto racconta una verità eterna: anche il più piccolo gesto o personaggio può cambiare il corso degli eventi. È il popolo, con le sue azioni quotidiane, a scrivere la storia. E a Venezia, ogni pietra sembra ricordarcelo. Basta saper guardare.

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