“Chi ha rapito Santa Claus?” 7 Dicembre – L’intuizione di Elio 

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7 Dicembre – L’intuizione di Elio

Artemisia ed Elio in un affascinante scenario veneziano

Quella mattina Artemisia e gli altri pensarono recuperare le energie. Ognuno riposando nella maniera che più riteneva adeguata. Krampus infatti, per citarne uno continuava a dormire in piedi nel suo ormai classico angolo di Muro. L’unico che non se la passava bene, non avendo chiuso occhio, era Rudolf, la cui mente aveva cominciato a viaggiare, ragionare e ipotizzare senza sosta su quali fossero i significati di quelle sfere oscure e di chi potesse essere l’artefice di un rapimento così sensazionale e contemporaneamente all’apparenza così semplice. Artemisia si rivolse verso Rudolf e gli disse: “Guarda che anche tu devi riposare, fermarti, ritemprarti. Mi sono svegliata più volte durante la notte ho percepito chiaramente il tuo respiro a tratti ricco di ansia e a tratti più lento e riflessivo e lo so che avevi gli occhi aperti. Tra i presenti sei quello che conosce di più Santa, dunque sei anche il più importante di noi, perché per quanto in questo momento la ricerca non dipenda da lui, conoscendolo così profondamente come solo tu lo conosci sarà più facile raggiungere quell’intuizione che ci potrà fornire indizi decisivi o magari addirittura permetterci di trarlo in salvo”. Lui, visibilmente emozionato, rispose: “Grazie per le tue parole. Convivo con un senso di colpa smisurato. Quella notte in cui l’hanno rapito ero qui a Venezia, l’ho perso di vista per un attimo perché entrambi eravamo troppo felici in nostro essere riusciti a compiere la missione di salvare il Natale e di esserci riuniti, grazie al mio arrivo sorpresa nel momento più propizio. Al contempo mi interrogo e mi sorge il dubbio che possa esserci una mia responsabilità più profonda e non palese in quanto accaduto”. Lei sorrise, proprio come chi aveva già immaginato di ricevere quel tipo di risposta e disse: “Stai cadendo nell’errore più comune tra tutti, quello di cercare le colpe dove non ci sono. Nessuno poteva sapere che qualcuno stava lì, nell’ombra, ad orchestrare un rapimento. E anche lo avessi saputo, non avresti potuto prevedere quando sarebbe stato messo in atto. Ci sono molti quesiti di cui non conosciamo le risposte”. E lui:  “Hai ragione, ma è la mia indole interrogarmi mille volte su ogni passo compiuto. Esiste però un modo per stemperare il mio senso di colpa e tu puoi essermi d’aiuto, dobbiamo agire, ti va di cominciare ad analizzare il quarto capitolo insieme?” Mentre Elio gli si andò ad accovacciare sulle gambe, strappandogli un sorriso intenerito, Artemisia disse: “Perfetto ma lascia che prenda dei biscotti dalla dispensa così che tu, io, ma anche Krampus al suo risveglio, avremo modo di ricaricare le nostre energie”. Rudolf posò il tomo sul tavolo, lo aprì al capitolo quattro e, nel mentre, Elio scese a terra, forse scocciato da tutto quel movimento. Artemisia si mise a sedere posando sul tavolo un bellissimo vaso di vetro rosa semitrasparente ricolmo di biscotti e chiuso da un coperchio di colore uguale, sovrastato da un pomello rosso ciliegia. “Grazie” disse Rudolf. E lei: “Allora Rudolf, sei già riuscito a carpire qualche segreto da queste pagine?” rispose: “Una cosa è certa, la parola profumo l’ho già letta sei volte in poche righe, ma devo leggere meglio per coglierne il senso”. Nel frattempo tra i due volti, quello di lei in ascolto e quello di lui intento a leggere comparve una mano ombrosa. Questa si allungava furtiva verso il tavolo, anche loro la notarono, non ne capivano il senso. Afferrò il pomello, alzò il coperchio, infilò la mano nel vaso e, con voce piena disse: “Non favorite un biscotto malandrini?” era Krampus, che a quel punto sapendo d’essersi fatto percepire più minaccioso di quanto fosse si lasciò andare ad una grassa risata. Rudolf chiuse il libro di scatto ed esordì così: “Ci sono!” Krampus e Artemisia si voltarono verso di lui, Elio ritornó sul tavolo. “Il tempio delle essenze silenti; ecco la traduzione di oggi!”. La traduzione c’era, ma l’entusiasmo si smorzó subito in quanto nessuno aveva capito di che luogo o edficio si potesse trattare, i loro volti dapprima ebbri e felici s’incupirono per la difficoltà del quesito. Elio reagì diversamente, si sollevò dal tappeto e cominciò a muoversi con quella sua andatura morbida come un’ombra che prende forma. Si fermò davanti al vaso dei biscotti, poi alzò lo sguardo verso il vetro della finestra e scese. Le sue pupille, dilatate, seguivano qualcosa che nessun altro vedeva. Fece un passo, poi un altro, fino a posarsi accanto alla parete dove l’umidità aveva disegnato un alone azzurrognolo. Lì si accovacciò, annusando l’aria come se vi fosse nascosto qualcosa di dimenticato. Artemisia lo osservò in silenzio. L’odore della casa — di cera, legno, spezie e tè — le parve mutare impercettibilmente, lasciando affiorare una nota di stoffa bagnata, di erbe macerate, di colore e tinture antiche. Elio sollevò il muso e miagolò piano, come a voler dire “seguite il silenzio tracciato dalle essenze”. Rudolf sentiva il senso di colpa aumentare. Una lama di luce attraversò la stanza, colpendo una bottiglia vuota sul tavolo: per un attimo il vetro si tinse di viola e d’oro, come se dentro avesse preso vita una scia invisibile. L’odore cambiò ancora — più aspro, più antico — e Artemisia comprese che Elio non stava giocando. Aveva appena indicato la strada e disse: “Dirigiamoci alla Corte del Tintor!” Non era infatti un sentore vivo, ma un’eco di tradizioni perdute e la mente corse, improvvisa, dove il tempo aveva imprigionato il respiro delle antiche tinture. Partirono così verso Cannaregio e, prima di raggiungere l’attraversamento in gondola del Canal Grande a Santa Sofia, necessario per arrivare rapidamente a destinazione, passarono per il ponte San Canciano, Artemisia allungó la mano destra e sfioró le due ancorette facendole tintinnare, gli altri fecero lo stesso e Rudolf: “Perchè lo stiamo facendo?” Artemisia: “perchè se le puoi sentire sei ancora vivo”. Rudolf si fece bastare quella risposta, sicuro c’era di più, ma preferì annotarsele come portafortuna. Dopo altri cinque minuti arrivarono alle gondole di Santa Sofia e Artemisia: “ok, attraversiamo qui”. Krampus: “io non salgo su quel trabicolo! Proseguo a piedi”. Così per la prima volta da quando si era costituito il gruppo si divise. La traversata in gondola fu una vera rivelazione per Rudolf, impreziosita per di più dalla vista del palazzo Della Ca’ d’oro quando si votò quasi per caso verso il punto di partenza. Le acque cullavano quella gondola alla stessa maniera in cui Artemisia teneva tra le braccia un placido Elio. Guardandola Rudolf disse: “Sono convinto che una volta che avremo raccolto tutti, o almeno una buona parte degli Umbræon saremo in grado di capire dove si trova o come liberare Santa”. Lei rispose: “ sento che nelle tue parole risiede la più profonda delle verità”. La gondola scivolava silenziosa, e per un momento Venezia sembrò trattenere il respiro con loro. Artemisia osservò l’acqua incresparsi attorno alla prua, poi guardò Rudolf, che aveva lo sguardo perso sui palazzi riflessi sulla superficie del Canal Grande. Fu allora che lui abbassò la voce, quasi al livello dell’acqua sottostante, come se persino le increspature delle onde potessero ascoltare. “C’è un dettaglio che non ho detto a nessuno,” mormorò. “Santa… quando sa di essere in pericolo, lascia una traccia invisibile ai più, faccendo tre piccoli tocchi con il guanto, con la punta delle dita o con la punta del suo stivaletto. Un segnale impercettibile, il nostro codice per manifestare una forma di pericolo che lo riguarda. Io sono l’unico a conoscerlo, ora anche se non lo puoi vedere, lo sai anche tu perchè ti reputo degna di questa fiducia.” Artemisia lo ascoltò senza interromperlo e visibilmente emozionata, nel mentre Elio aprì un occhio, come se avesse potuto percepire il peso di quelle parole. Rudolf continuò: “Nel punto in cui è sparito non c’era nessun segno. Nessun tocco.” Lei rimase immobile, la gondola oscillò più forte e disse: “Questo cambia tutto,” disse sottovoce. “O non ha avuto il tempo… o conosceva già chi aveva davanti.” Rudolf annuì, serrando le mani. “È per questo che dobbiamo arrivare al più presto. Prima lo capiamo, prima lo salviamo.” Il gondoliere li aiutò a scendere dalla gondola verso il classico attracco in legno che digrada verso l’acqua, ebbe un occhio di riguardo per Artemisia, probabilmente la conosceva e, sapendo della sua condizione, ebbe estrema premura nell’assistere il suo passo in maniera che la discesa risultasse quanto mai sicura. Lo ringraziarono e, Rudolf capì che erano tornati al mercato ittico, vicino al luogo in cui solamente il giorno prima lo stormo di pappagalli, capitanato da quello Buranello, li aveva assistiti nella ricerca del pozzo di vimini. Si guardarono ripetutamente intorno, ma di Krampus nessuna traccia, passò infine più di mezz’ora ed eccolo apparire, caracollante e sorridente: “Scusate il ritardo, ma tra gruppi di turisti giapponesi e calli pervie non sono riuscito subito a raccapezzarmi. L’importante è esserci ritrovati, proseguiamo dunque!”. Annuirono come a rasserenarlo sulla sua scelta e Artemisia li invitò a proseguire verso Riva de l’Ogio, ma Rudolf fu ammaliato da un piccolo ponticello in legno visibile dal ponte che portava a quella riva che dovevano raggiungere. Il ponte, davvero minuto e cortissimo, portava ad un ristorante “Alle Poste Vecie” e Artemisia, avendo immaginato cosa avesse attirato Rudolf, gli disse: “Quel locale è nato intorno al 1500, profuma di mare e storia”. Rudolf spalancò la sua bocca stupefatto dalla precisione della ragazza, ma preferì non evidenziarlo, consapevole che ella percepiva ben oltre il comprensibile. Dopo un dedalo di calli giunsero alla soglia di Corte del Tintor, entrarono in un piccolo portico, un tunnel da percorrere in fila indiana. Una volta dentro la corte si misero ciascuno schiena contro schiena per guardarsi intorno. Gli occhi di tutti, anche quelli interiori di Artemisia, si lanciarono alla ricerca di un segno, una traccia, un indizio. Nulla, dopo alcune decine di minuti, di nuovo, rinunciarono e decisero incamminarsi fuori dalla corte ed esplorare la Calle del Tentor, sperando che questa deviazione fosse foriera di notizie migliori. Rudolf: “Eppure la frase tradotta è corretta, dobbiamo capire cosa sia il tempio delle essenze silenti… ma, scusate, conosco tanti nomi di santi, ma, chi è San Stae?”. Artemisia: “Rudolf, si vede che non sei di qui! San Stae è il nome in dialetto di Sant’Eustachio cui è intitolata la chiesa qui vicino, se volete vi ci porto. Krampus: “io in chiesa non ci entro, penso lo possiate capire” a seguire Rudolf: “Io son curioso” ed Elio: “miaooo!”. Trovata l’intesa dunque svoltarono nella Salizada San Stae e.. Rudolf rimase di nuovo a bocca aperta: “A a a Artemisia – balbettando – ma non ti ricordavi che qui c’è il museo del profumo?” e lei: “Che la marea ribolla in cielo! Come ho fatto a non pensarci! Entriamo subito, il tempio del profumo potrebbe essere una formulazione libera per indicare questo luogo”. Krampus si fece largo, Artemisia al seguito, Rudolf, tenendo la porta, fece accomodare Elio. Ognuno felice e speranzoso a suo modo.

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“Chi ha rapito Santa Claus?” 6 Dicembre – Il Pozzo di Vimini 

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6 Dicembre – Il Pozzo di Vimini 

il pappagallo parlante di Burano insieme a decine di suoi alleati

Il perdurare del riposo, dopo le prime tappe di questa avventura, venne accolto con gioia dalla squadra. Krampus stranamente dormiva stando in piedi, appoggiato al muro e lontano dalle finestre. Rudolf si era rannicchiato sul divano ed Elio riposava inerme tra le sue braccia. Artemisia invece si stava dando da fare. Era sveglia già dall’alba e stava preparando dei bussolai salati, il tipico snack dei marinai. Esistono dolci, salati, ovali piuttosto che circolari, tutti buonissimi. Lei stava preparando quelli dolci, cosicché al risveglio tutti potessero giovare di una colazione saporita sì, ma in grado di fornire anche tanta energia. Se solo i dormienti avessero potuto destarsi e vederla… riconosceva le quantità di farina da inserire nell’impasto, così come i liquidi, dalla densità dell’impasto che si andava formando. Ne valutava il gusto portandosi tutto vicino al naso e, cosa più incredibile, otteneva un risultato paritetico a quello di molti fornai della zona. Era uno dei suoi segreti. Elio camminava lungo il tavolo, così preso dalla consapevolezza del suo fascino felino che, non vedendola, fece ruzzolare a terra una ciotolina che, pur risuonando in maniera acuta, non si ruppe. Rudolf scattò in piedi, Krampus aprì gli occhi e mormorò qualcosa intorno alla forza di gravità che non risparmia nessuno, nemmeno il sonno. Fu un singolo istante quello che raccolse tutto ciò, perchè tutti subito dopo furono inebriati dal profumo dei bussolai caldi e, dopo una breve attesa per l’elevata temperatura degli stessi, poterono assaggiarli, restando estasiati. Artemisia: “Ora sapete perchè i veneziani riuscirono in imprese in cui altri fallirono, merito di questo cibo che si fa gusto, nutrimento e forza. Un segreto millenario” disse sorridendo. Annuirono, sperando di riceverne altri, ma Artemisia prese un sacchetto, lo infilò in una piccola sacca e disse: “Questi li teniamo per oggi e per i prossimi giorni, non vanno consumati con voracità, ma usati come snack quando sarà opportuno recuperare le forze”. Se ne rattristarono, tutti, ma lei aveva ragione. Rudolf a quel punto se la intese con tutti i presenti grazie ad un singolo sguardo, prese tra le mani il libro e lo aprì all’altezza del terzo capitolo. Ci vollero quasi due ore per trovarne il senso, infatti il testo appariva consumato o rovinato in più punti, ma per fortuna traducendo quando disponibile ed arguendo il necessario ecco giungere la traduzione: “Ebbene, ho capito questo” disse, per poi proseguire così: “Di vimini avvolta, è la pozza, ove desideri non si chiedono, ma si dipanano antichi misteri”. Artemisia si fece seria, sapeva che di pozze e pozzi la città era piena, ma i vimini, probabilmente, solo in zona Rialto Mercato si sarebbero potuti trovare. Così, gambe in spalla, si misero in direzione Rialto, dove secondo Artemisia, o vicino ai banchi del mercato o vicino al Gobbo, avrebbero potuto trovare qualche risposta. Lungo il percorso, incredibilmente, prese la parola Krampus: “Artemisia devo proprio ammettere che la tua abitazione è collocata in una zona molto comoda della città, volevo anche poi ringraziarti per la tua ospitalità, fidati, sono sincero, proprio per ciò che sono nessuno mi aveva mai degnato di tutta questa attenzione, non che non ne riceva, ma certamente non con la polarità di questi giorni”. Artemisia rispose: “ Krampus sono convinta che le parole altrui spesso si facciano veste e ci facciano apparire come ciò che non saremo mai o, comunque, peggio di come siamo per davvero. Stai dimostrando con i fatti che fai parte della squadra e in più, credimi, solitamente i miei sensi riescono a cogliere la bugia nella minima vibrazione o inflessione di coloro che mi parlano”. Calle dopo calle giunsero ai piedi del ponte di Rialto. Arrivati al suo apogeo, guardarono le gondole, i vaporetti e gli altri natanti transitare, come foglie sulla superficie di uno stagno placido, il tutto proprio sotto i loro piedi. I negozi erano ricolmi di turisti e di curiosi alla ricerca del proprio amuleto, talismano, cartolina o semplice oggetto qualsiasi che gli potesse ricordare per sempre le emozioni che aveva vissuto in città. Artemisia chiamò l’attenzione di tutti dicendo: “Seguitemi, andiamo verso la prima chiesa della città, quella di San Giacomo, lì davanti vi è infatti il Gobbo dal quale venivano lanciati i proclami o le sentenze capitali e se proprio non fosse lì la soluzione al nostro enigma, saremo comunque vicinissimi al mercato, senza lasciare nulla di intentato. Arrivati al Gobbo Rudolf rimase assorto, consapevole della rilevanza storica e cittadina di quell’opera che quasi tutti intorno stavano ignorando. Forse anche per questo chi vi era raffigurato era sulle ginocchia e sofferente. Krampus se ne stava a braccia conserte, quasi contrariato, Rudolf pareva scervellarsi cercando soluzioni fantasiose, gli altri non si sentivano diversamente dai primi due. Finalmente Artemisia: “Spostiamoci verso il mercato, qui non percepisco alcuna energia se non la nostra”. Andarono dunque verso il mercato, ma a parte qualche peluche salvato dall’oblio da parte degli operatori ecologici che li utilizzano al modo di una polena sui loro carri, non trovarono nulla di significativo. C’era il profumo degli ortaggi e della frutta, ma anche il tipico odore del pesce. Ad un certo punto. Proprio in prossimità della lapide marmorea che riporta le misure minime per la regolare vendita di prodotti ittici al mercato il gruppo si riunì per valutare come proseguire la ricerca. Nessuna idea emersa sembrava esser dotata di quella scintilla che la rendesse degna d’essere approfondita oltre. Repentino però si sentì un rumore strano, a dire il vero era il verso di un animale. Attiró l’attenzione di tutti così: “Santa! Santa! Dove sei” e Rudolf: “Corpo di mille renne! Questo deve essere il pappagallo parlante di Burano, me ne parló Santa quando arrivai a Venezia un anno fa e ora ne fa il nome!” Krampus fischió fortissimo, lasciando sbigottiti i compagni d’avventure, Elio si nascose vicino ad Artemisia, ma il pappagallo, incuriosito, planó inaspettatamente fino all’autore del fischio. Quella creatura fissó Rudolf, come se avesse potuto riconoscerne la natura e disse: “Barba non è qui qui qui, ciambellone non è qui qui qui, Santa snack dove sei sei sei?” E Rudolf, intenerito: “A differenza del tuo amico io non ho con me snack da darti, ma sappi che Santa è scomparso e sarebbe bellissimo che tu, che puoi volare libero, ci aiutassi. Sappiamo che stiamo cercando un pozzo o una pozza che abbia a che fare coi vimini”. La risposta non tardó: “triste triste io senza ciambellone Santa, aiuta aiuta io io”. Il pennuto si dimostrò attento, forse anche più intelligente di quanto i tomi di scienze possano aver mai rivelato. Voló lontano. Krampus sbuffó: “Ci mancava il pappagallo pazzo”. Dopo una decina di minuti in cui Krampus e Rudolf discussero animatamente sul da farsi, il pennuto variopinto tornó fiero, appollaiandosi su una corda lì vicino, tesa da un muro all’altro della pescheria parallelamente alla Calle de le Beccarie. “Eccoci” disse. Krampus di nuovo ironizzó: “Hey tu, chicchirichì mancato, guarda che sei ancora da solo, ti dai del coloro adesso?” Passarrono cinque secondi, una cinquantina di pappagalli si schierarono alla destra ed alla sinistra del primo che si lasció andare a un: “amaro amaro antipatico indigesto indigesto soccorso soccorso squèk, squàk, cikicià ciùciù” e tutti insieme ciangottarono furiosamente per poi librarsi in volo, come una squadriglia sincronizzata e in movimento verso le più svariate direzioni. Un turbinio di piume rimase nell’aria. Tanto che un bimbo guardó e disse: “Carnevanatale pappagalloso, bello!”. Rudolf si girò verso gli altri, rimasti poco più indietro e, guardando Krampus disse: “Quindi, adesso, chi glielo spiega a chicchirichì mancato che potremmo essergli debitori? Ci provi tu?”. Risero e, preventivamente, comprarono 5 sacchetti di semi vari tra cui zucca, girasole e miglio. La speranza era ottenere un indizio e ricompensarli tutti con un ricco premio. La giornata volgeva al tramonto, il mercato ormai era quasi totalmente chiuso, i banchetti deserti. In attesa di notizie Rudolf, Artemisia e Krampus si erano seduti lungo il margine acqueo della Fondamenta de le Prigioni. Qualcuno contava le gondole, un altro i gabbiani, Artemisia ed Elio stavano vicini, mentre lei dipingeva forme astratte nell’aria. Rudolf di colpo saltò in piedi, un pappagallo stava tornando, era il primo, quello che aveva conosciuto Santa. Atterrò sulla spalla di Rudolf e, parve voler bisbigliare qualcosa al suo orecchio. Rudolf sorrise, nel frattempo erano arrivati tutti gli altri pappagalli, poi disse: “Diamo la mancia a queste creature, è vero, è vietato in città, ma facciamo un’eccezione per l’aiuto prezioso”. Artemisia: “Ma… dunque?” e lui: “Semplice, noi abbiamo preso alla lettera ogni parola, ma non distante da qui, in una calle poco frequentata vi è un pozzo sul cui marmo è scolpito come fosse fatto di vimini”. Fu così che attraversarono nuovamente il Ponte di Rialto in direzione San Marco e, dopo dieci minuti di cammino, guidati da Artemisia, si trovarono in Calle Gregolina. Artemisia sfiora il pozzo: la pietra è fredda e leggermente ruvida, il bordo superiore scolpito con scanalature verticali e linee orizzontali richiama davvero i vimini, specialmente alla base. Al centro, i motivi incrociati creano una trama tattile, alternando spigoli vivi e superfici lisce. La base rialzata, più chiara e compatta, trasmette stabilità e antica solidità. Artemisia si piegò sul bordo del pozzo, mentre Rudolf e Krampus ne levarono il coperchio. Le dita sfiorarono ancora una volta la pietra fredda e ruvida, e subito la sua attenzione fu catturata dal fondo. L’acqua era nera come inchiostro, ferma e densa, come un velo tra lei e qualcosa di antico. Gli altri, osservando, vi scorsero quasi un enorme occhio, vigile e silenzioso. Dal muro interno sporgeva una tavola di legno consunta. Rudolf la prese tra le mani: simboli e parole rivolti da qualcuno alla propria amata, scoloriti dal tempo e dall’umidità, narravano di un amore doloroso, richiamando alla mente la vicenda di Orio e Melusina. Un alone oscuro sembrava avvolgerli; Artemisia non riusciva a capire se fosse una promessa o una minaccia. Toccarla meglio le fece comprendere che la maledizione di Melusina era partita da lì. Con un gesto deciso, Artemisia lasciò cadere la tavoletta sul pavimento; Rudolf la allontanò, mentre Krampus prese una lanterna ad olio da un balcone vicino e ne rovesciò una scintilla sopra. Il fuoco divampò rapido, un alone nero salì verso il cielo e poi precipitò nel pozzo. Rudolf sospirò: “Forse adesso Orio potrà davvero riabbracciare Melusina.” Nel frattempo, senza che nessuno capisse da dove fosse comparsa, un’altra Umbræon rotolò ai piedi di Artemisia. La raccolse, Krampus si spostò dalla traiettoria mentre ella la riponeva con cura nella sacca di juta di Rudolf insieme alle altre. Le stelle solcavano il cielo ormai pronto per la notte; lanterna alla mano, tornarono a casa di Artemisia, con la sensazione di aver sfiorato un antico mistero, tra ombre, fuoco e acque oscure.

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“Chi ha rapito Santa Claus?” 5 Dicembre – Il Soldato Quo

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5 Dicembre – Il Soldato Quo

l'immagine di un Umbræon

Rudolf si sedette a capotavola, osservando le pareti prive di quadri, foto o decorazioni. Giustamente: Artemisia non poteva vedere e non necessitava di ghirigori. Una cosa però lo catturò. Nel bel mezzo di questo denso vuoto decorativo spiccava un diadema, intreccio di radici — forse di quercia — appeso vicino alla finestra che guardava verso la calle su cui si affacciava la porta d’ingresso. Rudolf si avvicinò, incuriosito, percependo una vibrazione sottile, come un sussurro lontano che attraversava la stanza e utilizzava quell’oggetto come veicolo. Artemisia, intanto, appoggiata al tavolo, muoveva le mani nell’aria davanti a sé come ad eseguire una melodia invisibile che s’interruppe un istante prima che Rudolf dicesse: “C’è qualcosa di… vivo in questo oggetto,” quasi sottovoce, mentre ne sfiorava i contorni. Un brivido percorse la stanza: la vibrazione diveniva più concreta all’avvicinarsi della renna. Il diadema sembrava reagire, tremolando di una luce interna, ma nessuno aveva capito se agisse di riflesso o manifestasse un battito vero e proprio. Artemisia si avvicinò lentamente, guidata dalle sensazioni: le dita si posarono sul tavolo e poi, muovendosi in direzione del diadema, nell’aria di nuovo e disse: “Non è solo un oggetto,” sussurrò, “c’è… una storia dietro di lui, non la conosco, ma so per certo che se una entità che serba in sé luce estrema gli si avvicina lui lo sa e lo dimostra in questo modo che non mi è dato percepire. Qualcuno lo lasciò qui apposta ed anche il motivo di ciò mi è celato”. Rudolf notò che man mano che si avvicinava l’abbraccio tra le radici del diadema si faceva meno serrato per poi stringersi nuovamente al suo allontanarsi. Si girò verso gli altri, il silenzio calò di nuovo, interrotto solo dal lieve tintinnio del diadema che oscillando leggermente tornò al suo stato originario e inerte. Rudolf respirò a fondo. Sapeva che quel piccolo gesto, quella vibrazione, conteneva un messaggio che non poteva ancora decifrare, che magari non sarebbe stato cruciale nel viaggio che li attendeva, ma che dimostrava che il suo animo non si era corrotto nonostante la gravità degli eventi. Krampus si spostò leggermente: “Ah, Rudolf… bella la magia di questi momenti,” disse con un sottile brontolio. “Se proprio vuoi farmi arrabbiare, continua pure a tergiversare… io potrei sempre prendere il libro dei frammenti di tenebra e andarmene a cercarli per conto mio.” I suoi occhi scintillarono per un istante mentre con l’indice destro indicava la sacca di juta che, poggiando sul tavolo, conteneva il primo Umbræon. Elio saltò sopra il tavolo, cercando attenzioni e giocando con i laccetti della sacca di juta, Artemisia si sedette e, guardando verso Krampus Rudolf esordì: “Hai ragione, scusami, anzi, scusatemi, torno a concentrarmi”. Poggiò su quel tavolo color noce l’oscuro tomo e, sfogliate le pagine già tradotte potè posare lo sguardo sul nuovo enigmatico capitolo che gli si parava innanzi. Non ci volle molto a tradurlo, ma la brevità del tempo occorso non era proporzionale alla difficoltà del quesito. Rudolf guardò la sua compagine e disse: “Dobbiamo interpretare il senso di queste parole, siete pronti?” annuirono tutti, persino Elio, che di solito restava impassibile. Rudolf proseguì, con voce ferma: “Altura vetrata… e un soldato affatto minaccioso che sorveglia un ponte.” Krampus sbuffò, si sentiva preso in giro da questo indizio e disse: “Hey Rudolf, sicuro di non aver esagerato con il fieno, eh?” rise grossolanamente e abbassò lo sguardo. Artemisia si coprì il volto con le mani, come a volersi spremere di ogni angolo della città per selezionare quello giusto. Elio andò verso di lei, strusciò la sua coda sulle sue braccia e lei sobbalzò: “Seriamente?!” Gli altri sbigottiti rimasero in silenzio per capire quale intuizione potesse esser giunta tramite il felino. Artemisia però non ruppe il segreto, scelse di condurli direttamente ad osservare l’ipotesi sussurrata a mo di fusa da Elio. Uscirono da Calle Luigi Torelli, facendosi strada tra le calli strette, seguendo i suoni di passi e avvolti dal lieve sciabordio dell’acqua proveniente dai numerosi rii incontrati lungo il percorso. Artemisia guidava e continuava a muovere le mani in maniera indefinita, come a percepire vibrazioni invisibili lungo i muri e sotto i ponti o lungo le balaustre. Giunsero al Ponte de la Canonica, una prospettiva perfetta per ammirare lui: il Ponte dei Sospiri, una valida declinazione dell’idea di altura vetrata e di un soldato a guardia. La luce pareva non filtrare da quelle finestre da cui i condannati salutavano Venezia per l’ultima volta, ma la sensazione fu d’essere nel giusto, il problema era come capirlo. Artemisia chiamò a sé Elio e, tenendolo tra le mani, gli sussurrò qualcosa. Senza esitazione, il gatto saltò sulla balaustra del ponte, poi di cornicione in cornicione lungo i margini di Palazzo Ducale, verso il lato da cui guardare le prigioni. Un piccione lo sfiorò, facendolo quasi cadere in acqua, e intanto i turisti, incuriositi, cominciarono a immortalare la scena, ignari del suo vero significato. Elio, impavido, raggiunse il Ponte dei Sospiri, s’infilò in un passaggio e scomparve. Minuti di silenzio, densi di attesa. Poi riapparve, con la coda bassa. Fece il percorso inverso tra i mormorii dei presenti e, raggiunta Artemisia, si strinse a lei. Non serviva parlare: il suo gesto bastò a far capire che non era quello il luogo dell’indizio. Il gruppo, guidato da Krampus, si diresse verso Piazza San Marco. Orde di turisti si avvicinarono, curiosi, per il gatto e per quella strana compagine che sembrava uscire da un set photo booth carnevalesco. Rudolf però, pur avvolti tutti da un mormorio notevole, sentì la voce di una bambina chiedere con insistenza alla madre: “Mamma, mi porti dal Soldato Quo oggi?” e lei rispose: “Ma oggi non passeremo dal Ponte dei Zogatoli, nei prossimi giorni te lo prometto che ci andremo”. Quelle parole rimbombarono nella mente di Rudolf: “Soldato… Ponte… Giocattoli” ripetè sottovoce iniziando a collegare questi punti con l’enigma proposto. Si girò verso gli altri e propose questa opzione, Krampus dubitò, Artemisia delusa da quanto accaduto poco prima al Ponte dei Sospiri si aggrappò con una flebile speranza a questa tesi. Lasciarono Piazza San Marco alle spalle, attraversando il brulichio di turisti e il pavimento di piccioni che si levavano in volo come schegge al loro passaggio. Le calli si fecero via via più strette, le voci più rade… Ogni ponte sembrava uguale eppure era diverso, come se Venezia si divertisse a confonderli. Artemisia avanzava per prima, seguendo itinerari mnemonici che solo lei sembrava in grado di cucire insieme; Krampus brontolava a ogni svolta, ostacolo e ponte, Rudolf restava in silenzio, assorto, mentre Elio saltava da un gradino all’altro come se sapesse già la meta, fiducioso nella sua padrona. Dopo un dedalo di curve e passaggi stretti, il rumore dei passi li portò a un piccolo ponte arcuato, quasi timido, che si affacciava su un rio quieto. Sopra una finestra, un segno consumato dal tempo: forse un pupazzo, forse un ricordo d’infanzia dimenticato. Artemisia si fermò e indicò nella sua direzione. “Eccolo,” disse piano. “Il ponte dei zogatoli e, poco sopra, il Soldato Quo.” Rudolf esaminò quanto vedeva così: “Espressione placida, affatto minacciosa, di sottecchi può sbirciare verso il ponte, dunque si può definire una guardia.. è folle, ma ha senso”. Al di sotto della vetrina di Quo, che era al primo piano, in sostituzione a quello che fu un negozio di giocattoli, vi era un negozio di calzature ora. Artemisia chiese ad Elio di andare in esplorazione. Il felino in virtù delle sue qualità riuscì a sfuggire agli sguardi dei presenti, salì e arrivò alla vetrina del piano superiore proprio di fianco a Quo. Ci girò intorno più volte, finchè non trovò una piccola apertura posteriore che celava una scatola piccolissima. Da buon gatto la prima tentazione fu di provare ad entrarci, ma per una volta riuscì a resistere dal tentare l’impossibile e ne osservò il contenuto. Vi era un mattoncino Lego dello stesso colore del cappello del Soldato Quo. Attirò dunque il gruppo a salire e, con Krampus che a momenti restava bloccato nella scala a chiocciola, una volta giunti Rudolf si prese la responsabilità di inserire quel mattoncino lì, proprio dove sembrava mancare. Una volta inserito si sentì il suono di qualcosa che pareva essersi tuffato in acqua, la testa di Quo si inclinò di poco verso il ponte, come a guardarlo meglio, si affacciarono anche Rudolf e gli altri e videro lo stesso volto dello specchio scomparire tra i riflessi delle acque per dissolversi e, un istante dopo, un’altra sfera di Umbræon apparve nella mano sinistra di Quo. Rudolf la colse, la mise nella sacca e, guardando gli altri con l’aria tra lo sbigottito e il soddisfatto, li invitò ad uscire. Scesero dalla scala a chiocciola, con Krampus che aveva gli occhi luminosissimi e probabilmente pareva pronto a scagliare saette dalla rabbia per la scomodità dei passaggi angusti. Giunti al pianterreno si videro rimproverare dalla commessa per aver toccato Quo, un simbolo che tutta Venezia ama profondamente. Si scusarono, tutti tranne Krampus, che però con intelligenza si guardò dal dire perché quell’ammasso di mattoncini si fosse mosso. Il racconto della scelta di un buon silenzio era testimone di una saggezza che nessuno saprà mai trascrivere. Una volta fuori, Rudolf sentì un brivido lungo la schiena. La sacca di juta per un istante parve pulsare, come se qualcosa dentro si stesse manifestando, proprio come accadde al diadema. Che fosse colpa dell’entità che sembrava conoscere i loro passi? 

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“Chi ha rapito Santa Claus?” 4 Dicembre – Prigione d’Ombra e il primo Umbræon

"Chi ha rapito Santa Claus?" - cover by Trarealtaesogno

4 Dicembre – Prigione d’Ombra
e il primo Umbræon

un volto di un'ombra che spia i protagonisti attraverso gli specchi

Patty fece nuovamente capolino attraverso una feritoia tra le pietre del muro della cella, annusò l’aria e si guardò intorno intimorita, previdente e scaltra. Santa era sempre lì, ma ora leggermente riverso sulla sedia a cui era vincolato, era caduto in un sonno profondo, di certo figlio di uno stato di spossatezza estrema. Patty trasse un respiro profondissimo e zampettata dopo zampettata riuscì a risalire lungo la caviglia, poi la coscia ed infine giungere sulla spalla di Santa. Guardò giù, resa irrequieta dalla inconsueta altitudine, amava infatti stare rasoterra, fianco muro, altezza piedi umani, non oltre. Prese coraggio e, dopo un profondo respiro, squittì per attirare l’attenzione. Lo fece una, due, tre volte. Niente. Patty si fermò, esitando, ancora un istante su quella spalla, il cuore, seppur minuscolo, le batteva furiosamente dentro al petto come una tempesta. Dopo l’ennesimo sospiro profondo, tentò un approccio diverso e sussurrò: “Ehi omone… svegliati,” squittì piano, con un tono più dolce che deciso, cercando di non farlo sussultare. Nulla. Provò ancora, questa volta sfiorandogli accidentalmente la folta barba bianca e la gota destra con i suoi baffetti sottilissimi: “Hey, va tutto bene? Cos’hai fatto per essere condotto qui?” Il suono, così minuto e timido, sembrò riuscire nell’intento di penetrare nel torpore di Santa. Lentamente, dapprima un battito di palpebre, poi un respiro più profondo… il sonno si fece meno pesante. Spaesato, aprì gli occhi e la guardò. Le rispose: “Se tu, curiosa come sei, avessi visto il mio arrivo e chi mi ha qui condotto, ora sapremmo entrambi ogni cosa, senza la necessità di parlarne. Ma non ti devo, né voglio, offrire la mia frustrazione per la condizione che mi affligge. Sento di potermi fidare di te; vorrei conoscere però prima il tuo nome, creaturina dal cuore impazzito.” Patty rabbrividì leggermente, non per paura, ma per l’emozione di sentirsi chiamata direttamente in causa, nessun prigioniero mai l’aveva degnata d’attenzione, nemmeno di un cenno o uno sguardo. Guardò così verso quel volto segnato, gentile e ormai sveglio. Poi di nuovo verso la barba bianca, come se cercasse conferma che non stesse sognando. “Mi… mi chiamo Patty,” squittì infine, la voce appena più alta, ma ancora tremante, “e… vivo qui da tanto tempo, talmente tanto da non riuscire a ricordare quando tutto sia iniziato… Dei tanti, non ho mai incontrato nessuno come te. Sembri fatto di luce.” Fece una piccola pausa, come per raccogliere il coraggio di aggiungere ciò che le pesava sul cuore. “Non so chi ti abbia portato qui… nessuno è mai stato in grado di vederlo, si dice che un volto non ce l’abbia ma… se vuoi, posso… posso aiutarti a capire dove siamo e cosa succede.” Un fremito di speranza attraversò gli occhi di Santa, che inclinò leggermente la testa, osservando la piccola creatura con un misto di curiosità e dolcezza. Patty si accorse del silenzio attento e continuò, un po’ più sicura: “Non voglio mettermi nei guai… ma… tu non mi faresti del male, vero? Io mi sto fidando di te, dimmi che non mi sto cacciando in un guaio” Santa sorrise lievemente, come se le sue parole fossero state il primo vero segnale di fiducia tra loro e sussurrò con un filo di voce, interrotta qui e lì dalle emozioni che lo stavano attraversando: Io sono quella entità che rappresenta e ha salvato il Natale, raccogliendo i 25 ingredienti della luce. Io sono Santa… Claus”. Patty sobbalzò per via dell’improvvisa rivelazione, il cuore minuscolo che le batteva nuovamente come l’urlo di mille tamburi impazziti: lo scossone la fece scivolare, e con un balzo disperato si aggrappò a un ricciolo della folta barba di Santa per non cadere. Il vecchio sorrise, sentendo un lieve pizzichio; il suo sguardo gentile calmò il senso di paura della piccola creatura. Per un attimo tutto parve sospeso: il fruscio dei baffi, il calore della stanza, un respiro a due. Poi, come in un respiro profondo, la cella parve distendersi, e una nebbia sottile iniziò a serpeggiare sul pavimento, mescolandosi alle ombre del fuoco. La stessa nebbia, sospesa nel tempo e nello spazio, sembrava farsi strada anche altrove — tra le calli e i sottoportici di Venezia — dove il sussurro di un vento umido accarezzava le fondamenta delle case e le lanterne, strette tra le mani di Krampus e Rudolf, riflettevano una luce tremula sull’acqua di condensa dei vetri. Là, Artemisia avanzava sicura tra le pietre fredde, Elio tra le braccia a far le fusa. Nessuno lo capì, ma ogni suo passo riecheggiava anche nella piccola cella dove Patty si era aggrappata alla barba di Santa, come un ticchettio impercettibile. Rudolf, lontano ma connesso a Santa da quel filo invisibile, osservava le parole e i segni del primo paragrafo che stava traducendo dal tomo oscuro. Un ponte già esisteva tra i due mondi, ma nessuno di loro aveva ancora gli strumenti per scoprirlo. Un respiro collettivo attraversò la scena: un istante in cui la cella e Venezia sembrarono fondersi, e la missione, pur divisa nello spazio, fluiva come un unico corso di luce ricercata e ombra manifesta. Artemisia si voltò verso il gruppo con una precisione che la sua cecità rendeva miracolosa e disse: “Dunque, Rudolf, sei sicuro di aver compreso che si può tradurre solo un capitolo per volta e che in questo si dice di dover andare verso il sottoportico che ti fa chinare per attraversarlo?” E lui, con tono fermo: “Sì, Artemisia. C’è un passaggio nel testo ed è chiaro… parla di un varco tanto basso che solo chi si piega può attraversarlo. Non ne esiste uno più basso, a Venezia. Ti viene in mente qualcosa?” e lei: “Zurlin! lì per passare alla corte interna bisogna per forza chinarsi, è il più basso di tutta Venezia con poco più di 160 cm di altezza!”. Krampus mentre uscivano dalla soglia della casa sogghignò, quasi compiaciuto, Artemisia lo percepì e gli si rivolse così: “E tu, perchè ora ridi?” e lui: “Perchè sono alto quasi due metri, cosa pensi? Che per me sia un comodo passaggio quello? Non essere tonta!” e rise profondamente. Rudolf riportò tutti alla calma e, dopo aver carezzato Elio, chiese ad Artemisia, la bussola spirituale del sodalizio, di condurli a quel sottoportico. Artemisia avanzava come se le calli le sussurrassero i loro segreti: ogni pietra e ogni mattonella le parlavano come se fossero la loro guida più fedele. Il gruppo la seguiva, incerto a tratti, mentre lei piegava il corpo in curve impercettibili, sfiorando i muri con le mani, catturando e restituendo la memoria nascosta della città e ogni tanto facendo degli strani segni nell’aria. Le lanterne di Krampus e Rudolf tremolavano disegnando riflessi e ombre che danzavano sui muri scrostati. Sembrava che Venezia stessa le tendesse la mano per guidarla. Il gruppo, seguendola, imparava a muoversi in silenzio, a piegarsi, a lasciarsi guidare da un filo invisibile che collegava le ombre della città alla capacità di dare fiducia. Finalmente raggiunsero Campo Ruga, lì dove faceva capolino il sottoportico più basso della città. Artemisia fu la prima, con Elio tra le braccia ad entrare, poi Rudolf, Krampus preferì restare fuori, in attesa, evitando di incastrarsi là sotto. Quando, attraversando il sottoportico tutti accucciati, giunsero nella Corte Zurlin, il gruppo esitò, chi con gli occhi rivolti ai dettagli più evidenti: archi, mattoni umidi, un pavimento irregolare, chi su altro. Artemisia si fermò di colpo, inclinando leggermente la testa, sembrava dialogare con ogni cosa. Disse: “Qui… c’è qualcosa,” sussurrò, quasi per sé, e le sue dita indicarono un angolo, dove due travi tarlate e antiche si incrociavano in un abbraccio di protezione. Un velo di polvere e muschio celava ciò che altrimenti sarebbe stato immediatamente visibile. Artemisia piegò il corpo, sfiorò con la punta delle dita una superficie liscia: uno specchio, ma non sembrava uno qualunque. L’immagine di lei riflessa era perfetta, dava l’impressione che il suo riflesso potesse vedere, eppure agli altri invece mancava qualcosa: un dettaglio “rubato” solo a chi aveva tutto. Lei non potè notarlo, ma sentì il loro sbigottimento. Rudolf appariva senza mani, Elio senza coda, lei, appunto, pareva vedente. Artemisia parlò: “Sento un’energia oscura provenire da questo manufatto” e Rudolf: “Sì, un’energia mai sentita, pura tenebra e forza”. I tre uscirono dalla corte e tornarono, superando il sottoportico, vicino a Krampus che urlò: “Lo avete trovato! Bravissimi”. Fu in quell’istante, quando lo specchio fu perpendicolare a Krampus, che tale oggetto parve costituito di fumo e fuliggine e palesò un volto che, dal di dentro, guardava fuori. Krampus allora estrasse dal suo mantello il bastone con la stella di ghiaccio la quale, una volta riflessa, fece bruciare da dentro lo specchio che, come per magia, implose in sé stesso silenziosamente lasciando al suolo un residuo sferico, una sorta di ossidiana arcobaleno. Rudolf si avvicinò a piccoli passi, Artemisia disse: “Ho sentito il male concentrarsi e poi scomparire grazie Krampus”, gli occhi di lui brillavano un poco di più rispetto a prima o forse era il riflesso di una lanterna, il tutto mentre Rudolf, con una modesta sacca di juta, raccolse quella sfera e disse: “Sento che questi Umbræon celano dei segreti, potrebbero essere la chiave per salvare Santa”. Sospirarono, consapevoli che forse si trattava solo dell’inizio, dirigendosi in fila indiana verso casa di Artemisia per capire cosa riservava loro il secondo capitolo di quel tomo oscuro, tutto ancora da tradurre.

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“Chi ha rapito Santa Claus?” 3 Dicembre – La Casa di Artemisia

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3 Dicembre – La Casa di Artemisia

La Casa di Artemisia

Rudolf attraversò velocissimo il silenzio del cielo lasciandosi alle spalle le distese ghiacciate del Nord. Sotto di lui il Mare di Barents parve farsi tutto vetro e stelle riflesse, le isole norvegesi luccicavano come schegge di un sogno da ricomporre. Prima di sorvolare le Alpi, le cime bavaresi e i passi del Tirolo disegnavano ombre d’argento e castelli appuntiti con le loro cime innevate. Oltre l’ultimo crinale, la pianura si aprì come un respiro, la sua velocità aumentò a dismisura e nella distanza, tra veli di foschia e acque immobili, poco dopo un rallentamento ed eccola, Venezia apparve. Non di luce intensa, ma di riverbero ovattato, come se la città intera fosse avvolta da un abbraccio di nebbia e umidità, sospesa tra il ricordo del Natale restituito l’anno prima e la minaccia verso quello in arrivo. La renna, forte delle sue sembianze umane, scelse di atterrare lì dove tutto era finito l’anno prima, in Campo Santi Giovanni e Paolo, in un punto compreso tra il pozzo e il monumento a Bartolomeo Colleoni. Si guardò intorno, la notte conferiva un silenzio profondo, denso, penetrante a tutta la città. Solo allora la bussola, cullata tra le sue mani, parve trovare pace. Un rumore tipo ingranaggio che salta ne scaturì e la lancetta volò via, per terra. Rudolf la raccolse e capì ch’era giunto il momento di far da sé, gettò la bussola ormai rotta in un cestino e si incamminò verso Calle Luigi Torelli, lì dove con Santa avevano vissuto il Rito dei 25 Ingredienti della Luce. Rudolf si guardò intorno, quasi sconsolato, non trovando la scritta che aveva visto. Inaspettatamente una porta parve volersi aprire. Da quella silente dimensione scaturì dapprima una chioma riccia e nera che poi delineava in maniera irregolare i confini di un volto apparentemente selvaggio. Era una ragazza vestita di color ambra scura, ad ogni piega il tessuto generava ombre, le mani cercavano lo stipite, sicure di conoscere la sua posizione attraverso la mappa dell’invisibile. Rudolf non capì che fosse cieca, lei si girò di scatto come colpita da un dardo e parlò, con una voce che pareva giungere da lontano, con un’eco di affettuoso calore: “Rudolf, sei tu? Santa è stato rapito, ho percepito tutto, so che circa un anno fa avete compiuto proprio qui il Rito dei 25 ingredienti della Luce. Non avrei mai creduto di poterti conoscere, sono Artemisia, è da quella notte che attendo questo momento”. Lei si avvicinò, pareva danzare nell’aria, mentre lui rimase immobile, colto dal brivido della verità nuda e cruda. Lei conosceva il suo nome, lo attendeva, non poteva vederlo, era cieca, ma sapeva dove fosse, seppur fosse rimasto in silenzio. In quel momento lui capì che Artemisia non vedeva il mondo, ma ne ascoltava il battito ed il vivere: sentiva i vuoti, le assenze, i tagli che separavano una presenza dall’altra. Aveva occhi diversi, forse fatti per guardarti dentro. Quella notte, nel suo modo impercettibile, fu lei la prima a percepire la sparizione, a piangere disperata per il male che si stava manifestando e ad attendere paziente e fedele l’arrivo di Rudolf. Rudolf le si avvicinò, l’abbracciò e le disse: “Piacere Artemisia, non sappiamo ancora abbastanza, non conosciamo cosa ci riserva il destino, ma ce la metteremo tutta e ce la faremo, me lo sento”. Nel frattempo, dalla porta da cui era uscita Artemisia fece capolino un musetto curioso: un gatto nero, con gli occhi color ambra che sembravano trattenere l’eco di una luce lontana. Si fermò un istante, come per valutare se il mondo là fuori fosse degno della sua presenza, poi avanzò con passo silenzioso, misurato, felpato. Avviluppò la sua coda sulla gamba della sua proprietaria, orecchie tese, il corpo inarcato in un equilibrio perfetto tra ombra e luce. Artemisia esclamò: “Elio!” Rudolf lo guardò curiosamente,  il gatto sollevò lo sguardo verso Artemisia, e per un attimo parve che i due si parlassero senza voce: lei inclinò appena il capo, sorridendo, lui rispose con un battito lento della coda su di lei. In quell’intesa sospesa, Rudolf ebbe la sensazione che Elio altro non fosse che l’ombra della sua proprietaria, una proiezione ed estensione della sua persona. Lei si chinò verso il felino, tese l’orecchio come a farsi rivelare dei segreti e si rialzò. “Rudolf, dobbiamo incamminarci verso il Sotoportego della Corte Nova, quello della Pietra Rossa, Elio ha la sensazione che potrebbe esserci qualcosa di utile e potente per la nostra missione”. La compagine s’incamminò e approfittando della strada da percorrere Artemisia, con Elio cullato tra le braccia, raccontò di come quel luogo sia famoso in città perché una donna vide la Vergine durante l’epidemia di peste. Le chiese di dipingere tre santi a protezione del passaggio, e così fece. La pestilenza si fermò sulla soglia, e dove cadde, la pietra si tinse di rosso. Da allora nessuno la calpesta: pare non sia di buon auspicio e possa risvegliare il male che dorme sotto il marmo. Artemisia continuava a camminare spensierata, posava i suoi passi come se conoscesse il nome d’ogni pietra. Giunsero al sottoportico, Elio saltò giù e, evitando la pietra rossa, cominciò ad annusare la zona. Rudolf rimase in silenzio, osservando. Artemisia mosse le mani nell’aria, come a tessere segni d’infinito, cercando forze che solo lei poteva percepire. Fu allora che sussurrò di un diario, nascosto da qualche parte nella città, un testo criptico che parlava di “frammenti di tenebra” disseminati tra le fondamenta di Venezia, necessari per ritrovare e liberare Santa. Rudolf la guardò, interdetto, mentre il vento del Sotoportego parve mutare direzione. Una quarta presenza si stagliava poco lontano da loro, a braccia conserte. Era appena fuori dal sottoportico. Li osservava imponente. Il cappuccio incorniciava un volto tagliente con due occhi color smeraldo. Indossava un lungo mantello di lana scura, bordato di pelliccia nera, su cui correvano ricami dorati simili a rune antiche, intrecci di simboli dimenticati che parevano pulsare di una propria vita. Nella mano destra stringeva un bastone tortile, scolpito nel legno scuro, sormontato da una stella di ghiaccio. L’uomo fece un passo avanti, e il suono dei suoi stivali parve spezzare il silenzio del sottoportico. La stella di ghiaccio in cima al suo bastone si illuminò per un istante, intercettando la luce dei lampioni. Poi, con voce profonda e cavernosa, parlò: “Io sono Krampus”. Il nome vibrò nell’aria come un eco antico, e per un momento anche il vento parve fermarsi ad ascoltare. Da troppo tempo osservo l’equilibrio spezzarsi, ricomporsi e precipitare. Conosco i frammenti che cercate, mi sono stati trafugati e mi appartengono tanto quanto la luce che li teme. Fece un altro passo verso di loro, abbassando il capo quel tanto che bastava per direzionare la voce verso Artemisia: “Lasciatemi unire a voi. Non per redenzione, ma perché ho un debito con Santa ed è il momento di saldarlo”. Un lampo attraversò i suoi occhi, e Rudolf istintivamente sospirò. Elio, con il pelo irto, gli soffiò contro. Artemisia, invece, restò immobile, come se avesse atteso quell’incontro da sempre, pronta a dare fiducia. Fu proprio quel feeling sottile che la più sensibile tra i presenti pareva rivelare che rassicurò tutti gli altri. Elio si strusciò sugli stivali di Krampus, Artemisia sorrise, Rudolf, conoscendolo ma apprezzandone le intenzioni rimase neutro. Artemisia li spostò, allungò le mani nell’aria e si aprì il vano delle offerte facendo fare capolino ad un diario criptico sopra il quale vi era la scritta – Βιβλίον τῶν τεμαχίων τοῦ σκότους – ovvero libro dei frammenti di tenebra. “Brava!” esclamò Krampus esortandola a passare il libro dalle sue mani verso Rudolf dicendo: “So per certo che te ne intendi di greco, non potrei far affidare questo tomo in mani migliori delle tue.” Rudolf, aprendo il volume con cautela, lesse lentamente le parole incise sulla prima pagina: “Biblíon tōn temachíōn toû skótous… significa ‘Libro dei frammenti di tenebra”. “Corpo di mille renne, ma parla degli Umbræon!” Poi, chiudendo il libro preoccupato, aggiunse soltanto: “Ok, lo tengo io, ma andiamo in un luogo più intimo, abbiamo un tomo importante per le rivelazioni che potrebbe celare e le spalle troppo scoperte.” Fu così che la squadra più eterogenea di sempre si incamminò verso un luogo sicuro, la casa di Artemisia. Attorno al tavolo sedevano lei, una Renna umana, un gatto di nome Elio e Krampus, la cui ombra tradiva corna che, solamente sotto il cappuccio, restavano celate. Rudolf non era seduto vicino, percepiva qualcosa d’indefinibile: un odore di cera fusa e fumo, come dopo un incendio spento a metà. Forse un barlume della luce che, in fondo, sembrava ancora sepolta in lui alla stessa maniera di un tizzone su cui, al primo soffio, divampa la fiamma. Strano… per essere una creatura nata dal gelo, il suo sguardo pareva ardere — non di rabbia, ma di qualcosa che somigliava tantissimo ad una indefinibile energia mossa da un sentimento di nostalgia.

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