“Chi ha rapito Santa Claus?” 3 Dicembre – La Casa di Artemisia

"Chi ha rapito Santa Claus?" - cover by Trarealtaesogno

3 Dicembre – La Casa di Artemisia

La Casa di Artemisia

Rudolf attraversò velocissimo il silenzio del cielo lasciandosi alle spalle le distese ghiacciate del Nord. Sotto di lui il Mare di Barents parve farsi tutto vetro e stelle riflesse, le isole norvegesi luccicavano come schegge di un sogno da ricomporre. Prima di sorvolare le Alpi, le cime bavaresi e i passi del Tirolo disegnavano ombre d’argento e castelli appuntiti con le loro cime innevate. Oltre l’ultimo crinale, la pianura si aprì come un respiro, la sua velocità aumentò a dismisura e nella distanza, tra veli di foschia e acque immobili, poco dopo un rallentamento ed eccola, Venezia apparve. Non di luce intensa, ma di riverbero ovattato, come se la città intera fosse avvolta da un abbraccio di nebbia e umidità, sospesa tra il ricordo del Natale restituito l’anno prima e la minaccia verso quello in arrivo. La renna, forte delle sue sembianze umane, scelse di atterrare lì dove tutto era finito l’anno prima, in Campo Santi Giovanni e Paolo, in un punto compreso tra il pozzo e il monumento a Bartolomeo Colleoni. Si guardò intorno, la notte conferiva un silenzio profondo, denso, penetrante a tutta la città. Solo allora la bussola, cullata tra le sue mani, parve trovare pace. Un rumore tipo ingranaggio che salta ne scaturì e la lancetta volò via, per terra. Rudolf la raccolse e capì ch’era giunto il momento di far da sé, gettò la bussola ormai rotta in un cestino e si incamminò verso Calle Luigi Torelli, lì dove con Santa avevano vissuto il Rito dei 25 Ingredienti della Luce. Rudolf si guardò intorno, quasi sconsolato, non trovando la scritta che aveva visto. Inaspettatamente una porta parve volersi aprire. Da quella silente dimensione scaturì dapprima una chioma riccia e nera che poi delineava in maniera irregolare i confini di un volto apparentemente selvaggio. Era una ragazza vestita di color ambra scura, ad ogni piega il tessuto generava ombre, le mani cercavano lo stipite, sicure di conoscere la sua posizione attraverso la mappa dell’invisibile. Rudolf non capì che fosse cieca, lei si girò di scatto come colpita da un dardo e parlò, con una voce che pareva giungere da lontano, con un’eco di affettuoso calore: “Rudolf, sei tu? Santa è stato rapito, ho percepito tutto, so che circa un anno fa avete compiuto proprio qui il Rito dei 25 ingredienti della Luce. Non avrei mai creduto di poterti conoscere, sono Artemisia, è da quella notte che attendo questo momento”. Lei si avvicinò, pareva danzare nell’aria, mentre lui rimase immobile, colto dal brivido della verità nuda e cruda. Lei conosceva il suo nome, lo attendeva, non poteva vederlo, era cieca, ma sapeva dove fosse, seppur fosse rimasto in silenzio. In quel momento lui capì che Artemisia non vedeva il mondo, ma ne ascoltava il battito ed il vivere: sentiva i vuoti, le assenze, i tagli che separavano una presenza dall’altra. Aveva occhi diversi, forse fatti per guardarti dentro. Quella notte, nel suo modo impercettibile, fu lei la prima a percepire la sparizione, a piangere disperata per il male che si stava manifestando e ad attendere paziente e fedele l’arrivo di Rudolf. Rudolf le si avvicinò, l’abbracciò e le disse: “Piacere Artemisia, non sappiamo ancora abbastanza, non conosciamo cosa ci riserva il destino, ma ce la metteremo tutta e ce la faremo, me lo sento”. Nel frattempo, dalla porta da cui era uscita Artemisia fece capolino un musetto curioso: un gatto nero, con gli occhi color ambra che sembravano trattenere l’eco di una luce lontana. Si fermò un istante, come per valutare se il mondo là fuori fosse degno della sua presenza, poi avanzò con passo silenzioso, misurato, felpato. Avviluppò la sua coda sulla gamba della sua proprietaria, orecchie tese, il corpo inarcato in un equilibrio perfetto tra ombra e luce. Artemisia esclamò: “Elio!” Rudolf lo guardò curiosamente,  il gatto sollevò lo sguardo verso Artemisia, e per un attimo parve che i due si parlassero senza voce: lei inclinò appena il capo, sorridendo, lui rispose con un battito lento della coda su di lei. In quell’intesa sospesa, Rudolf ebbe la sensazione che Elio altro non fosse che l’ombra della sua proprietaria, una proiezione ed estensione della sua persona. Lei si chinò verso il felino, tese l’orecchio come a farsi rivelare dei segreti e si rialzò. “Rudolf, dobbiamo incamminarci verso il Sotoportego della Corte Nova, quello della Pietra Rossa, Elio ha la sensazione che potrebbe esserci qualcosa di utile e potente per la nostra missione”. La compagine s’incamminò e approfittando della strada da percorrere Artemisia, con Elio cullato tra le braccia, raccontò di come quel luogo sia famoso in città perché una donna vide la Vergine durante l’epidemia di peste. Le chiese di dipingere tre santi a protezione del passaggio, e così fece. La pestilenza si fermò sulla soglia, e dove cadde, la pietra si tinse di rosso. Da allora nessuno la calpesta: pare non sia di buon auspicio e possa risvegliare il male che dorme sotto il marmo. Artemisia continuava a camminare spensierata, posava i suoi passi come se conoscesse il nome d’ogni pietra. Giunsero al sottoportico, Elio saltò giù e, evitando la pietra rossa, cominciò ad annusare la zona. Rudolf rimase in silenzio, osservando. Artemisia mosse le mani nell’aria, come a tessere segni d’infinito, cercando forze che solo lei poteva percepire. Fu allora che sussurrò di un diario, nascosto da qualche parte nella città, un testo criptico che parlava di “frammenti di tenebra” disseminati tra le fondamenta di Venezia, necessari per ritrovare e liberare Santa. Rudolf la guardò, interdetto, mentre il vento del Sotoportego parve mutare direzione. Una quarta presenza si stagliava poco lontano da loro, a braccia conserte. Era appena fuori dal sottoportico. Li osservava imponente. Il cappuccio incorniciava un volto tagliente con due occhi color smeraldo. Indossava un lungo mantello di lana scura, bordato di pelliccia nera, su cui correvano ricami dorati simili a rune antiche, intrecci di simboli dimenticati che parevano pulsare di una propria vita. Nella mano destra stringeva un bastone tortile, scolpito nel legno scuro, sormontato da una stella di ghiaccio. L’uomo fece un passo avanti, e il suono dei suoi stivali parve spezzare il silenzio del sottoportico. La stella di ghiaccio in cima al suo bastone si illuminò per un istante, intercettando la luce dei lampioni. Poi, con voce profonda e cavernosa, parlò: “Io sono Krampus”. Il nome vibrò nell’aria come un eco antico, e per un momento anche il vento parve fermarsi ad ascoltare. Da troppo tempo osservo l’equilibrio spezzarsi, ricomporsi e precipitare. Conosco i frammenti che cercate, mi sono stati trafugati e mi appartengono tanto quanto la luce che li teme. Fece un altro passo verso di loro, abbassando il capo quel tanto che bastava per direzionare la voce verso Artemisia: “Lasciatemi unire a voi. Non per redenzione, ma perché ho un debito con Santa ed è il momento di saldarlo”. Un lampo attraversò i suoi occhi, e Rudolf istintivamente sospirò. Elio, con il pelo irto, gli soffiò contro. Artemisia, invece, restò immobile, come se avesse atteso quell’incontro da sempre, pronta a dare fiducia. Fu proprio quel feeling sottile che la più sensibile tra i presenti pareva rivelare che rassicurò tutti gli altri. Elio si strusciò sugli stivali di Krampus, Artemisia sorrise, Rudolf, conoscendolo ma apprezzandone le intenzioni rimase neutro. Artemisia li spostò, allungò le mani nell’aria e si aprì il vano delle offerte facendo fare capolino ad un diario criptico sopra il quale vi era la scritta – Βιβλίον τῶν τεμαχίων τοῦ σκότους – ovvero libro dei frammenti di tenebra. “Brava!” esclamò Krampus esortandola a passare il libro dalle sue mani verso Rudolf dicendo: “So per certo che te ne intendi di greco, non potrei far affidare questo tomo in mani migliori delle tue.” Rudolf, aprendo il volume con cautela, lesse lentamente le parole incise sulla prima pagina: “Biblíon tōn temachíōn toû skótous… significa ‘Libro dei frammenti di tenebra”. “Corpo di mille renne, ma parla degli Umbræon!” Poi, chiudendo il libro preoccupato, aggiunse soltanto: “Ok, lo tengo io, ma andiamo in un luogo più intimo, abbiamo un tomo importante per le rivelazioni che potrebbe celare e le spalle troppo scoperte.” Fu così che la squadra più eterogenea di sempre si incamminò verso un luogo sicuro, la casa di Artemisia. Attorno al tavolo sedevano lei, una Renna umana, un gatto di nome Elio e Krampus, la cui ombra tradiva corna che, solamente sotto il cappuccio, restavano celate. Rudolf non era seduto vicino, percepiva qualcosa d’indefinibile: un odore di cera fusa e fumo, come dopo un incendio spento a metà. Forse un barlume della luce che, in fondo, sembrava ancora sepolta in lui alla stessa maniera di un tizzone su cui, al primo soffio, divampa la fiamma. Strano… per essere una creatura nata dal gelo, il suo sguardo pareva ardere — non di rabbia, ma di qualcosa che somigliava tantissimo ad una indefinibile energia mossa da un sentimento di nostalgia.

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