I Segreti di Venezia: Storia della promessa a Bartolomeo Colleoni, mantenuta sì, ma con l’inganno – Castello

Benvenuti nella serie “I Segreti di Venezia”, un viaggio senza tempo tra le intriganti vicende della città lagunare. Oggi vi racconterò una vicenda grottesca e truffaldina di cui si rese protagonista la Serenissima Repubblica di Venezia nei confronti di uno dei più grandi condottieri e capitani di ventura che abbiano mai guidato degli eserciti in territorio italico.

Chi era Bartolomeo? Quale era il suo rapporto con Venezia?

Bartolomeo Colleoni (1395–1475) fu un valoroso condottiero italiano del Rinascimento. Originario di Solza, nei pressi Bergamo, prestò servizio come capitano di ventura per la Repubblica di Venezia per oltre vent’anni. La sua famiglia aveva una lunga tradizione di partecipazione a guerre feudali e mercenarie, e Colleoni si distinse come un abile condottiero.

Combatté al fianco di altri celebri capitani dell’epoca, tra cui Gattamelata e Francesco Sforza . Pur avendo avuto un rapporto altalenante con Venezia, la Repubblica lo scelse per la sua competenza militare e la sua vasta esperienza.

La facciata dell’Ospedale di Venezia chiamato anche “Scuola Grande di San Marco”

La promessa e le motivazioni della stessa:

Venezia ambiva ad entrare in possesso di parte dell’immenso patrimonio del condottiero, così strinse un accordo con lo stesso stabilendo che, in cambio, una statua equestre sarebbe stata collocata a Piazza San Marco. L’accordo recitava così: Rogat ut dignetur facere fieri imaginem super equo brondeo et ipsam imaginem ponere super platea S. Marci” ribadendo appunto la volontà di ottenere un monumento nella piazza principale della città.

Il monumento equestre a Bartolomeo Colleoni

L’inganno, la promessa “mantenuta” e la vendetta del condottiero:

Ai veneziani però, sin da subito e a morte del Colleoni avvenuta (1475), l’idea di collocare una statua unica nel suo genere proprio in seno alla piazza principale non andava a genio, fu così che studiarono lungamente al fine di ideare una gabola con cui aggirare l’obbligo contratto col condottiero e trasformarlo in una promessa mantenuta… con l’inganno. Ed ecco, nel 1480, il colpo di genio.

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Venezia commissionò al Verrocchio quest’opera senza precedenti (la sola di queste dimensioni a poggiare su 3 gambe) e lo stesso artista, una volta arrivato a Venezia, capì il sotterfugio, scoprendo che la collocazione finale era stata stabilita sì a Piazza San Marco, ma non nella vera e celebre piazza, bensì dove la ammiriamo oggi, nella Piazza che ospira la Scuola Grande di San Marco (oggi ingresso dell’ospedale). Colleoni non avrebbe potuto vendicarsi, forse, ma come in tante storie veneziane la leggenda è sempre dietro l’angolo ed infatti l’artista non potè vedere la sua opera compiuta, morì infatti nel 1488.

La vendetta si era consumata e ricadde anche sul successore del Verrocchio, il Veneziano Antonio Leopardi che, terminato il monumento morì, lasciando allo stesso una nomea non propriamente fortunosa.

In conclusione:

Concludendo questo viaggio tra i segreti di Venezia, ci si imbatte in una vicenda tanto grottesca quanto intrigante, che svela un lato oscuro della Serenissima Repubblica. La promessa fatta a Bartolomeo Colleoni di erigere una statua equestre in sua memoria a Piazza San Marco si trasformò in un inganno astuto, che portò alla realizzazione dell’opera davanti alla Scuola Grande di San Marco, anziché nella piazza principale della città. Questa storia non solo aggiunge un tassello al mistero che avvolge Venezia, ma evidenzia anche le complesse dinamiche politiche e sociali dell’epoca. È un monito sul potere dell’inganno e della politica nel modellare la storia e nell’interpretare le promesse.

In questa città ricca di misteri e di segreti, ogni vicolo nasconde un aneddoto prezioso da tramandare, e la mia missione è cercare di incuriosirvi e regalandovi, una tessera di puzzle per volta, un quadro variopinto della storia locale da un punto di vista inedito. Continuate a seguire questa rubrica e lasciatevi incantare dalle meraviglie di Venezia, un passo alla volta.

Non dimenticate di condividere questa serie con i vostri amici e familiari per far sì che anche loro possano immergersi nei misteri e nella bellezza di Venezia. Lasciate un commento con le vostre opinioni e condividete le vostre esperienze personali sulla città. La vostra partecipazione rende questa serie ancora più speciale e coinvolgente per tutti!

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Trarealtaesogno: Il Corso di Poesia – #9 La Poesia come Satira:

Ciao, nell’ottava lezione abbiamo esplorato la valenza narrativa di alcune poesie. Ci è parso di attraversare sentieri di immagini evocative e di udire nel solcarli echi di storie incredibili.

Oggi, non senza emozione andremo a toccare uno dei temi che più mi risulta caro, scolasticamente parlando, della poesia.

Attraverseremo insieme infatti la poesia “comico-realistica” detta anche “poesia giocosa”.

La storia di questo genere poetico scorre, per l’Italia praticamente di pari passo al “Dolce Stilnovo” nella seconda metà del 1200 e fonda la sua potenza espressiva su un umorismo ironico che si traduceva in critiche alla società o alle convenzioni tradizionali.

Uno degli esponenti più emblematici fu Cecco Angiolieri da Siena, il quale nella celeberrima «S’i’ fosse foco, arderei ‘l mondo» lancia i suoi strali poetici verso il Mondo. Eccola a voi da leggere:

S’i’ fosse foco, arderei ’l mondo; 
s’i’ fosse vento, lo tempesterei; 
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei; 
s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo;

s’i’ fosse papa, sare’ allor giocondo, 
ché tutti cristïani imbrigherei; 
s’i’ fosse ’mperator, sa’ che farei? 
A tutti mozzarei lo capo a tondo. 

S’i’ fosse morte, andarei da mio padre; 
s’i’ fosse vita, fuggirei da lui: 
similemente farìa da mi’ madre. 

S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui, 
torrei le donne giovani e leggiadre: 
e vecchie e laide lasserei altrui.

Cecco Angiolieri

Si tratta di un sonetto tosto e crudo in cui l’autore non manca di esprimere critiche e reprimende verso ogni cosa, senza risparmiare nemmeno la famiglia, rea a suo parere, di non concedergli sufficiente denaro per i suoi vizi.

Nonostante i temi assai fuori contesto per la poesia tradizionale, il testo per struttura e scelta lessicale esprime chiaramente il sentimento dell’autore e, nella sua particolarità, ci trascina in tutto il suo folle biasimo verso il suo universo.

In conclusione, il sonetto ‘S’i’ fosse foco, arderei ’l mondo’ di Cecco Angiolieri si distingue come un esempio straordinario di poesia comico-realistica italiana. Con la sua ferma critica nei confronti del mondo e della società, Angiolieri ha creato un’opera che sfida le convenzioni poetiche dell’epoca, utilizzando un linguaggio audace e diretto per esprimere il suo disprezzo per il mondo che lo circonda. Questo sonetto ci offre uno sguardo affascinante nella mente di un poeta ribelle e ci ricorda che la poesia può essere uno strumento potente per esprimere emozioni intense e opinioni audaci.

E ora spostiamoci di qualche secolo innanzi introducendo Francesco Berni, anche lui Toscano, ma della provincia di Pistoia. E’ stato uno scrittore, poeta e drammaturgo nato alla fine del 1400.

Ecco un estratto dalle sue Rime:

Ad ogni modo, Amor, tu hai del matto,
e credi a me, se tu non fussi cieco,
io te farei veder ciò che m’hai fatto.

Or se costei l’ha finalmente meco,
questa rinegataccia della Mea,
di grazia, fa ancor ch’io l’abbia seco;

poi che tu hai disposto ch’io la bea,
se la mi fugge, ch’io le sia nemico,
e sia turco io, s’ella è ancor giudea;

altrimenti, Cupido, io te lo dico
in presenza di questi testimoni,
pensa ch’io t’abbia ad esser poco amico;


LXX. Capitolo in lamentazion d’amore (31-42)
Francesco Berni

In questi versi, Berni sta rivolgendo parole a Cupido (Amor) e sta esprimendo un profondo senso di delusione e rabbia nei confronti dell’amore. Sta sottolineando quanto l’amore sia irrazionale e cieco, poiché Cupido sembra non comprendere l’effetto devastante che ha avuto sulla sua vita.

Berni fa notare che, se l’amore (Cupido) fosse in grado di vedere chiaramente ciò che ha causato nella vita dell’autore, allora capirebbe quanto sia stato dannoso. L’autore sostiene che, se l’amore gli restituisse finalmente l’amata (probabilmente una donna che l’ha respinto o abbandonato), allora potrebbe considerare di essere in pace con lui.

Tuttavia, se la donna rifiuta ancora l’autore, Berni minaccia di diventare il suo nemico e si riferisce a se stesso come “turco” (un termine utilizzato in modo figurato per indicare qualcuno che è ostile o contrario a qualcos’altro) e alla donna come “giudea” (indicando una persona appartenente a una religione diversa, quindi estranea).

In sintesi, Berni sta criticando l’irrazionalità dell’amore e sta esprimendo il suo desiderio di riavere la donna amata, ma minaccia di diventare il suo nemico se lei continuerà a rifiutarlo.

Dopo aver esplorato il tagliente sarcasmo di Cecco e le audaci critiche di Francesco nella poesia giocosa, ci addentreremo ora nell’affascinante mondo di Giovanni Pascoli. Se Angiolieri e Berni affrontavano la realtà con un pizzico di irriverenza, Pascoli, che è un autore della seconda metà del 1800, ci sorprenderà con la sua abilità di trasformare la vita quotidiana in piccoli capolavori poetici attraverso la sua poetica giocosa e realistica. Preparatevi a immergervi nel mondo dei dettagli e delle emozioni nascoste che Pascoli sapeva rivelare così abilmente.

Al cader delle foglie, alla massaia
non piange il vecchio cor, come a noi grami:
che d’arguti galletti ha piena l’aia;

e spessi nella pace del mattino
delle utili galline ode i richiami:
zeppo il granaio; il vin canta nel tino.

Cantano a sera intorno a lei stornelli
le fiorenti ragazze occhi pensosi,
mentre il granturco sfogliano, e i monelli
ruzzano nei cartocci strepitosi.

Giovanni Pascoli, Myricae, l’ultima passeggiata, Galline (1891).

Pascoli, noto per il suo approccio realistico alla poesia, qui dipinge un quadro apparentemente idilliaco della vita rurale, con la massaia che non piange il passare del tempo poiché è circondata da galletti, galline e vino. Tuttavia, c’è un sottofondo di sarcasmo in questa descrizione.

La satira emerge quando Pascoli suggerisce che la vita di campagna, pur apparendo tranquilla e felice, potrebbe essere monotona e banale. L’abbondanza di galletti nell’aia e le ragazze occupate a sfogliare il granturco possono essere visti come simboli di una routine ripetitiva. Inoltre, l’immagine del vino che “canta nel tino” potrebbe alludere all’idea che il comfort e la tranquillità possono portare all’apatia e alla mancanza di aspirazioni più profonde.

In questo modo, vengono messi in discussione l’idealizzazione della vita rurale, suggerendo che anche dietro l’apparenza di serenità ci possono essere sfumature di noia e insoddisfazione. La sua satira risiede nel fatto che, mentre sembra celebrare la vita di campagna, in realtà solleva domande sul suo significato più profondo e sulla vera qualità della vita che offre.

In pratica, la sua grandezza sta nel celebrare all’apparenza un mondo che in realtà vede sotto un’ottica differente.

Se ora dovessimo immaginare cosa ci direbbe Emily, sono convinto che la sentiremmo dire: “Nelle sfumature delle loro parole, Pascoli, Angiolieri e Berni ci conducono in mondi diversi, dove la gioia, il dolore, il sarcasmo e l’ironia danzano insieme. Attraverso le loro liriche, rivelano la vita nella sua complessità, celando verità sotto le maschere dell’apparenza. Come poeti maestri dei loro tempi, ci insegnano che la poesia può essere un riflesso fedele di umanità, rivelando la bellezza e la follia che intrecciano il nostro vivere”.

Abbiamo visto come questi maestri dell’arte poetica abbiano utilizzato l’ironia, il sarcasmo e l’umorismo per dipingere ritratti vividi e spesso caustici della società e della natura umana. La loro abilità nell’analizzare e criticare la realtà attraverso versi giocosi e satirici ci ha dimostrato che la poesia può essere molto più di un semplice veicolo per l’espressione personale; può anche essere un potente strumento di critica sociale e culturale.

La satira poetica ci invita a guardare oltre le apparenze e a esplorare i lati oscuri e spesso comici della nostra esistenza. Ci sfida a riflettere sulle contraddizioni della società e a ridefinire le nostre prospettive. In un mondo in cui le parole hanno il potere di cambiare la nostra percezione della realtà, la poesia satirica si erge come una voce critica che ci spinge a mettere in discussione le convenzioni e a guardare il mondo con occhi nuovi.

Dunque, cari Poeti e Poetesse che state leggendo, non dimenticatevi mai che non esiste rima o emozione che poesia non possa descrivere e raccontare. Non limitatevi a ciò che già conoscete, ma assaporate il brivido di qualcosa di così nuovo da poter risultare ardito cimento al solo pensarlo.

Ci vediamo alla prossima lezione, un piccolo bonus aggiunto in corsa, si tratta di…

Trarealtaesogno: Il Corso di Poesia – #10 Il Caviardage: Scolpire la Poesia.

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Trarealtaesogno: Il Corso di Poesia – #8 La Poesia come Narrazione:

Ciao, nella settima lezione abbiamo esplorato le emozioni che può suscitare o raccontare un testo poetico. In quell’ottica ci siam permessi di scomodare Dante, la Browning e, la solita, Emily Dickinson.

Oggi scopriremo invece come una poesia possa essere il veicolo non delle sole emozioni, ma anche una vera e propria forma di narrazione, densa, compatta ed evocativa.

I mezzi con cui un testo può diventare tale sono pochi e semplici: immagini e linguaggio poetico.

Un esempio clamoroso di quest’arte ce lo regala Giacomo Leopardi, con la famosissima “Il Sabato del Villaggio” da cui traggo gli otto versi che seguono:


Siede con le vicine
Su la scala a filar la vecchierella,
Incontro là dove si perde il giorno;
E novellando vien del suo buon tempo,
Quando ai dì della festa ella si ornava,
Ed ancor sana e snella
Solea danzar la sera intra di quei
Ch’ebbe compagni dell’età più bella.


(opera completa)

Ci sono bellezza, unicità, storie ed intrecci in questa poesia, in cui, Leopardi ci porta direttamente dentro il borgo, ce ne fa sentire il profumo ed il cicaleccio, toccando corde interiori profondissime in chi ha la fortuna di poterlo “osservare” leggendolo.

La “Vecchierella su la scala”, “quando si ornava o danzava” sono tutte parole che si muovono dentro le scene edotte dall’autore.

Uno dei grandi segreti dei Poeti che si trasformano in narratori è la struttura narrativa composta alla stessa maniera di quella di una storia, cioè: Introduzione, sviluppo e conclusione.

Ma veniamo a qualche altro esempio che possa illuminare la nostra rotta di poeti, cito ad esempio il frammento di una poesia di Dylan Thomas autore Gallese della prima metà del 1900:

Sognai la mia genesi

Sognai la mia genesi nel sudore del sonno, bucando
Il guscio rotante, potente come il muscolo
D’un motore sul trapano, inoltrandomi
Nella visione e nel trave del nervo.
Da membra fatte a misura del verme sbarazzato
Dalla carne grinzosa, limato
Da tutti i ferri dell’erba,metallo
Di soli nella notte che gli uomini fonde….

(da Poesie nella stanza)

In sintesi, questo frammento di poesia narrativa è un’opportunità per esplorare il modo in cui un poeta può raccontare una storia o rappresentare un processo attraverso l’uso di immagini e linguaggio poetico. È un passo che richiede una lettura attenta e un’analisi delle sue componenti chiave per coglierne appieno il significato e l’emozione. Si noti anche come il “filo rosso” della scelta di linguaggio crei una climax che ci trascina sempre più nel profondo di questa narrazione poetica.

I capisaldi di quanto letto sono:

  1. Uso di un linguaggio descrittivo
  2. Uso di immagini vivide e metafore
  3. Viene descritta la nascita di una identità dai contorni misteriosi ed eterei
  4. Veniamo lasciati con delle domande aperte a livello interiore.

Ed ora, visto che siamo carichi andiamo a vedere un altro esempio, più agreste e blando nel linguaggio, ma, di certo, non meno vivido e intenso.

Scopriamo dunque le parle di Robert Frost in:

Il taglio del fieno:

Nessun rumore accanto al bosco, solo
la lunga falce sussurrava al suolo.
Sussurrava che cosa? Va’ a saperlo;
riguardava magari il sole caldo,
o forse invece l’assenza di rumore –
ecco perché sussurri e non parole.
Non era il dono in sogno di ore oziose
né l’oro alla portata di elfi o fate:
ogni aggiunta alla verità suonava fioca
al serio amore che allineava i fossi,
incluse lievi spighe di fiori (pallide
orchis) e impauriva un serpe verde lucido.
Il reale è il dolce sogno del lavoro.
Lei sussurrava, lasciando il fieno a farsi.

Come anticipato non cambia la forza, ma solo il “tono” della narrazione. Ci troviamo dapprima a schivare la falce che fischia sfiorando il suolo e poi ci stupiamo del silenzio, immersi in un’atmosfera onirica con elfi e fate, interrotta solamente da una silenziosa serpe.

Sono convinto che in tutti i versi citati voi tutti leggendo abbiate visto quanto i poeti hanno dipinto con le loro parole. La trovo una sensazione bellissima.

I poeti utilizzano immagini vivide, metafore e linguaggio evocativo per rendere le loro narrazioni poetiche coinvolgenti. L’uso delle parole può creare un’atmosfera unica, suscitando emozioni nei lettori.

In questa lezione, abbiamo esplorato l’arte della narrazione nella poesia. Abbiamo visto come la poesia può essere un veicolo straordinario per raccontare storie brevi, ma incredibilmente evocative. Attraverso l’uso di linguaggio poetico, immagini vivide e metafore, i poeti possono trasportare i lettori in mondi completamente nuovi e farli immergere in emozioni profonde. L’importanza di questa combinazione unica di narrazione e poesia risiede nella sua capacità di catturare momenti e storie in modo potente ed espressivo.

Vi incoraggio a esplorare ulteriormente la narrazione nella vostra scrittura poetica. Siate audaci nelle vostre immagini, abbracciate le storie che brulicano nella vostra mente e trasformatele in versi che catturino l’immaginazione. La narrazione poetica offre infinite opportunità creative, e vi invito a scoprire il potenziale delle vostre parole per creare mondi e storie uniche. Nella prossima lezione, esploreremo ulteriormente come la poesia può diventare una forma di narrazione fortissima ed anche irriverente, parleremo infatti di Poesia Satirica.

Ma prima di salutarci, concedo a Emily lo spazio per narrarci in poche righe le sue idee su questo tema:

Lei ci direbbe: Nel mistero delle parole tessute, La narrazione poetica si svela, Storie brevi, emozioni evocate, nuova luce.

Trarealtaesogno: Il Corso di Poesia – #9 La Poesia come Satira.

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