
24 Dicembre – San Zaccaria

Artemisia non riuscì a capire cosa fosse accaduto, Rudolf le pareva fermo, singhiozzante. Prese un respiro che le fece sentire pesantezza fino allo stomaco e chiese: “Rudolf, cos’è accaduto? Parlami!” Lui sospirò, singhiozzò a sua volta e, traendo un respiro profondissimo: “Artemisia, Umbræon e Luminæon sono scomparsi, al termine di quel battito che stavamo sentendo sono letteralmente svaniti”. Lei non riuscì stavolta a trovare le parole, era impossibile, pensava non ve ne sarebbero mai potute essere di adeguate. Abbracciò dunque Rudolf, forte, più che poteva bagnando di lacrime le sue vesti. Elio d’improvviso corse verso la finestra della sala , attirato da un evento insolito, Rudolf ed Artemisia non diedero peso a quanto stesse facendo il gatto nella stanza vicina, avevano lottato per giorni, smarrito persone care ed ora si trovavano pure senza il frutto del loro ingegno, coraggio e fatica. Avevano appena perso l’unica traccia che sembrava poterli condurre a capire o salvare. Elio cominciò dunque a grattare con le zampe anteriori sul vetro, aveva un’insistenza insolita. Le persone cominciarono ad uscire dalle case, il cicaleccio si fece da sottile a pesante. Elio proseguì a grattare sui vetri. L’insieme dei rumori tra persone fuori e Elio dentro fecero decidere Artemisia e Rudolf a cambiare stanza. Rudolf deglutì rumorosamente, quasi shockato, Artemisia lo percepì e disse: “Ma cos’è questo odore di cenere?” e Rudolf rispose: “Sta piovendo fuori, c’è tutta Venezia che esce dalle case a guardare, sta piovendo, copiosamente, ininterrottamente, cenere”. Artemisia per capire l’entità del problema aveva una sola scelta. Uscire. Aprì la porta, senza curarsi d’essere seguita o meno da Rudolf ed Elio. Si inginocchiò pochi passi oltre la soglia, incurante di sporcare le sue vesti con la cenere, posò il palmo destro, cercò i masegni e trovò soltanto polvere. Portò la mano, intrisa, vicino al volto. Annusò, venendo aggredita da un sentore terroso. Rudolf la raggiunse, poggiandole la mano destra sulla spalla sinistra, mentre Elio, intimorito, scelse di rimanere sulla soglia. Rudolf: “Prima la sparizione di Umbræon e Luminæon, poi la pioggia di cenere..” il suo ragionamento ad alta voce fu interrotto da una serie di suoni provenienti da dentro casa di Artemisia: “Ziiiing… ffff-woosh… psst-psst!” Si girarono entrambi, in quella direzione, lei con voce preoccupata disse: “Cosa vedi Rudolf?” e lui: “Un bagliore, torniamo dentro”. Spostarono le persone che, attirate dal fenomeno della pioggia di cenere, stavano cominciando ad affollare ogni angolo della città e tornarono dentro casa. Quello che Rudolf vide una volta entrato, e descrisse ad Artemisia, non trovava spiegazione nelle cose più comuni: “Il libro dei frammenti di tenebra sta volteggiando nell’aria sfogliando le sue pagine dall’inizio alla fine e viceversa emanando una luce calda ma vagamente inquietante”. Artemisia si fece seria, anzi, concentratissima. Spalancò i palmi di entrambe le mani protendendosi in avanti, cercò di sintonizzarsi con l’energia diffusa da quel fenomeno di luminosità e movimento, come avrebbe fatto una bussola o un magnete. Identificata la corretta direzione la sua fronte si corrugò, le mani si chiusero a pugno ed il libro parve cominciare ad ubbidire alla sua volontà. Si fermò a mezz’aria, ancora luminescente ma statico. Lei parlò così: “Ora puoi afferrarlo Rudolf, non temere, emana un’aura positiva quell’energia”. Rudolf, balbettando coi passi, si avvicinò insicuro, lei lo percepì e disse: “Fidati, sento ciò che non vedo”. Lui disse: “Ok Artemisia, grazie”. Allungò le mani verso il libro, lo afferrò saldamente e la luce parve spegnersi, anzi, affievolirsi. Se prima veneva emessa a tutto tondo, ora il fenomeno riguardava una singola pagina, precisamente la terza di copertina. Artemisia: “Il libro stavolta non vuole nascondersi, per favore Rudolf, sediamoci e dimmi cosa ci vuole dire”. Lui stavolta non esitò, forse il libro proprio come Umbræon e Luminæon aveva un’anima duale, cioè nessuna tenebra è totalmente tale, così come non lo può essere una luce. Rudolf, istintivamente, ripercorse quasi con sacrale riverenza ogni singola pagina. Rivivendo istanti, memorie e momenti. Enigmi e soluzioni. Scelte giuste ed errori. Artemisia fremeva dal desiderio di capire, Rudolf parimenti di quello di ricostruire qualcosa che si era spezzato e di cui forse quelle pagine serbavano una traccia o un’impronta. “Ancora un attimo” sussurrò lui. “Eccoci” disse infine. La terza di copertina era un disegno di un salone, c’erano volte a botte, colonne, camminatoi ed acque. Le parti chiare, in particolare una di forma sferica, proiettavano la stessa frequenza di luce di quando il libro stava a mezz’aria. Il volto di Rudolf ne veniva illuminato di riflesso ed Elio pareva scrutare verso di lui con una curiosità affatto animale. Artemisia lo incalzò chiedendo di descriverle quanto stesse leggendo o vedendo, Rudolf si prese ancora qualche istante, in cuor suo sapeva chi poteva fargli giungere un simile messaggio. “Artemisia, la terza di copertina raffigura un salone composto da navatelle basse, sorrette da colonnine esili e capitelli semplici che si specchiano in un velo d’acqua su cui spicca una sorta di altare, sembra una declinazione di Venezia in forma semplice, come se la città stessa volesse farsi ricondurre nei suoi tratti più distintivi”. E lei con tono deciso: “Rudolf, ma quella che descrivi pare essere la cripta sommersa di San Zaccaria!”. La voce di Artemisia giunse a Rudolf in toto e, quando si fece silenzio, il libro tornò a brillare, splendere, accecare. Rudolf: “Ma, ma, ma, corpo di mille renne, che succede ora?” Artemisia: “Che succede cosa?” intanto “Huuuuuuuum fwoooooom pooof!”. Silenzio cadde, per chi percepiva senza comprendere e chi aveva visto senza capire. Rudolf: “Il libro è scomparso in un lampo, ora credo toccherà a noi proseguire e capire quello che San Zaccaria ci rivelerà” e lei: “Andiamo Rudolf, dobbiamo riuscire a scrivere le pagine più importanti di questa storia. Uscirono tutti e tre dalla casa, la cenere continuava a scendere, intensa ma meno copiosa. Buona parte dei curiosi avevano smesso di lasciarsi affascinare e, probabilmente erano rincasati. Artemisia cominciò a guidare Rudolf con passo deciso verso San Zaccaria, si muoveva così velocemente che Rudolf stesso non sempre riusciva a tenerne il passo. Passarono da Campo Santa Maria Formosa, Rudolf prese la direzione del Mascherone a guardia del campanile, ma capì velocemente che Artemisia non era andata per di là stavolta e la inseguì di corsa. Imboccarono Rugagiuffa e, d’un tratto Artemisia si fermò. Rudolf inizialmente pensò che fossero arrivati, poi capì che la sosta era dettata da una percezione. In fondo ad una calle chiamata Calle de Mezzo vi era una porta blu sovrastata da un affascinante arco a sesto acuto di cui assorbiva la forma e lei disse: “Qui tantissimi si fermano, fanno foto, ci sono svariate leggende sui perchè quella porta sia di quel colore e su quali magie possa celare, una cosa è certa, se una porta riesce a far parlare di sè, di certo qualcosa da dire ce l’ha”. Infilarono ancora qualche centinaio di passi e giunsero in Campo San Zaccaria, Rudolf osservò estasiato la bellezza della facciata della chiesa e di tutto ciò che lo circondava in quel luogo. Elio si avvicinò al portone d’ingresso, provò a spingere con una zampa, curioso, ma era già chiuso. A quel punto Artemisia disse: “Elio, dai lo sai che Don Lucio è molto ligio con gli orari di apertura, è stato il nostro parroco per anni, andiamo a bussare in sagrestia” Rudolf si sentì in una botte di ferro, non solo erano nel posto giusto, ma addirittura Artemisia ne conosceva il parroco. Lei si avvicinò alla porta, bussò tre volte, evitando di utilizzare il campanello, ricordava infatti che i suoni forti ed improvvisi gli dessero fastidio. Passò quasi un minuto, delle chiavi cominciarono a girare nella serratura dall’interno e ad ogni giro per Rudolf era come se venisse compiuto un passo ulteriore verso la verifica di quella visione suggerita dal libro prima di sparire. Un volto amico si affacciò dalla porta socchiusa: “Artemisia, Elio!” disse il parroco riconoscendoli. “Buonasera Don Lucio, come sta?” lui rispose ridacchiando che sperava che loro non fossero lì per un alloggio da riservare al viandante, così aveva etichettato Rudolf, per la notte, infatti per colpa di alcuni ospiti improvvisi non vi erano più letti a disposizione. Artemisia lo rassicurò spiegando che il motivo della visita era la cripta allagata e, data la confidenza, sperava di poterla far visitare all’amico fuori orario per una questione di vitale importanza. Don Lucio guardò nella direzione dell’insolito trio, ma proprio in virtù del rapporto d’amicizia con Artemisia con aria bonaria disse: “E sia! Ma dovete fare piano, gli altri ospiti si sono appena coricati e la regola del silenzio è già in vigore”. Il sacerdote accese una lanterna a olio, poi imboccò un lungo corridoio che portava fino all’ingresso secondario della chiesa. D’un tratto si voltò, con la luce della lanterna a colorarne il viso, per dire: “Qui fate pianissimo, queste due porte sono quelle degli altri viandanti, se si svegliano potrebbero risentirsene e mancare di generosità domani quando valuteranno l’offerta da elargire all’opera che li ha accolti”. Rudolf annuì con il capo e il suo passo, così come quello di Artemisia, si fece felpato. Attraversarono la chiesa, Don Lucio li accompagnò fino alla soglia superiore dei gradini e disse: “Scendete, scoprite la meraviglia che giace in seno a questa chiesa”. Elio scese per primo, un gradino alla volta, Rudolf osservandolo vide il suo manto nero e profondo arricchirsi di riflessi figli di una fonte luminosa dalle calde vibrazioni. Artemisia, con i palmi poggiati sulle spalle di Rudolf per aiutarsi nella discesa: “Sento un’energia enorme provenire da laggiù, ho le gote in fiamme” Rudolf si voltò verso di lei, sembrava qualcuno avesse posto delle mele rosse al posto delle sue guance, poi tornò a guardare avanti, era arrivato nella cripta, vide le acque scorrere separate solo dai camminatoi che superavano in altezza di un capello o due la soglia dell’acqua. Vide le colonne, ma la cosa che maggiormente lo colpì fu la vista, nei pressi dell’altare di un globo luminoso dalla luminosità pulsante e grande circa come una sedia da cucina. Dalla scala opposta rispetto a quella da cui erano scesi Artemisia sentì dei passi: “Forse i viandanti stanno scendendo”. Rudolf si girò di scatto, ma non fece in tempo a vedere chi fosse a scendere le scale, il globo luminoso pulsò fortissimo, una, due, tre volte. La Luce si fece alluvione, travolse tutto e tutti, soprattutto Rudolf che vide la sua veste ricoprirsi di dettagli luminosi e simboli. A fenomeno finito qualcosa era cambiato in lui. Artemisia: “Rudolf, la luce che portavi dentro ora è manifesta e percepibile”. Rudolf non rispose, le accarezzò una spalla e poi si avvicinò all’altra scala per capire chi li osservava. La sua veste illuminò dei vestiti umili e il primo raggio di luce colpì un volto: “Luca! Sei tu!”. Appena si videro i loro sguardi suggerirono abbracci mai verificati, ma accaduti nell’anima. Nel frattempo Krampus girovagava nella foresta capovolta sotto alla città, attraversava cunicoli con l’aria del Bianconiglio, ma non era mosso dalla smania di dominare il tempo, camminò, corse, giunse. Arrivò in una sala sotterranea, esattamente al di sotto di Punta della Dogana. Fittissimi i tronchi che sorreggono il di sopra, li cominciò a segnare tutti con dei simboli arcani ed ecco, lentamente, timorosamente, affacciarsi un’ombra, la sua, si inginocchiò, fece rotolare innanzi a sè gli Umbræon e i Luminæon, l’ombra si avvicinò ancora. Con i pugni serrati cominciò a spaccare le sfere una ad una, da esse scaturì della cenere scura per i primi, chiara per i secondi. Le mescolò e, infine, soffiò verso la sua ombra che in un vortice caotico si riunì alla creatura che l’aveva proiettata per la prima volta. Tenebre avvolsero la città anzitempo rispetto al tramonto e, repentinamente, l’energia ivi prodotta, contagiò il di sopra. Un boato che sembrò l’esplosione di un vulcano. Venezia tutta accorse fuori dalle proprie stanze. Il palazzo di Punta della Dogana prese ad emettere luce e, alla sua sommità, la statua di Fortuna poggiata su una sfera sorretta da due Atlanti smise di indicare la direzione del vento e proiettò un potentissimo fascio di luce verso il cielo. Rudolf e gli altri uscirono in Campo San Zaccaria a vedere, percepirono il fascio luminoso che squarciava la notte. Corsero ancor di più, tutti, Don Lucio compreso, verso il Sotoportego San Zaccaria e, attraversando veloci Riva degli Schiavoni, si poterono affacciare alla riva ed ammirare la scena di questa luce che si affievoliva nella cenere che, piovendo, ne divorava parte della sua intensità. Un fenomeno inspiegabile per i più, ma che per Rudolf aveva una sola risposta: “Krampus..”.
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