
5 Dicembre – Il Soldato Quo

Rudolf si sedette a capotavola, osservando le pareti prive di quadri, foto o decorazioni. Giustamente: Artemisia non poteva vedere e non necessitava di ghirigori. Una cosa però lo catturò. Nel bel mezzo di questo denso vuoto decorativo spiccava un diadema, intreccio di radici — forse di quercia — appeso vicino alla finestra che guardava verso la calle su cui si affacciava la porta d’ingresso. Rudolf si avvicinò, incuriosito, percependo una vibrazione sottile, come un sussurro lontano che attraversava la stanza e utilizzava quell’oggetto come veicolo. Artemisia, intanto, appoggiata al tavolo, muoveva le mani nell’aria davanti a sé come ad eseguire una melodia invisibile che s’interruppe un istante prima che Rudolf dicesse: “C’è qualcosa di… vivo in questo oggetto,” quasi sottovoce, mentre ne sfiorava i contorni. Un brivido percorse la stanza: la vibrazione diveniva più concreta all’avvicinarsi della renna. Il diadema sembrava reagire, tremolando di una luce interna, ma nessuno aveva capito se agisse di riflesso o manifestasse un battito vero e proprio. Artemisia si avvicinò lentamente, guidata dalle sensazioni: le dita si posarono sul tavolo e poi, muovendosi in direzione del diadema, nell’aria di nuovo e disse: “Non è solo un oggetto,” sussurrò, “c’è… una storia dietro di lui, non la conosco, ma so per certo che se una entità che serba in sé luce estrema gli si avvicina lui lo sa e lo dimostra in questo modo che non mi è dato percepire. Qualcuno lo lasciò qui apposta ed anche il motivo di ciò mi è celato”. Rudolf notò che man mano che si avvicinava l’abbraccio tra le radici del diadema si faceva meno serrato per poi stringersi nuovamente al suo allontanarsi. Si girò verso gli altri, il silenzio calò di nuovo, interrotto solo dal lieve tintinnio del diadema che oscillando leggermente tornò al suo stato originario e inerte. Rudolf respirò a fondo. Sapeva che quel piccolo gesto, quella vibrazione, conteneva un messaggio che non poteva ancora decifrare, che magari non sarebbe stato cruciale nel viaggio che li attendeva, ma che dimostrava che il suo animo non si era corrotto nonostante la gravità degli eventi. Krampus si spostò leggermente: “Ah, Rudolf… bella la magia di questi momenti,” disse con un sottile brontolio. “Se proprio vuoi farmi arrabbiare, continua pure a tergiversare… io potrei sempre prendere il libro dei frammenti di tenebra e andarmene a cercarli per conto mio.” I suoi occhi scintillarono per un istante mentre con l’indice destro indicava la sacca di juta che, poggiando sul tavolo, conteneva il primo Umbræon. Elio saltò sopra il tavolo, cercando attenzioni e giocando con i laccetti della sacca di juta, Artemisia si sedette e, guardando verso Krampus Rudolf esordì: “Hai ragione, scusami, anzi, scusatemi, torno a concentrarmi”. Poggiò su quel tavolo color noce l’oscuro tomo e, sfogliate le pagine già tradotte potè posare lo sguardo sul nuovo enigmatico capitolo che gli si parava innanzi. Non ci volle molto a tradurlo, ma la brevità del tempo occorso non era proporzionale alla difficoltà del quesito. Rudolf guardò la sua compagine e disse: “Dobbiamo interpretare il senso di queste parole, siete pronti?” annuirono tutti, persino Elio, che di solito restava impassibile. Rudolf proseguì, con voce ferma: “Altura vetrata… e un soldato affatto minaccioso che sorveglia un ponte.” Krampus sbuffò, si sentiva preso in giro da questo indizio e disse: “Hey Rudolf, sicuro di non aver esagerato con il fieno, eh?” rise grossolanamente e abbassò lo sguardo. Artemisia si coprì il volto con le mani, come a volersi spremere di ogni angolo della città per selezionare quello giusto. Elio andò verso di lei, strusciò la sua coda sulle sue braccia e lei sobbalzò: “Seriamente?!” Gli altri sbigottiti rimasero in silenzio per capire quale intuizione potesse esser giunta tramite il felino. Artemisia però non ruppe il segreto, scelse di condurli direttamente ad osservare l’ipotesi sussurrata a mo di fusa da Elio. Uscirono da Calle Luigi Torelli, facendosi strada tra le calli strette, seguendo i suoni di passi e avvolti dal lieve sciabordio dell’acqua proveniente dai numerosi rii incontrati lungo il percorso. Artemisia guidava e continuava a muovere le mani in maniera indefinita, come a percepire vibrazioni invisibili lungo i muri e sotto i ponti o lungo le balaustre. Giunsero al Ponte de la Canonica, una prospettiva perfetta per ammirare lui: il Ponte dei Sospiri, una valida declinazione dell’idea di altura vetrata e di un soldato a guardia. La luce pareva non filtrare da quelle finestre da cui i condannati salutavano Venezia per l’ultima volta, ma la sensazione fu d’essere nel giusto, il problema era come capirlo. Artemisia chiamò a sé Elio e, tenendolo tra le mani, gli sussurrò qualcosa. Senza esitazione, il gatto saltò sulla balaustra del ponte, poi di cornicione in cornicione lungo i margini di Palazzo Ducale, verso il lato da cui guardare le prigioni. Un piccione lo sfiorò, facendolo quasi cadere in acqua, e intanto i turisti, incuriositi, cominciarono a immortalare la scena, ignari del suo vero significato. Elio, impavido, raggiunse il Ponte dei Sospiri, s’infilò in un passaggio e scomparve. Minuti di silenzio, densi di attesa. Poi riapparve, con la coda bassa. Fece il percorso inverso tra i mormorii dei presenti e, raggiunta Artemisia, si strinse a lei. Non serviva parlare: il suo gesto bastò a far capire che non era quello il luogo dell’indizio. Il gruppo, guidato da Krampus, si diresse verso Piazza San Marco. Orde di turisti si avvicinarono, curiosi, per il gatto e per quella strana compagine che sembrava uscire da un set photo booth carnevalesco. Rudolf però, pur avvolti tutti da un mormorio notevole, sentì la voce di una bambina chiedere con insistenza alla madre: “Mamma, mi porti dal Soldato Quo oggi?” e lei rispose: “Ma oggi non passeremo dal Ponte dei Zogatoli, nei prossimi giorni te lo prometto che ci andremo”. Quelle parole rimbombarono nella mente di Rudolf: “Soldato… Ponte… Giocattoli” ripetè sottovoce iniziando a collegare questi punti con l’enigma proposto. Si girò verso gli altri e propose questa opzione, Krampus dubitò, Artemisia delusa da quanto accaduto poco prima al Ponte dei Sospiri si aggrappò con una flebile speranza a questa tesi. Lasciarono Piazza San Marco alle spalle, attraversando il brulichio di turisti e il pavimento di piccioni che si levavano in volo come schegge al loro passaggio. Le calli si fecero via via più strette, le voci più rade… Ogni ponte sembrava uguale eppure era diverso, come se Venezia si divertisse a confonderli. Artemisia avanzava per prima, seguendo itinerari mnemonici che solo lei sembrava in grado di cucire insieme; Krampus brontolava a ogni svolta, ostacolo e ponte, Rudolf restava in silenzio, assorto, mentre Elio saltava da un gradino all’altro come se sapesse già la meta, fiducioso nella sua padrona. Dopo un dedalo di curve e passaggi stretti, il rumore dei passi li portò a un piccolo ponte arcuato, quasi timido, che si affacciava su un rio quieto. Sopra una finestra, un segno consumato dal tempo: forse un pupazzo, forse un ricordo d’infanzia dimenticato. Artemisia si fermò e indicò nella sua direzione. “Eccolo,” disse piano. “Il ponte dei zogatoli e, poco sopra, il Soldato Quo.” Rudolf esaminò quanto vedeva così: “Espressione placida, affatto minacciosa, di sottecchi può sbirciare verso il ponte, dunque si può definire una guardia.. è folle, ma ha senso”. Al di sotto della vetrina di Quo, che era al primo piano, in sostituzione a quello che fu un negozio di giocattoli, vi era un negozio di calzature ora. Artemisia chiese ad Elio di andare in esplorazione. Il felino in virtù delle sue qualità riuscì a sfuggire agli sguardi dei presenti, salì e arrivò alla vetrina del piano superiore proprio di fianco a Quo. Ci girò intorno più volte, finchè non trovò una piccola apertura posteriore che celava una scatola piccolissima. Da buon gatto la prima tentazione fu di provare ad entrarci, ma per una volta riuscì a resistere dal tentare l’impossibile e ne osservò il contenuto. Vi era un mattoncino Lego dello stesso colore del cappello del Soldato Quo. Attirò dunque il gruppo a salire e, con Krampus che a momenti restava bloccato nella scala a chiocciola, una volta giunti Rudolf si prese la responsabilità di inserire quel mattoncino lì, proprio dove sembrava mancare. Una volta inserito si sentì il suono di qualcosa che pareva essersi tuffato in acqua, la testa di Quo si inclinò di poco verso il ponte, come a guardarlo meglio, si affacciarono anche Rudolf e gli altri e videro lo stesso volto dello specchio scomparire tra i riflessi delle acque per dissolversi e, un istante dopo, un’altra sfera di Umbræon apparve nella mano sinistra di Quo. Rudolf la colse, la mise nella sacca e, guardando gli altri con l’aria tra lo sbigottito e il soddisfatto, li invitò ad uscire. Scesero dalla scala a chiocciola, con Krampus che aveva gli occhi luminosissimi e probabilmente pareva pronto a scagliare saette dalla rabbia per la scomodità dei passaggi angusti. Giunti al pianterreno si videro rimproverare dalla commessa per aver toccato Quo, un simbolo che tutta Venezia ama profondamente. Si scusarono, tutti tranne Krampus, che però con intelligenza si guardò dal dire perché quell’ammasso di mattoncini si fosse mosso. Il racconto della scelta di un buon silenzio era testimone di una saggezza che nessuno saprà mai trascrivere. Una volta fuori, Rudolf sentì un brivido lungo la schiena. La sacca di juta per un istante parve pulsare, come se qualcosa dentro si stesse manifestando, proprio come accadde al diadema. Che fosse colpa dell’entità che sembrava conoscere i loro passi?
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