“Santa Claus e i 25 ingredienti della Luce” – 20 Dicembre – Isola della Giudecca 

"Santa Claus e i 25 ingredienti della Luce" - cover by Trarealtaesogno

20 Dicembre – Isola della Giudecca

Santa aveva recepito di doversi spostare, ma nel chiedere ai veneziani come raggiungere il luogo, restò stupito dal fatto che dovette vagare per almeno due ore nell’area di Riva degli Schiavoni. Innanzi vedeva l’isola di San Giorgio, poco lontano, e, seguendo la riva su cui camminava avanti e indietro, il campanile di San Marco. Nessun veneziano, purtroppo, gli seppe parlare di quel giardino che, forse colpevolmente, per ignoranza, aveva immaginato come il classico giardino pubblico. Ad un certo punto incontrò un turista tedesco e, nonostante gli scarsi risultati con i residenti, si fece forza e provò a chiedergli:
“Scusi un’informazione, sa mica dove si trova e come si raggiunge il giardino Hundertwasser?” La risposta che ricevette lo colse ancora più di sorpresa. Quell’uomo, alto almeno 1,85 m, con capelli biondi e lunghi, baffo anni ’80 e di età intorno ai cinquant’anni, disse: “Certo che so dove si trova, ma è impossibile visitarlo: per volontà del proprietario, è un luogo dove la natura regna incontrastata, chiuso al pubblico. Si trova vicino al Redentore, e puoi ammirarne il cancello d’ingresso all’inizio di un ponte privato, oppure osservare il muro di recinzione lungo il canale. È situato sull’isola della Giudecca; puoi scendere alle fermate delle Zitelle o del Redentore e chiedere indicazioni per raggiungere la Fondamenta Rio Croce.” Santa sembrò cadere dalle nuvole, ma non si diede per vinto. Così si imbarcò sul primo vaporetto diretto alla Giudecca, deciso a superare questo nuovo piccolo inconveniente. Una volta a bordo si accorse che vi era una fermata intermedia che permetteva di visitare la chiesa di San Giorgio. Decise di scendere, incuriosito da quella che poteva essere la vista di cui si poteva godere da quell’isola nella direzione di San Marco. Santa entrò nella chiesa, rimanendo stupefatto dalle opere d’arte esposte nelle varie cappelle laterali piuttosto che intorno o dietro l’altare maggiore. Si lasciò incuriosire poi da un cartello che indicava la possibilità di visitare la torre campanaria tramite un pratico ascensore. Un servizio a pagamento, vero, ma quando gli sarebbe capitato di passare di lì nuovamente? Probabilmente mai! Decise così di investire quella modesta cifra e salire. Come un bambino davanti alla vetrina di una pasticceria famosa, prima attese, poi si affacciò, portando il naso all’insù fino a poter godere della stessa prospettiva di Venezia di cui godevano le campane della torre. Si girò verso sud-est, distinguendo nettamente buona parte delle isole che aveva visitato o in cui addirittura aveva pernottato. Poi guardò verso Piazza San Marco, verso nord, e lì il suo cuore impazzì. La piazza, il campanile, il grande albero di Natale, Palazzo Ducale: tutto appariva piccolo e bellissimo. La torre era stranamente povera di turisti. Vero che il campanile di San Marco è decisamente più famoso, ma ci doveva essere un’altra spiegazione. D’un tratto, con movimento inizialmente furtivo e poi sempre più sontuoso, le campane cominciarono a suonare a festa: un frastuono impressionante che a malapena risultava tollerabile all’udito, anche coprendosi le orecchie con le mani. Santa rise di gusto, capendo che, oltre alla preferenza per San Marco, un altro motivo dello scarso afflusso di persone era l’orario dei rintocchi delle campane. Rise, rise tantissimo, sentendosi goffo e sprovveduto come poche volte in vita sua. Le campane si placarono e Santa scese in ascensore, alquanto frastornato. Ora c’era una lunga coda per salire, ma anche aver udito le campane da vicino rimaneva un’esperienza da raccontare. Uscì dalla basilica e godette ancora una volta del paesaggio fiabesco che pareva, per colori e fascino, figlio del genio del Canaletto. Camminò poi verso la fermata del vaporetto, appena pochi metri più a sinistra dell’uscita della chiesa. Giusto il tempo di salire, ed ecco la fermata Zitelle che, come confermato dal marinaio, lo avrebbe condotto nelle vicinanze della zona da lui ambita. Camminò lungo Fondamenta Croce, una sorta di “boulevard pedonale” fronte laguna, che da un lato aveva le case, dall’altro l’acqua smeraldina veneziana che incorniciava Punta della Dogana, Piazza San Marco e tutta la meraviglia circostante. Al “Ponte della Croce”, un sottile ponte ad arcata unica, si fermò e guardò verso sinistra, scoprendo un carcere femminile. Dall’esterno, l’edificio aveva ancora l’aspetto di un antico monastero, ma ciò che colpì fu la scena struggente alla soglia: un uomo abbracciava una donna, probabilmente di ritorno da un permesso premio. Entrambi singhiozzavano piano, promettendosi di rivedersi il prima possibile. Santa fu invaso da un grigiore profondo. Ignorando la loro storia, evitò di giudicare, ma rimase a riflettere sul dolore che accompagna chi vive dietro le sbarre o chi, da fuori, deve affrontare quel distacco carico di sofferenza. Mosse qualche passo e, sul classico nizioleto veneziano, lesse: “Ramo Campiello al Rio della Croce”. Entrò curioso: una curva a destra, una a sinistra, ed ecco che il “Ramo” era diventato una Fondamenta, ovvero una strada che costeggiava le acque, in questo caso il Rio della Croce. Su quel lato del canale erano ormeggiate una trentina di piccole barche, probabilmente appartenenti a residenti che le usavano per piccoli spostamenti, per lavoro o per la pesca lagunare. Alla fine di queste, eccolo: un piccolo ponte privato protetto da un cancello, con balaustre in ferro pensate per renderlo invalicabile. A rendere il contesto ancor più minaccioso, una delle quattro torri perimetrali del carcere che, dalla sommità di un muro rosa, avrebbe permesso alle guardie di presidiare l’intera zona. Santa, scoraggiato, fece qualche passo avanti, ma la riva su cui si trovava era cieca sul fondo, permettendo solo di scorgere come la natura, all’interno del giardino segreto, avesse preso il sopravvento sugli edifici e sugli elementi architettonici, in pieno accordo con la volontà testamentaria del proprietario. La casa, vista dall’esterno, rivelava uno stile inconfondibilmente veneziano: finestre sbarrate al pianterreno si alternavano tra piccole ovali e grandi rettangolari balconate, adornate con balaustre in marmo bianco. Poco più in là, un patio quadrangolare con doppie arcate su ogni lato. Tutto sembrava preannunciare un fascino celato, inafferrabile a qualsiasi sguardo esterno. Un anziano si avvicinò. Giunto accanto a Santa, lo squadrò da capo a piedi e disse:
“Eh, lo sai, quel giardino della villa di Hundertwasser qui alla Giudecca… è chiuso al pubblico da decenni, da quando lui, l’artista, comprò quella casa. Ci fece un po’ quello che voleva, lui. Non volle mai che nessuno ci entrasse. Il giardino? Lo lasciò incolto, senza toccarlo. Diceva che la natura doveva essere lasciata libera di fare come voleva, senza che l’uomo ci mettesse mano. Non è come quei giardini ben curati delle altre case, niente di tutto ciò. No, quello era un posto suo, privato, dove poteva stare in pace con la natura. E così è rimasto: tutto chiuso e lontano dagli occhi della gente. A me pare un grande, grandissimo spreco, ma di vederlo non se ne parla. Bah!” E così com’era apparso, l’anziano se ne andò, sacchetto dell’immondizia in mano, per la sua strada. Santa sapeva che c’era un solo modo per entrare. Si era ripromesso di non usare magia eclatante durante questa missione, ma, in fondo, questa rimaneva l’unica opzione per visitare quel giardino segreto. Si guardò intorno, come chi è pronto a rubare i gioielli della corona, poi, con un guizzo, compiendo una piroetta velocissima, scavalcò il canale e raggiunse la sommità di un comignolo lungo la recinzione della villa. Era un uomo corpulento, ma la magia lo rendeva fluido e dinamico. Con incantevole agilità e leggerezza, in un istante scese attraverso il pervio passaggio, solitamente percorso in su dai fumi, balzando infine in piedi sulla pavimentazione in legno scuro che faceva da basamento a un camino. Era dentro. I suoi occhi si posavano su ciò che era rimasto segreto, godendo intimamente del genio solitario di un artista che aveva voluto lasciare la natura libera di esprimersi. Il giardino appariva sapientemente incolto, di un fascino raro, capace di suscitare un’impressione simile a quella della savana, dove la natura regna sovrana in tutta la sua bellezza incontaminata. Su un’incisione Santa poté leggere: “Giardino Eden”. Un nome affascinante e appropriato. Era un peccato che nessuno potesse ammirarlo; sarebbe stato sicuramente una gemma per Venezia poterlo annoverare tra i capolavori visitabili. Anche nel suo stato di totale resa alla natura, però, rimaneva bellissimo. A chi non fosse dotato di poteri particolari, non restava che il più importante tra tutti: l’immaginazione. Questa permette, a grandi e piccini, di disegnare nella propria mente un diverso e perfetto Giardino Eden. Santa esplorò tra vegetazioni autentiche e natura selvaggia, muovendosi in lungo e in largo, curiosando tra elementi architettonici di ispirazione classica e altri tipicamente veneziani. A un certo punto alzò la testa: qualcosa stava sfiorando la sua chioma color zucchero. Si rese conto che un rametto di vischio pendeva da un ramo sporgente di un grande albero. È risaputo che il vischio sia una specie adattabile, che cresce spesso come parassita su querce o meli, decorandoli con fiori, bacche e tante, tantissime foglie sempreverdi, minute e ovaleggianti. Santa mormorò tra sé: “Gli umani si baciano sotto questo arbusto, inneggiando all’amore. Potrebbe essere davvero un buon auspicio. Ne colgo un rametto tra quelli caduti, in segno di fortuna.” Lo ripose nella sacca, con tutta l’attenzione che si deve a qualcosa di fragile e prezioso. Dopodiché si riavvicinò al camino e compì a ritroso la magia usata per entrare. In un balzo, impercettibile per chiunque, si ritrovò sulle rive della Fondamenta da cui era partito. Alle sue spalle, vide l’anziano di prima, rientrato con il sacchetto in mano. Sentendolo alle spalle, l’uomo si girò spaventato, senza capire da dove fosse sbucato quell’individuo, che poco prima sembrava non essere lì. “Bah, questi turisti non li capirò mai,” esclamò. E, borbottando, proseguì per la sua strada. Santa tornò sulle rive che si affacciavano su Piazza San Marco e Punta della Dogana. Svoltò a sinistra e raggiunse la celeberrima chiesa del Redentore, una delle più importanti per i veneziani. Fu eretta in memoria della liberazione dalla peste, durata due anni e scoppiata in forma epidemica nel 1575. Vi entrò per scoprirne l’interno e, al contempo, recitare una preghiera. Nello stile ricordava la chiesa di San Giorgio, distinguendosi più per l’esterno che per l’interno. Santa si ritirò, inginocchiandosi su una panca di legno non lontana dall’altare maggiore. Supplicò assistenza e supporto per la sua missione, confidando nella buona riuscita. Quando uscì, si sentì più leggero, come se un peso gli fosse stato tolto dal cuore. Sulla soglia della chiesa, il suo sguardo si posò sull’orizzonte. Decise che avrebbe preso il vaporetto per attraversare il canale: la curiosità di esplorare Punta della Dogana e la Fondamenta delle Zattere lo attirava irresistibilmente. Immaginava già quella passeggiata tranquilla lungo la boulevard che correva parallela alla Giudecca, un percorso che sembrava promettere nuove emozioni e riflessioni.

A domani con un nuovo capitolo!

Ingredienti della Luce raccolti finora: Acqua del fiume Piave, Acqua agrodolce della foce del Sile, fango in scatola, frammento del Ponte del Diavolo, intonaco color cielo, rametto di vitigno, stelo di carciofo, bastoncini di liquirizia amarissimi, piume di gufo, candela consumata, pignette di cipresso, ceneri d legno di tasso, guscio di murice spinoso “garusolo” con ali nere dipinte dal pittore, legno resiliente levigato dal mare, fiore viola selvatico centarurea, rete sgualcita con galleggiante di sughero, cristallo di sale marino, rametto spinoso del roseto, intonaco cuore di melusina in ampolla, rametto di vischio.

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Questo progetto prende vita dalla serie “I Segreti di Venezia”, scoprila cliccando qui, traendone ispirazione per diventare un potente canale di valorizzazione e divulgazione del ricco patrimonio culturale e storico della città lagunare. Con un linguaggio accessibile e coinvolgente, il racconto trasforma ogni pagina in un’esperienza unica, intrecciando storia e magia, e svelando, attraverso la narrazione, alcuni degli affascinanti segreti della serie stessa. Un viaggio emozionante che invita il lettore a scoprire Venezia con occhi nuovi.

Non perdere nemmeno un capitolo!
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I capitoli e le date di uscita:

01 Dicembre – Santa Maria di Piave

02 Dicembre – Foce del Sile

03 Dicembre – Lio Piccolo

04 Dicembre – Isola di Torcello

05 Dicembre – Isola di Burano

06 Dicembre – Isola di Mazzorbo

07 Dicembre – Isola di Sant’Erasmo

08 Dicembre – Isola delle Vignole

09 Dicembre – Isola della Certosa

10 Dicembre – Isola di San Francesco del Deserto

11 Dicembre – Isola di Poveglia

12 Dicembre – Località Malamocco

13 Dicembre – San Pietro in Volta

14 Dicembre – Pellestrina

15 Dicembre – Cà Roman

16 Dicembre – Chioggia

17 Dicembre – Sottomarina

18 Dicembre – Isola di San Lazzaro degli Armeni

19 Dicembre – Sestiere Castello

20 Dicembre – Isola della Giudecca

21 Dicembre – Sestiere Dorsoduro

22 Dicembre – Sestiere San Polo

23 Dicembre – Sestieri San Polo, San Marco e Castello

24 Dicembre – Sestiere di San Marco

25 Dicembre – Sestiere Castello

“Santa Claus e i 25 ingredienti della Luce” – 19 Dicembre – Sestiere di Castello 

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19 Dicembre – Sestiere di Castello 

Proprio mentre raggiungevano la Sampierota di Luca, carica di materie prime figlie dello scambio con Cirillo, il cielo parve divenire più sereno, abbandonando la pioggia leggera in favore di una lieve brezza nordica e un cielo quasi limpido. Cirillo ci salutò con ampi cenni della mano dalle rive della darsena dalla quale si era affacciato e poi, guardando in direzione della barca, tracciò un segno della croce nell’aria, una benedizione che sembrava rivolta in particolar modo a Santa. Luca infatti esordì dicendo: “Ma lo sai che è la prima volta che Cirillo mi saluta benedicendomi lungo il percorso? Sia chiaro, mi fa piacere, ma forse la tua presenza ha scatenato in lui qualcosa di nuovo e importante. Meglio così”. Santa rideva sotto i baffi, sapeva benissimo cosa significasse quel gesto, ma era altrettanto consapevole di non poterlo rivelare al fidato Luca. Più persone sanno una cosa, più le possibilità che questa si avveri diventano esigue, non per demeriti delle persone in sé, ma perché ogni proposito, se troppo sbandierato, alla lunga perde di efficacia anche in chi ci tiene a portarlo a termine. Un po’ come se il troppo confidarsi portasse ad autoconvincersi che il peso di una missione, una volta condiviso a voce, divenga un qualcosa portato anche da altri sulle spalle. Santa era sempre stato abituato ad arrangiarsi, questa non sarebbe stata l’eccezione. Passarono a ovest dell’isola di San Servolo, allontanandosi così pian piano anche dal Lido di Venezia. Capito di essere circa a metà tragitto verso Venezia, Santa disse: “Caro Luca, ti chiedo cortesemente di farmi sbarcare qui a Venezia, non so ancora in che direzione, ma sento che ovunque tu mi lascerai, potrò proseguire il mio compito. Ti ringrazio di questo tempo che abbiamo condiviso, mi hai fatto capire tante cose e scoprirne ancor di più. Non so se ci saranno date altre opportunità di incontrarci, ma ricordati di ricordare questo incontro che sono certo ha reciprocamente influenzato in positivo le nostre esperienze di vita. Ti prometto che prima o poi busserò alla porta del tuo convento e sarà per passare altro tempo insieme, confrontandoci su quante altre meraviglie avremmo scoperto nel frattempo lungo il percorso della vita”. Luca si asciugò una lacrima, sapeva che questa volta quell’uomo misterioso sarebbe uscito dalla sua vita e rispose: “Te lo prometto, sarò qui ad aspettarti, grazie anche a te”. Si abbracciarono con l’amaro sapore dell’addio, nell’agrodolce speranza d’incontrarsi ancora in futuro. Il frate, arrivato nello spazio acqueo a sud del Sestiere di Castello, imboccò, passando sotto ad un ponte, il Rio della Pietà e, nei pressi di Ponte Sant’Antonin, si accostò vicino ad un piccolo stazio per gondole e aiutò Santa a scendere. Santa rimase sulla riva a fissare la barca allontanarsi e, salutando con la mano, Luca proseguì lungo il canale verso nord, che sfocia nei pressi dell’isola Cimitero di San Michele, continuando a girarsi per ricambiare. Santa si guardò intorno, fece qualche passo indietro rispetto alla riva presso cui era sceso e sentì un improvviso quanto profondo senso di solitudine. Fissò la sua sacca di iuta per un istante, traendo dal suo contenuto e da ogni singola esperienza vissuta tutta la forza spirituale di cui necessitava per incedere. Si guardò alla sua destra e capì d’esser stato abbandonato in un luogo speciale: vi era infatti un negozio di giocattoli, come quelli di una volta, interamente realizzati in legno. “Ponte dei Sogni” recitava l’insegna. Santa vi si affacciò, scrutò ogni singolo elemento della vetrina: cuori, gnomi, leoni di San Marco e, meraviglia tra le meraviglie, un cavallo a dondolo fatto a mo’ di gondola con, al posto della sagoma del cavallo, la sagoma del ferro di prua della celebre imbarcazione veneziana. Santa si avvicinò così tanto a quella vetrina da appoggiarvisi col naso, sporcandola. Pieno di vergogna per la sua “malefatta” decise di entrare: “Buongiorno signora, scusi se la disturbo, ma devo porre rimedio ad un piccolo misfatto. Sarebbe così gentile da darmi un panno e un detergente vetri? Sa, ero così preso dalle sue opere in vetrina che ho perso la percezione della realtà e ho adagiato il mio naso al vetro”. E lei, dopo essersi lasciata andare ad una fragorosa risata: “Ma si figuri! Capita ogni giorno, decine di volte e mi creda, lei è il primo da vent’anni a questa parte che entra per porre rimedio a questo, come lo definisce lei, misfatto”. Come scoprì poco dopo infatti, la gente usava appoggiarsi nelle più variegate maniere a quei vetri e, dunque, lei era assolutamente avvezza a doverli pulire. Santa a quel punto, più sereno dal punto di vista morale, salutò ringraziandola per la comprensione. Uscì dal negozio e, dopo una decina di metri, si sentì strattonare un braccio: era la negoziante. “Tenga!” esordì porgendogli un leoncino portachiavi. “Lei, come le dicevo, è il primo in oltre vent’anni che si prende la premura di voler ripulire la vetrina, il suo gesto di umiltà e rispetto non merita di passare inosservato”. Santa rispose: “Ma si figuri, non serve, davvero, ho fatto il mio dovere”. Ella non desistette, così Santa si ritrovò ad accettare un souvenir veneziano, davvero carino, che appese ad uno dei passanti del girovita dei suoi pantaloni. Camminò ancora per qualche decina di metri, un languore colpì il suo stomaco, decise così di fermarsi ad un bar pasticceria, decisamente molto frequentato, e di prendere qualcosa. Entrò e, guardando le vetrine sul bancone, fu travolto da squisitezze dolci e salate e, data l’indecisione, guardò cosa stessero scegliendo i cosiddetti “locals”. C’era chi prendeva uno spritz, chi una pastina, chi un tramezzino. Santa decise per questo: “Un calice di prosecco e un tramezzino con radicchio, stracchino e noci”. Non era dedito agli alcolici, ma un bicchiere ogni mille anni che problema avrebbe mai potuto cagionare? Pagò ed uscì visibilmente soddisfatto, satollo e felice. Lo stomaco aveva finalmente cessato di mugugnare. Il percorso ora offriva due opzioni: Santa proseguì verso sinistra e dopo pochi passi, sentì una voce femminile, lieve ma non troppo lontana e dal suono cristallino, etereo e con un che di giocoso attirarlo a sé. “Viandante!” e ancora “Viandante!”. Fu a quel punto che Santa notò l’ingresso del “Sotoportego dei Preti” e vi entrò. Era un luogo buio, dove la luce pareva farsi strada con eccessiva timidezza; nella penombra udì ancora quella voce soave dire: “Sei in un luogo leggendario, gira i tacchi e alza lo sguardo”. Santa, a metà fra paura e curiosità, si girò seguendo le istruzioni e vide qualcosa che, per la sua mente ed il suo cuore, appariva come un mistero affascinante: un cuore, rosso, di mattoni. La voce a quel punto gli si fece vicinissima, forse poggiata ad una sua spalla: “Non è bellissimo pensare che il cuore di quella Sirena ora sia lì? A suggello del suo eterno amore che, come tutte le cose grandi, è stato distrutto dalla sua stessa magnitudine?” e Santa: “Ma, ma io non capisco, chi sei, spiegami che accade!” e la voce, figurandosi nella forma di una folletta minuscola, eterea, scintillante, dalle ali iridescenti, capelli d’argento e vestita di petali rossi: “Sono Melusina, mi chiamo così in onore della sirena che perse la vita per un tragico errore del suo compagno di vita”. E lui: “Oh mio Dio che storia triste, raccontami di più”. Proseguì Melusina: “Un pescatore, Orio, liberò dalle sue reti durante una pesca a Malamocco, una sirena, Melusina appunto. Era bellissima ed ella, innamorata del pescatore, rinunciò alla sua forma pur di vivere con lui. Lei come unica condizione gli chiese di non tornare mai a casa il sabato fino al matrimonio, ma lui, geloso e curioso, infranse il patto e trovò un serpente in casa: era lei che ogni sabato si trasformava in tale creatura. A quel punto si sposarono per spezzare la maledizione, ma lei si ammalò e morì poco dopo, lasciando Orio da solo col suo dolore e i tre figli”. E Santa biascicò: “Ma, ma, ma, è struggente tutto questo”. Lei proseguì: “Ora viene il peggio: da quel giorno ogni volta che lui tornava a casa, trovava tutto in ordine, ma un giorno trovò un’altra serpe in casa e, temendo per i figli, la uccise; scoprì però che era l’incarnazione dell’amore della moglie, sopravvissuto alla morte, che la faceva vegliare su di loro a mo’ di serpente”. Santa sfiorò con la mano destra quel cuore di mattoni, commosso nel profondo dalla storia, guardò Melusina e le disse: “Grazie, questo aneddoto arricchisce il mio percorso, cosa posso fare per te Melusina?” e lei: “Sento un profumo sublime di erbe essiccate, posso sentirlo da vicino?” Così egli prese un sacchetto e lo portò al naso della follettina che, a pieni polmoni, annusò quell’incantevole selezione d’erbe. Santa glielo regalò, avendo cura di chiederle dove posarlo, dato che lei non sarebbe stata in grado di reggerlo da sola. A quel punto Melusina gli volò innanzi agli occhi e lo guardò malissimo dicendo: “Quindi, hai davanti una delle creature più incredibili incontrate lungo il tuo viaggio e non le chiedi una mano per gli ingredienti per la tua missione?” e lui: “Ma, ma, come fai a saperlo?” e lei: “La tua sacca, il tuo vestiario, corrispondono in toto a quelle di un tizio sciamannato che, tantissimo tempo fa, secoli addietro, mi chiese aiuto per degli ingredienti di una missione salvifica, ma la differenza è che lui non ce la fece, tu hai l’aria di chi ce la farà”. Fu scoraggiante per lui, per la seconda volta in poche ore, sentirsi richiamare alla memoria quel fallimento immane; rischiò di sprofondare in uno stato d’irrequieta infelicità, ma resistette e disse: “Accetto di buon grado, come puoi aiutarmi?” e lei volò fino alla sacca di iuta, ne slacciò la sommità e, brillando della sua luce qui e lì, a zig zag all’interno, ne uscì dicendo: “Sei a buon punto, ma questo non ce l’hai”. Volò, velocissima con una ampollina di vetro vuota, ne staccò il tappo e, volando vicino al cuore di mattoni, ne distaccò una modesta quantità di intonaco che intrappolò nell’ampolla. Guardò Santa e disse: “Melusina vinse la morte, ma non vinse il suo destino amaro; questo cuore ne celebra la memoria ed è intriso della sua voglia di vivere, sono certa darà una sferzata positiva agli altri ingredienti della luce”. Santa alzò il suo pugno destro a mezz’aria, ne alzò a sua volta verso l’alto l’indice e lo lasciò nell’aria, Melusina lo abbracciò, fortissimo dicendogli: “Ora vai al Giardino Hundertwasser, il segreto custodito tra i segreti della natura”. Santa aveva capito che nessun gigante avrebbe mai potuto abbracciare una follettina, ma le avrebbe potuto offrire l’opportunità di abbracciarlo. Il sottoportico era in penombra usualmente, ma quell’abbraccio tra la follettina ed il dito di Santa fece detonare una luce radiosa per cinque o sei secondi che si propagò fino alla sua soglia e, ancora oggi, molti turisti affermano di averla vista, senza poter capire cosa fosse realmente; alcuni, conoscendo la leggenda, pensano tuttora che fosse una manifestazione postuma dell’amore di Orio per Melusina, la sua sirena tanto amata.​​​​​​​​​​​​​​​​


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01 Dicembre – Santa Maria di Piave

02 Dicembre – Foce del Sile

03 Dicembre – Lio Piccolo

04 Dicembre – Isola di Torcello

05 Dicembre – Isola di Burano

06 Dicembre – Isola di Mazzorbo

07 Dicembre – Isola di Sant’Erasmo

08 Dicembre – Isola delle Vignole

09 Dicembre – Isola della Certosa

10 Dicembre – Isola di San Francesco del Deserto

11 Dicembre – Isola di Poveglia

12 Dicembre – Località Malamocco

13 Dicembre – San Pietro in Volta

14 Dicembre – Pellestrina

15 Dicembre – Cà Roman

16 Dicembre – Chioggia

17 Dicembre – Sottomarina

18 Dicembre – Isola di San Lazzaro degli Armeni

19 Dicembre – Sestiere Castello

20 Dicembre – Isola della Giudecca

21 Dicembre – Sestiere Dorsoduro

22 Dicembre – Sestiere San Polo

23 Dicembre – Sestieri San Polo, San Marco e Castello

24 Dicembre – Sestiere di San Marco

25 Dicembre – Sestiere Castello

“Santa Claus e i 25 ingredienti della Luce” – 18 Dicembre – San Lazzaro degli Armeni

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18 Dicembre – San Lazzaro degli Armeni

Santa pedalò ripercorrendo l’intera diga al contrario. Ripassò davanti al bar visto all’inizio: ormai era quasi pomeriggio, e, data la stagione, il tramonto non sarebbe giunto molto tardi. Il cielo era di un colore stranissimo, in parte azzurro e in parte arancione, e i giochi di riflessi sull’acqua creavano uno scenario da favola. Santa ripercorse la pista ciclabile lungo tutto l’asse di Sottomarina fino all’incrocio che lo avrebbe ricondotto prima al viale verso l’Isola dell’Unione e poi al centro storico di Chioggia. Non badò troppo al paesaggio, anche se gli piacque, perché sentiva la necessità di restituire la bici direttamente dove l’aveva noleggiata, per poi proseguire il suo viaggio di ricerca in direzione di Venezia, o quantomeno riavvicinandosi ad essa. Mentre giungeva, con i pescherecci che stavano scaldando i motori nel canale presso l’Isola dell’Unione, ebbe una strana sensazione, come se di lì a poco tutto gli sarebbe stato svelato. Arrivato nei pressi di Canal Vena, decise di scendere dalla bici per proseguire, portandola a mano fino alla locanda che l’aveva ospitato. Sentì una voce familiare, di colpo, urlare: “Hey, heeeey!” Santa, d’istinto, si chinò come chi sta per essere colpito da un proiettile. Pensò che lo stessero avvisando dell’arrivo della magoga. Il richiamo si ripeté e, solo a quel punto, capì di non essere in pericolo. Si girò, scoprendo che non era un avviso di pericolo, ma una fortuita e bellissima casualità. C’era un volto familiare che, lungo il canale, stava pilotando una sampierota. “Luca!” esclamò Santa. Luca si avvicinò alla riva più che poteva, ma, a causa dei pontili e delle imbarcazioni attraccate, costrinse il nostro viandante a camminare con un passo insicuro e lento lungo uno stretto pontile, largo al massimo trenta centimetri e lungo tre metri, per affacciarsi al canale vicino alla barca. Si guardarono e si parlarono come se non si vedessero da mesi: Cosa hai fatto? Dove sei stato? E molte altre domande. Finché Santa non si lasciò scappare che il suo viaggio verso sud lo riteneva concluso e che ora la sua missione lo avrebbe riportato verso Venezia. Luca, a quel punto, non esitò un secondo: “Restituisci la bici e salta a bordo con me. Se accetterai, ti farò scoprire una delle isole della Laguna che di certo non hai mai visitato. Ma, soprattutto, passeremo di nuovo del tempo assieme.” Santa fece cenno di sì con il capo. La sacca di juta cominciava a diventare pesante, il viaggio si faceva sentire nelle ossa e un po’ di sana compagnia non avrebbe guastato il piano nel suo insieme. Proseguì portando la bici a mano fino all’apposito stallo self-service, dove si sarebbe chiuso il noleggio. In un primo momento, stava per dimenticarsi la lanterna attaccata alla bici, così si disse: “Corpo di mille renne, questa deve venire con me!” e la recuperò. Nel frattempo, l’imbarcazione e il fraticello lo seguivano lentamente dal canale. A quel punto, il frate fece cenno a Santa che poteva salire, indicandogli un pontile che agevolava l’operazione. Santa appoggiò il piede destro sulla prua della barca, poi, con un balzo, aggiunse il sinistro. Quando tutto il suo peso fu sull’imbarcazione, la prua cominciò a beccheggiare ampiamente, facendogli credere che sarebbe finito in acqua da un momento all’altro. La mano salda di Luca offrì il giusto soccorso. Così, Santa si mise comodo, pronto per una nuova traversata. L’itinerario gli fece vedere un tramonto magico che, dal suo principio alla sua fine, trasformava il lungo Laguna. Dapprima tra Pellestrina e San Pietro in Volta, con le casette colorate che si dipanavano una dopo l’altra, come a comporre un Arlecchino di intonaci che abbelliva il borgo; poi fu la volta del Lido di Venezia, con la sua eleganza sobria e quell’atmosfera vintage dal fascino ineguagliabile. Un’isola che sembrava il riflesso di una ricchezza di stili e di persone che non l’avevano mai abbandonata. Santa ancora non sapeva dove sarebbero finiti, ma lo capì quando, superata Poveglia e altre isole trasformate in hotel lussuosissimi, vide Luca virare con decisione in direzione di un’isola che pareva quasi una goccia dalla forma quadrangolare, staccatasi dal Lido di Venezia. Luca disse: “Caro amico, stai per scoprire una delle isole più affascinanti tra tutte le isole della fede lagunare. Questa darsena ci farà da affascinante anfitrione all’Isola di San Lazzaro degli Armeni.” E Santa, stupito, rispose: “Dunque fra voi ortodossi c’è un fitto e collaborativo dialogo?” Il frate rispose: “Ortodossi e francescani condividono l’amore per la povertà, la preghiera contemplativa e la cura del creato. Entrambi venerano i santi, vivono la comunità come spazio di fede e celebrano l’Incarnazione di Cristo come centro della spiritualità. Inoltre, le nostre due congregazioni, pur essendo sotto egide diverse, collaborano proficuamente e con continuità in un dialogo che esalta il tratto umano e coesivo della fede.” Il breve tunnel che conduceva all’isola sembrava illuminato da lucciole, tante erano le lucine che guidavano l’attracco. Fummo accolti da un padre dall’aria infreddolita, che doveva aver trascorso parecchio tempo in attesa, forse anche a causa di Santa, ospite imprevisto. Il padre ortodosso indossava una lunga veste nera, elegante e austera, e portava un copricapo tipico del clero ortodosso. La sua lunga barba bianca e gli occhiali gli conferivano un’aria saggia e rispettabile, illuminata dal fascino delle candele. Al collo teneva un pettorale decorato, probabilmente simbolo del suo alto ruolo, e tra le mani un bastone lavorato con un’icona sacra che sembrava un’opera d’arte. C’era qualcosa di imponente e solenne nel suo aspetto, come se la sua presenza dicesse tutto senza bisogno di parole: un silente dialogo tra vista e percezione. Esordì dicendo: “Pace a voi.” I due, dalla barca, risposero con un inchino di riverenza, senza mettersi d’accordo. Ormeggiata la barca, scesero lungo un’apposita scalinata di marmo in stile veneziano, che terminava nelle acque lagunari e conduceva al pontile. Luca e il padre, un certo Cirillo dell’ordine dei Mekharisti, che aveva il tipico accento dell’Est, parlavano fluentemente sia l’italiano sia molte altre lingue. Lo capii perché anche Luca cambiò registro, passando dal latino al greco e poi all’italiano durante il loro dialogo. La mia fortuna era di riuscire a capire e farmi capire, a prescindere dal linguaggio, ma non saprò mai in quale versione ciascuno mi udisse. Cirillo ci offrì riparo all’interno di due stanze riservate agli ospiti. Per raggiungerle passammo attraverso una chiesa dai bellissimi mosaici bizantini, una ricchissima biblioteca e infine un corridoio con le stanze. Scoprimmo che per i frati ortodossi era giornata di digiuno serale e, dunque, sia io che Luca ringraziammo il padre, per poi chiuderci nelle rispettive celle per la notte. L’indomani, prima dell’alba, il tintinnio acuto di un campanello squarciò il silenzio, invitando i presenti a recarsi in chiesa per una silenziosa preghiera mattutina. Dopo la preghiera, ci dirigemmo nel refettorio, dove ognuno scelse una colazione tra pane dorato, burro, marmellata, frutta secca, latte o yogurt. Capii che parte della materia prima veniva portata da Luca, in uno scambio di produzioni alimentari che garantiva una varietà nutrizionale alle due comunità. A quel punto, Luca mi guardò e disse: “Ora mi accorderò con padre Cirillo per i prossimi scambi. Se ti va, scopri l’affaccio panoramico su Venezia e il roseto.” Uscito dal portone del monastero, che cigolando rivelò un paesaggio unico, vidi innanzi a me un panorama lagunare che si affacciava sul versante del sestiere di Castello di Venezia, con una vista sui Giardini e Sant’Elena. Una balaustra di marmo bianco, tipicamente veneziana, risultava umida al tatto per la lieve pioggia del mattino. Il paesaggio era così bello da far mancare il fiato. Santa notò una piccola appendice poco più a nord della darsena. Nonostante l’umidità e la pioggerellina leggera, si sedette lì ad ammirare qualcosa che percepiva come irripetibile. Quasi felice delle poche gocce di pioggia che lo colpivano, si diresse poi verso il polmone verde, dove i curatissimi roseti emanavano ancora un profumo intensissimo, nonostante la stagione. Fu a quel punto che sentì un picchiettare sulla spalla. Cirillo lo fissava con curiosità e gli disse: “Io so chi sei, intendo veramente. L’ho capito dal tuo modo di fare, dallo sguardo e dalla sacca. La nostra congregazione tramanda questo racconto di una creatura che si manifestò nei paesi di nostra origine, compiendo qualcosa di simile a ciò che stai facendo tu con la tua sacca di ingredienti speciali, tantissimo tempo fa.” Santa rabbrividì. Fino a quel momento non ricordava nemmeno lui l’aneddoto che gli era stato riferito. Provò a rispondere: “Ma… ma…” E Cirillo: “Stai tranquillo. Pregherò per te, sperando che il tuo intervento, questa volta, a differenza della precedente, vada a buon fine. Tu gridi ancora nella possibilità di una redenzione per l’umanità, ma devi ricordarti che non passa da un singolo uomo la redenzione stessa. Di certo, però, può essere amplificata dalla sua traccia.” Santa rispose con un filo di voce, mentre le lacrime si mescolavano alla pioggia: “Grazie.” Infine, il padre estrasse dal suo abito una piccola forbice da giardino. Trovò un rametto spinoso del roseto, privo di bulbi, e ne tagliò una porzione di circa dieci centimetri. Gliela porse, dicendo: “Le rose sono il simbolo di come anche dalle spine può nascere il meraviglioso. Lascia che sia io, da qui, a offrirti un ingrediente puro e semplice per la tua missione.” Santa estrasse dal taschino un mini sacco di juta, simile a quello più grande nei materiali e nel grado di conservazione, vi ripose il rametto e disse una solenne: “Grazie infinite.” Poi si inchinò, colmo di gratitudine, in direzione di Cirillo. Solo a quel punto ricomparve Luca: “Ma cosa fate sotto la pioggia?” I due si misero a ridere e Cirillo, coprendo la reale identità di Santa, rispose: “Godiamo dell’improvviso dono delle acque. Farebbe bene anche a te.” Poi scoppiò in una profonda e grassa risata che contagiò questo strano terzetto, che, sotto traccia, ambiva — chi consapevolmente e chi no — a un mondo migliore.

A domani con un nuovo capitolo!

Ingredienti della Luce raccolti finora: Acqua del fiume Piave, Acqua agrodolce della foce del Sile, fango in scatola, frammento del Ponte del Diavolo, intonaco color cielo, rametto di vitigno, stelo di carciofo, bastoncini di liquirizia amarissimi, piume di gufo, candela consumata, pignette di cipresso, ceneri d legno di tasso, guscio di murice spinoso “garusolo” con ali nere dipinte dal pittore, legno resiliente levigato dal mare, fiore viola selvatico centarurea, rete sgualcita con galleggiante di sughero, cristallo di sale marino, rametto spinoso del roseto.

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Vivi la magia del Natale a Venezia e scopri i suoi segreti
Questo progetto prende vita dalla serie “I Segreti di Venezia”, scoprila cliccando qui, traendone ispirazione per diventare un potente canale di valorizzazione e divulgazione del ricco patrimonio culturale e storico della città lagunare. Con un linguaggio accessibile e coinvolgente, il racconto trasforma ogni pagina in un’esperienza unica, intrecciando storia e magia, e svelando, attraverso la narrazione, alcuni degli affascinanti segreti della serie stessa. Un viaggio emozionante che invita il lettore a scoprire Venezia con occhi nuovi.

Non perdere nemmeno un capitolo!
Scopri i 25 capitoli di questa straordinaria avventura, clicca sui link per immergerti in ogni episodio e lasciati conquistare dal fascino unico di Venezia. Segui la storia e condividi l’emozione con amici e familiari: ogni giorno, un nuovo tassello illuminerà il tuo cammino verso il Natale.

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I capitoli e le date di uscita:

01 Dicembre – Santa Maria di Piave

02 Dicembre – Foce del Sile

03 Dicembre – Lio Piccolo

04 Dicembre – Isola di Torcello

05 Dicembre – Isola di Burano

06 Dicembre – Isola di Mazzorbo

07 Dicembre – Isola di Sant’Erasmo

08 Dicembre – Isola delle Vignole

09 Dicembre – Isola della Certosa

10 Dicembre – Isola di San Francesco del Deserto

11 Dicembre – Isola di Poveglia

12 Dicembre – Località Malamocco

13 Dicembre – San Pietro in Volta

14 Dicembre – Pellestrina

15 Dicembre – Cà Roman

16 Dicembre – Chioggia

17 Dicembre – Sottomarina

18 Dicembre – Isola di San Lazzaro degli Armeni

19 Dicembre – Sestiere Castello

20 Dicembre – Isola della Giudecca

21 Dicembre – Sestiere Dorsoduro

22 Dicembre – Sestiere San Polo

23 Dicembre – Sestieri San Polo, San Marco e Castello

24 Dicembre – Sestiere di San Marco

25 Dicembre – Sestiere Castello

“Santa Claus e i 25 ingredienti della Luce” – 17 Dicembre – Sottomarina

"Santa Claus e i 25 ingredienti della Luce" - cover by Trarealtaesogno

17 Dicembre – Sottomarina

Sentì l’eco dei gabbiani, poco distanti. Si diede una sciacquata al volto e poi, prima di scendere per la colazione, decise di aprire i balconi per ammirare il paesaggio dalla sua stanza, che dava proprio sul Canal Vena. Fu qui che egli scoprì l’amaro boccone che gli aveva serbato il destino. Aprì il balcone di sinistra e lo fissò con l’apposito gancio, poi fece per aprire quello di destra. Spalancandolo, non riuscì a farlo adagiare del tutto contro il muro come il sinistro. Spinse e spinse invano, poi d’un tratto sentì un verso che gli parve familiare. Un brivido lo percorse all’idea: “La magoga!” esclamò terrorizzato Santa. Il balcone continuava a non aprirsi del tutto e proprio da lì una testolina bianca, dallo sguardo severo, con una piccola macchia nera sopra il capo, proprio come quella incontrata a Cà Roman, fece capolino. Era impossibile che avesse riconosciuto i panni di Santa, ma dall’occhiataccia che gli lanciò sembrava pronta a finire il suo lavoro sui vestiti. Santa richiuse velocemente il balcone borbottando a sé stesso: “Beh dai, l’aria l’abbiamo fatta girare, ora possiamo chiudere.” Se ne girò per la stanza completando la vestizione e sentendo un regolare picchiettare sul balcone. L’animale non si stava arrendendo all’evidenza, ma questo round lo aveva vinto Santa per k.o. tecnico. Non sapendo come proseguire, per non perdersi qualche perla, chiese consiglio al gestore che gli propose, per una manciata di spiccioli, di noleggiare una bici elettrica, che avrebbe poi potuto lasciare negli appositi spazi in quel di Sottomarina: “Li troverà negozi, piccole attività, spiaggia, mare, natura e un pizzico di storia. Sarebbe un peccato non la visitasse.” Santa accettò di buon grado, saldò i suoi debiti e, facendo attenzione a prendere tutte le sue cose, scelse una bici. Vi appese al manubrio la sua lanterna, che dopo tanta sacca era giusto prendesse un po’ d’aria salmastra, e, controllando l’allerta magoga, iniziò a pedalare in direzione est verso la laguna interna, quella che, dopo il ponte che conduce all’Isola dell’Unione, si trasformava nella Laguna del Lusenzo. Osservò curioso la schiera di pescherecci ancora fumanti dalle loro piccole ciminiere, appena rientrati dalla notte in mare. Dopo un piccolo ponte, Santa arrivò all’Isola dell’Unione, un isolotto artificiale creato nei primi del Novecento per agevolare il collegamento tra Chioggia e Sottomarina, inizialmente pensato anche come parcheggio e polo sportivo. Un piccolo polmone verde tra la laguna e il lato vicino al mare. Dopo poco più di cinquecento metri, poté affacciarsi su quella che era l’altra frazione. Per un attimo gli sembrò di essere sbarcato su un altro pianeta. Nonostante fosse dicembre, i locali erano aperti agli avventori, in particolare stranieri, tantissimi. C’era una fervida vitalità in quel borgo che, in poche centinaia di metri, si distingueva nettamente dalla vicina Chioggia, più storica e affascinante. Sottomarina, con il suo spirito giovane e vivace, sembrava invece ammiccare a un sano divertimento, offrendo un contrasto intrigante e complementare. Dopo aver pedalato per circa mezzo chilometro fino a raggiungere il lungomare, decise di andare verso nord, punto cardinale che in fondo gli ricordava casa. Stabilimenti balneari, intrattenimento, alberghi, case per villeggiatura: l’assortimento di questa località era tra i più vari in assoluto. Santa si guardò intorno, scorse un luna park chiuso per la stagione fredda e dei bambini che lo guardavano ammirati da dietro una recinzione, avendo mal riposto la loro fiducia su una eventuale apertura invernale. Molti hotel su questo lato avevano impalcature, approfittando del freddo per restauri e migliorie, un po’ in controtendenza rispetto alla parte più interna di Sottomarina. Pedalò, uno stabilimento balneare dopo l’altro, fino al punto più a nord di quel litorale, vedendo che, in prossimità di un locale che si chiamava “In Diga”, cominciava una lunghissima diga marittima parallela a quella di Cà Roman. Santa pedalò, assistito dal motore elettrico della bici, vide pescatori, pensionati a passeggio, coppie e pescherecci. La brezza fredda sferzava la sua barba e le sue gote, ma erano frustate vitali, piacevoli quasi. Sulla destra, sul versante sud della diga, sorgevano sette capanne da pesca, delle palafitte in legno dalle quali spesso pendevano enormi reti da pesca calate nelle acque attraverso affascinanti giochi d’argani e funi. Una di queste, però, era stata adibita a ristorante con posti a sedere e fritture da asporto. Santa, incuriosito ed affamato, data l’ora, decise di concedersi un cono di fritto di mare. Si sedette sugli scogli che facevano da margine alla diga, ascoltò il rumore del mare, scrutò l’orizzonte e godette del pasto che lo mandò letteralmente al settimo cielo. Rifocillato e felice, proseguì. A pochissimi metri dal faro, trovò un murales di vernice rossa dipinto al suolo con, in cima, un buffo fantasmino che faceva gli sberleffi. Al di sotto, una frase che, per quanto criptica, emozionò Santa: “Tu sei qui, ma l’amore va oltre.” Era solo, si avvicinò al piccolo faro, sfiorando con la mano la maniglia della porta in metallo dipinta di rosso, poi agli scogli in cemento e, una volta lì, li osservò curioso della loro forma a quattro punte, tre come base e una verso l’alto. Parevano stelle stereotipate. Il mare produceva un frastuono profondo, incuneando le sue acque tra le fessure degli scogli. I vuoti interstiziali amplificavano il suono, trasformandolo in un’eco cupa e avvolgente, quasi un canto ancestrale come quello ammaliante delle sirene. Fu lì, in quell’anfratto e momento, che udì il verso di una creatura colta da freddo e brividi. In quella splendida cornice di silenzio e freddo, quasi aliena al mondo, ecco apparire lui: “Ciao!” disse rabbrividendo, con un guizzo negli occhi. “Sono Stropolo, custode del litorale di Sottomarina. Ho percepito il tuo avvicinarti da giorni… ben arrivato!” Era un folletto minuto, dalla pelle colorita di bruno, simile a quella di un sasso levigato dal mare. I suoi erano occhi grandi e vivaci dai riflessi blu, mentre i capelli spettinati sembravano ciuffi d’alghe essiccate dal sole. Indossava un mantello fatto di reti da pesca intrecciate e rattoppate con cura, decorato con conchiglie e frammenti di plastica colorata. Proseguì: “So della tua missione, ma non ne posso prevedere l’esito. So che mi chiederai un ingrediente e, sapendo saresti arrivato, l’ho già preparato.” Da una bisaccia consunta, Stropolo estrasse un cristallo di sale marino, grande come le sue piccole mani, e lo allungò verso Santa. Egli lo accettò in silenzio, colpito in anima e cuore da ogni cosa, e, per ricambiare, prese a strapparsi, piano piano, un grosso lembo della parte terminale in basso della sua vecchia giacca e, porgendola al folletto, disse: “Così che tu veda la mia gratitudine e possa godere del tepore che una creatura come te merita.” Le nuvole coprirono il timido sole e Santa, distratto da una forte onda che si era abbattuta sugli scogli, si girò. Quando posò di nuovo lo sguardo dov’era Stropolo, non lo vide, ma vide un cuore rosso sugli scogli, appena disegnato. Sicuramente il filosofo del murales sull’amore era lui.

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07 Dicembre – Isola di Sant’Erasmo

08 Dicembre – Isola delle Vignole

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12 Dicembre – Località Malamocco

13 Dicembre – San Pietro in Volta

14 Dicembre – Pellestrina

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16 Dicembre – Chioggia

17 Dicembre – Sottomarina

18 Dicembre – Isola di San Lazzaro degli Armeni

19 Dicembre – Sestiere Castello

20 Dicembre – Isola della Giudecca

21 Dicembre – Sestiere Dorsoduro

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23 Dicembre – Sestieri San Polo, San Marco e Castello

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“Santa Claus e i 25 ingredienti della Luce” – 16 Dicembre – Chioggia

"Santa Claus e i 25 ingredienti della Luce" - cover by Trarealtaesogno

16 Dicembre – Chioggia

Santa fece a ritroso il percorso dalla spiaggia verso l’approdo del vaporetto visto in precedenza e, con candida ingenuità, chiese, presso la palafitta-bar, a che ora si sarebbe fermata la prossima corsa per Chioggia. La risposta lo lasciò di sasso: “Se ha chiamato il numero apposito per la prenotazione fuori stagione, il prossimo sarà tra cinque minuti”. Santa rimase imbambolato e rispose: “Numero? Chiamare? Io non credevo, non sapevo, corpo di mille renne! Adesso come faccio?” E il barista, ridendo: “Io chiamo per lei, se siamo fortunati il marinaio Enrico Tiozzo sarà a bordo in turno e la farà salire, in caso contrario, beh, può sempre sbracciarsi alla fermata, magari la vedono”. Santa lo ringraziò per la premura, incredibilmente riuscì a farsi recuperare, ma non capì mai se fosse merito del barista o del suo aver sbracciato come un mentecatto dal pontile. Quando il natante passò dal porto compreso tra Pellestrina e Chioggia, dove mare e laguna si abbracciano, il mezzo cominciò un breve beccheggiare a destra e a sinistra, come un valzer mosso dalle acque. In pochi minuti apparve la sagoma di Piazza Vigo con la sua piccola darsena, punteggiata di bachette tipiche e qualcuna a vela. Scesero all’approdo “Chioggia” e, una volta a terra, Santa rimase colpito dalla presenza di un Leone di San Marco molto minuto, posto alla sommità di una colonna. Vide un gruppo di turisti, capeggiati da una guida, e si avvicinò per sentire: “La colonna di Vigo a Chioggia ospita un curioso leone marciano, noto come ‘el gato’ per le sue fattezze simili a un grosso gatto, frutto di rivalità storica e ironia verso Venezia. Secondo le leggende, sarebbe stato creato per schernire i veneziani o come risultato di un lavoro maldestro, ma oggi è un simbolo caro ai chioggiotti, che continua a ‘sfidare’ il leone di San Marco”. Santa se la rise insieme a quei turisti, notando come il “marketing” del “Gato de Ciosa” fosse tra i più cavalcati dalle attività circostanti, segno di un popolo devoto a Venezia, ma pronto a rivendicare la propria ricca storia e identità unica. Santa prese a camminare, la gente del posto, donne, pescatori, pensionati, seduti lungo gli innumerevoli bar aperti sotto i porticati del Corso del Popolo, lo scrutavano per l’abbigliamento inconsueto e quell’aria da forestiero che suscita sempre curiosità. Santa sorrise a ogni persona con cui scambiava uno sguardo. Camminò fino alla sede del comune, dove fu attirato da un’attività: un piccolo chiosco sulla destra del palazzo, con le persone in attesa in piedi, felici, da cui scaturiva un profumo dolciastro di fritto. Scoprì dunque una pietanza squisita e figlia di tradizioni secolari tramandate di generazione in generazione: “la crema fritta” della famiglia Zennaro. Estasiato dall’esplosione di gusto, abbandonò il corso principale e si affacciò sul lato di un canale più intimo, costellato di ponti. Era il Canal Vena, un canale largo poco più di dieci metri che collega la Laguna del Lusenzo, inscritta tra Sottomarina e la Chioggia insulare, con la Laguna che da Piazza Vigo guarda al porto visto da Pellestrina. Questo canale era un parcheggio per le barche dei residenti, piccoli scafi utilizzati per gite e pesca amatoriale, e scorre parallelo a uno più ampio poco più a Est, dove invece riposavano i grandi pescherecci destinati al mare. Era l’imbrunire e, dal ponte, vide accendersi delle luci con delle frasi appese in prospettiva su ciascuno dei ponti successivi; erano tratte da un’opera di Goldoni, “Le baruffe chiozzotte”. Avevano un fascino incredibile e i caratteri erano corsivi, a luce calda. Camminando, si fermò a osservare decine di gabbiani in file regolari sopra ogni fune tesa nell’aria, persi nell’attesa che, dalla pescheria storica, saltasse fuori qualche snack. Sotto i portici, lì vicino, vide un anziano pescatore con la pipa che, guardandolo, lo salutò, sbuffando fuori il fumo qui e lì, e gli parlò con la cadenza del dialetto locale, morbido e ondulato come le onde del mare, spiegando che stava ricucendo le reti rovinate dalla pesca con un metodo che suo nonno aveva insegnato al padre e che lui avrebbe insegnato a figli e nipoti. Santa rimase affascinato da quella sapienza millenaria e, vedendolo gettare via un pezzo di rete rovinata con un piccolo galleggiante di sughero arancione ciondolante, gli disse: “Posso averla?” E il vecchio: “Certo, è tua. Come vedi, le reti, la pesca, non è solo legare pesci, ma anche collegare persone, come fanno tra loro le trame delle maglie. Collega me ai miei avi e ai miei discendenti che, attraverso tradizioni e memorie, possono imparare attraverso me e ai miei insegnamenti anche quando non ci sarò più e, magari, sarò la stella del mattino o il faro nella notte per qualche pescatore in difficoltà”. Santa sentì una lacrima, dapprima piccola, poi come uno tsunami, scendere dall’occhio sinistro giù lungo la gota, fino a bloccarsi sulla barba, un pizzico più folta di quando l’aveva regolata. Ringraziò il pescatore e chiese se conoscesse una locanda per cibarsi e trascorrere la notte. Il vecchio, sbuffando fumo candido, rispose: “Poco più avanti c’è un bacaro, poco prima del penultimo ponte, prima di Ponte di Vigo, sulla destra, -all’imbriagon-, si mangia, si beve, e sa dove si può dormire, tutto bene dicono”. Con passo lento, arrivò e si emozionò tantissimo. Vi erano decine di ombrelli arcobaleno, illuminati da led piccoli come lucciole, uno scenario mozzafiato. Santa si avvicinò all’oste, dentro al locale che era adornato, dentro e fuori, con pensieri e poesie bellissime, e chiese un pasto caldo e un letto. Trovò entrambi e, il giorno seguente, si sarebbe dovuto preparare a un risveglio come pochi altri.

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01 Dicembre – Santa Maria di Piave

02 Dicembre – Foce del Sile

03 Dicembre – Lio Piccolo

04 Dicembre – Isola di Torcello

05 Dicembre – Isola di Burano

06 Dicembre – Isola di Mazzorbo

07 Dicembre – Isola di Sant’Erasmo

08 Dicembre – Isola delle Vignole

09 Dicembre – Isola della Certosa

10 Dicembre – Isola di San Francesco del Deserto

11 Dicembre – Isola di Poveglia

12 Dicembre – Località Malamocco

13 Dicembre – San Pietro in Volta

14 Dicembre – Pellestrina

15 Dicembre – Cà Roman

16 Dicembre – Chioggia

17 Dicembre – Sottomarina

18 Dicembre – Isola di San Lazzaro degli Armeni

19 Dicembre – Sestiere Castello

20 Dicembre – Isola della Giudecca

21 Dicembre – Sestiere Dorsoduro

22 Dicembre – Sestiere San Polo

23 Dicembre – Sestieri San Polo, San Marco e Castello

24 Dicembre – Sestiere di San Marco

25 Dicembre – Sestiere Castello