
21 Dicembre – L’Evasione

Patty, con i baffetti tesissimi, si guardava intorno in attesa che uno degli Schabmänner giungesse per controllare lo stato del cappuccio di Santa e per portargli la colazione. Quest’ultima consisteva in un tozzo di pane duro come pietra e una ciotola di latte. Santa non ebbe mai modo di mangiarla, era sempre legato, ma spiegalo tu ad una Schabmänner. Impossibile. Patty vide una di quelle goffe creature arrivare, inizió a contare i secondi: “uno, due, tre… ventisette..” lo faceva perché Santa, capito chi fosse, anzi, chi non fosse dato ch’era solo un’ombra, dopo i recenti eventi aveva avuto un’idea per tentare la fuga. Non era certo del successo del suo piano, ma dato che, se avessero voluto fargli del male, lo avrebbero già fatto, decise di tentare. Patty intanto: “trecentoquattro, trecentocinque…” lo Schabmänner guardó Santa, posó ben distante da lui il cibo e, vedendolo col cappuccio, glielo tolse. Santa sussurró: “é il momento, queste Schabmänner non capiscono proprio nulla..” e ne rise. Patty tornó da lui e sussurró: “Le Schabmänner impiegano in totale circa cinquecento secondi ad andare e tornare quando fanno il giro del cibo e poco meno quando fanno quello di controllo, pensi di farcela?” E Santa: “devo solo nascondermi, instillare il panico, non fuggire, almeno non subito. Prima peró devi cercarmi un oggetto acuminato con cui io possa tentare di liberarmi da questi vincoli a polsi e caviglie” Patty, che pendeva dalle sue labbra, stava per perderlo, era conscia stesse per accadere, ma al contempo era consapevole che Santa valeva di più del suo egoistico affetto. Passarono minuti, a decine e questi messi insieme divennero ore. I raggi del sole cambiarono l’inclinazione delle ombre che i rovi esterni, aggrappati alle sbarre, generavano sul pavimento. Ad un tratto Patty percepì, drizzando i baffetti di conseguenza, una Schabmänner che cominciava a muoversi verso la cella di Santa. Quando questa fu a metà corridoio Patty, raso muro, cominció il suo percorso verso la zona in cui gli Schabmänner preparavano i pasti, se così si potevano chiamare. Corse raso muro e arrivó ad una sorta di cucina, un luogo fetido, sudicio, affatto mondo. C’erano dei pentoloni che ribollivano di non si sa bene quale nefanda preparazione. Corse contando nella sua testolina “duecentotrentasette, duecentotrentotto…” il tempo scorreva incalzante, ma lei non aveva intenzione di demordere. Arrivó ad un cassetto socchiuso, c’erano cucchiai, forchette, coltelli fin troppo usurati. Alla fine, per non dare nell’occhio, prese una forchettina da dessert. Si guardó intorno, fece vibrare i suoi baffetti per la tensione e ripartì. Un altro Schabmänner passò, aprì una cella vicina per consegnare del cibo e disse: “un altro prigioniero” squittì sommessamente Patty tra sé e sé. Lo vide, lineamenti gentili, vestito con una tunica tinta cacao, ricevuto il cibo ci si genuflesse innanzi, era legato solo ad una caviglia, cominció a lodare il Signore per quanto stesse per mangiare. “Un frate!” Squittì e, quello, udendo il suo squittire, si giró salutandola con la mano mentre la sua cella veniva richiusa. Patty tornó di corsa da Santa, schivó lo Schabmänner che compiva il giro di ritorno e, con un’agilità incredibile saltó dentro col suo prezioso strumento. Santa la sentì zampettare, gli avevano rimesso il cappuccio, Patty si arrampicò come sempre partendo dal piede, poi il ginocchio e su, fin dietro la testa. Da lì cominciò a sfilare il cappuccio e, una volta fatto, lo lasciò cadere al suolo. Passó davanti, si era riportata alla bocca la forchettina. Lo sguardo che Santa le riservó era un misto di gratitudine e commozione e, con un semplice cenno trovarono l’intesa. Patty dunque scese lungo la schiena, fino al polso sinistro di Santa che, tra zampette e baffetti rise divertito dal solletico. Patty avvicinò alle sue dita la forchettina e, una volta che Santa l’ebbe saldamente tra i polpastrelli cominciò a lavorare sulle funi che lo vincolavano per liberarsi. Ci vollero decine di minuti, ma alla fine Santa riuscì a liberare il primo polso dalla fune. La mano era indolenzita, ci volle un po’ per averne il pieno risveglio, ma con una mano a disposizione tutto diveniva più semplice. In un batter d’occhio Santa liberò anche l’altra e poi i piedi, prima il destro, poi il sinistro. Patty lo guardò sognante: “Ora sei libero!” e lui: “No, non sono libero, cara Patty, ora siamo liberi”. Lei pianse, lui la fece accoccolare dentro al suo taschino, da lì oltre che al riparo lei ne percepiva il battere e levare del suo cuore. Non era mai stata così felice. Lo guardò, da lì sotto e gli disse: “Sai che c’è un frate imprigionato dall’altra parte?” e Santa: “Dopo salveremo anche lui, ma prima, passiamo alla fase due, diamo il via all’operazione instillare il panico!”. Fu così che Santa, percependo l’imminente arrivo di una Schabmänner salì sulla sedia a cui era stato legato e, sfruttando la catena che penzolava dal soffitto che una di quelle creature ottuse aveva fatto scendere, ci si arrampicò. Arrivò a tre metri da terra, vide la Schabmänner giungere, guardare la sedia, girarci attorno, e poi col suo sguardo, fisso e impacciato, oscillava tra la sedia vuota e il perimetro della cella. Parve inspirare profondamente, cercando di ricordare il protocollo, ma la logica semplice non bastava: il prigioniero infatti non era dove doveva essere. Con un brontolio sommesso emise un fischio meccanico e agitò le braccia, attirando l’attenzione delle compagne. Subito, le altre si affacciarono dai corridoi vicini, ognuna confusa e titubante a modo suo. Una ruotò sul posto e disse un breve: “Oh?” La seconda annuiva, una terza, più piccola, cominciò a saltellare sul pavimento con movimenti nervosi, inciampando in un angolo, creando un effetto domino in una escalation di gesti goffi e frenetici che forse un significato potevano pure averlo. La prima Schabmänner allora si piegò, tastando sotto la sedia e poi verso le funi, ma senza avere mai la tentazione di guardare in sù. La confusione esplose nel silenzio e si diffuse come un’onda: le Schabmänner si spostarono in cerchio, senza capire dove guardare. Il panico, seppur meccanico, prese il sopravvento: si inciampavano l’un l’altra, sbattevano contro le pareti e poi, in fila indiana andarono di zona in zona urtando pentoloni, scaffali, porte. La loro routine precisa si stava trasformando in un incubo, come avrebbe reagito l’ombra? Panico. Santa a quel punto, attraverso uno spiraglio tra i rovi della finestra le vide correre fuori, sempre in fila indiana, ma, dettaglio fondamentale, dell’ombra oscura che vigilava su quel luogo nessuna traccia. Santa abbassò lo sguardo verso Patty, era il momento di scendere dalla catena e sfruttare il vuoto lasciato dall’inettitudine delle Schabmänner. Santa e Patty, una volta a terra, si confrontarono e decisero di eliminare il problema di quelle guardiane maldestre alla radice. Santa si nascose dietro una porta, Patty andò fuori ad attirarle, diede ad intendere loro di sapere dove si trovasse il fuggitivo, in fondo era vero. Le Schabmänner accorsero, maldestre e convinte come poche volte nella loro vita, Patty le guidò dentro la cella e: “Clang!” Santa le rinchiuse dentro, Patty scappò veloce e tornò nel taschino. Santa le guardò dalle grate sulla porta in legno da cui fino a poco fa era vincolato e fece ciao ciao con la mano. Da una finestra finalmente vide l’esterno, Santa sospirò, sapeva dove si trovava e, forse, la via per scappare, ma prima bisognava capire chi fosse l’altro prigioniero e, ombra permettendo, salvarlo. Patty indicò la direzione, Santa corse, nessuno lungo il tragitto. Quando fu vicino alla porta sentì una voce gentile recitare delle preghiere. Gli parve di conoscerla, ma non vi diede troppo peso. Scardinò il lucchetto con la forchettina di Patty, aprì lentamente la porta scricchiolante, il tutto mentre le Schabmänner non si sa bene cosa urlassero dalla cella. Ciò che vide lo sconvolse nel profondo. Quella sagoma era inconfondibile, il frate si girò verso il suo salvatore e un silenzio di reciproco stupore colse entrambi. Il frate, guardando Santa: “Non ci posso credere, sei proprio tu?” e Santa: “Luca, fraterno amico mio”. Piansero di gioia, entrambi, abbracciati per istanti che parvero non cessare mai. Si era fatto però tempo di compiere la fuga e, abbandonando le Schabmänner nella cella, si guardarono intorno per esser certi di non essere seguiti dall’ombra e presero il corridoio che dava l’impressione di condurre all’esterno. Dopo qualche deviazione arrivarono all’esterno ad una sorta di canale generato dai confini dell’isola e da un antistante ottagono militare, si voltarono e, capirono dove si trovassero. Erano stati imprigionati a Poveglia. Santa “Luca, ora come scappiamo da qui?” e il frate: “Ricordo che sul lato opposto a questo che guarda al Lido c’era una sorta di cimitero di barche abbandonate, magari siamo fortunati..” e Santa: “Proviamoci”. Giunti sul versante nord rimasero stupefatti, non una, non due, decine di barche abbandonate e poi remi, forcole, ogni genere di accessorio. Un vero spreco, ma fortuito per loro! Santa e Luca si intesero con un cenno del capo, non serviva parlare. Scelsero la barca, le forcole, i remi e, come un anno prima, vogando, si allontanarono da Poveglia vogando al tramonto. C’era tutta la poesia del mondo cristallizzata in quell’istante e, per la prima volta nella sua vita, Patty stava vedendo la laguna da vicino.
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