“Santa Claus e i 25 ingredienti della Luce” – 15 Dicembre – Cá Roman

"Santa Claus e i 25 ingredienti della Luce" - cover by Trarealtaesogno

15 Dicembre – Cá Roman

Santa uscì dalla spiaggia e notò come l’isola proseguisse ulteriormente verso sud. Inizialmente camminò per qualche decina di metri lungo il fronte lagunare, che aveva proprio accanto. Si trovava infatti nel punto in cui l’isola si faceva più esile, fino a diventare una sottile linea bianca che, nonostante le sue piccole dimensioni, riusciva a tracciare un confine netto, rigoroso e sicuro tra il mare esuberante e la placida laguna: un’opera ingegneristica probabilmente sottovalutata, frutto di eccellenti menti del passato. Camminando, intuì che lo spettacolo lagunare poteva farsi ancora più bello e decise di salire su quella muraglia alta quasi quattro metri che, con il suo candore, rifletteva la luce solare sulle acque antistanti. Salì i gradini che conducevano alla sommità del murazzo, il quale pareva voler celare, come un sipario di marmo, la persona che si stava affacciando sul mare dall’altra parte. Una volta sopra, Santa emise un sospiro profondissimo, figlio di una quiete senza tempo. Si guardò a destra, verso la laguna, poi a sinistra, verso il mare. Erano separati da poche decine di metri e, in alcuni punti, parevano toccarsi, lambendo quel muro in condivisione. Percorse qualche chilometro sopra quel muro, nonostante il divieto, godendosi il contesto che rendeva il paesaggio ancor più affascinante. Scese dal murazzo e si avvicinò ad un piccolo chiosco, una vera e propria palafitta che offriva snack e bevande nei pressi dell’approdo del vaporetto della linea Pellestrina-Cà Roman-Chioggia. Ordinò un caffè e scambiò qualche parola con il titolare, un uomo dalla faccia simpatica che lo accolse con cordialità e un sorriso. Poco oltre cominciava una piccola selva di tamerici. Si inoltrò tra gli alberi tipici di quel litorale, che si facevano sempre più fitti. Il silenzio divenne più denso, interrotto solo da qualche gabbiano indispettito e dal canto di altri volatili. Ad un tratto si trovò di fronte a una fortificazione in cemento armato risalente ai conflitti mondiali. Santa borbottò, intuendo di aver sbagliato strada, lamentandosi per essersi ritrovato in un luogo di guerra e non di natura. Tornò al bivio e, recuperato un pezzo di strada, vide un villaggio marino abbandonato: probabilmente un’oasi un tempo usata come campo scout o piccolo villaggio per famiglie. Provò rabbia nel vedere che al suo interno vi era una chiesetta, palesemente sconsacrata, ormai ridotta a “posacenere” delle umane frustrazioni che spesso si riversano, ingiustamente, sui beni comuni. Santa mormorò: “Eppure le testimonianze di fede, passata e presente, su quest’isola sono innumerevoli e paiono quasi disposte a distanza regolare, come a voler compiacere il credente che, passando di qui, ogni tanto avrebbe trovato una casa in cui professare la sua fede.” Santa imboccò stavolta la giusta deviazione e, dapprima su passerelle in legno, poi su pietre piatte e infine con le scarpe sulla sabbia, giunse alla battigia, fronte mare. Natura e silenzio si fondevano in unisono, interrotti solo dal mare che danzava lungo la costa. Gabbiani, resti di legno e mucchi di alghe secche si stendevano su un paesaggio quasi lunare, bellissimo. Nonostante la stagione invernale, in lontananza lungo la spiaggia vide delle famiglie, presumibilmente straniere, attratte dalla bellezza del luogo: dal loro accento, si intuiva fossero tedesche. Santa si ricordò allora di come molti bambini tedeschi, e non solo, mandassero la loro letterina con i desideri da indirizzi che non erano del loro paese d’origine. Santa si guardò intorno. Con una mano passò le dita nella sabbia, che gli rispose con un calore che pareva conservato per chi avesse avuto l’ardire di toccarla. In quel momento vide un vecchio scoglio arenato nella sabbia, forse spostato da una mareggiata. Sembrava ben stabile e, dato che era particolarmente piatto e liscio, Santa decise di usarlo come panchina per godersi quel clima silenzioso e rilassante, in compagnia del mare e dei gabbiani. Ne approfittò per fare introspezione, meditare sul suo ruolo in un mondo moderno, sempre più assorto in finestre virtuali piuttosto che sulla vita reale. Un mondo in cui lo scorrere su TikTok o su altre piattaforme sembra avere più valore di un abbraccio. D’un tratto, Santa uscì dal torpore in cui si era calato, perché ebbe l’impressione di sentirsi picchiettare sulla spalla. Si girò e vide una magoga che si era prefissata l’obiettivo di rosicchiargli il giaccone pesante e sgualcito che lo proteggeva dal freddo. Santa, in quell’istante, parve molto burbero e intimò al pennuto di andarsene con una risolutezza assai rara per lui. Ma, come noto, le magoghe sono i re dei gabbiani e non si lasciano intimidire facilmente: se ne andò solo dopo aver provocato uno squarcio nel giaccone di circa dieci centimetri per dieci. Santa esclamò: “Corpo di mille renne, ma ti pare modo?!” Si tolse il giaccone, e dalla sacca di juta estrasse ago e filo assieme a un pezzetto di stoffa, un avanzo probabilmente, che usò per rattopparlo alla meglio, in modo tale che continuasse a sembrargli quasi da poveraccio. Poi riprese a meditare e a rilassarsi, recitando una preghiera di perdono per la sua collera verso un animale che, in fondo, non faceva altro che essere se stesso. Ma, ad un tratto, la rabbia tornò a crescere. Sentì infatti, di nuovo, un picchiettio sulla spalla, stavolta quella opposta. Si girò di scatto, rabbioso, ma stavolta fu una voce tenera e soave a sorprenderlo: “Die Blume ist für dich.” Significava: “Questo fiore è per te.” La frase era stata pronunciata da una bambina, piccolina, bionda e con i ricci, forse di cinque anni, vestita di rosa. I suoi genitori da lontano le facevano cenno di smetterla di importunare i pochi avventori del luogo. Santa si chinò per arrivare alla sua altezza e le rispose: “Ich nehme dieses kostbare Geschenk gerne an. Vielen Dank, es bedeutet mir sehr viel!” (“Accetto volentieri questo dono prezioso. Grazie mille, significa molto per me!”). La bambina, con le guance color rosso smeraldo, scappò via ridendo, felice, non aspettandosi una risposta nella sua lingua: nessuno, finora, gliel’aveva data. Dovete sapere che Santa non conosceva tutte le lingue del mondo, parlava solo la sua, fatta di amore, percepita poi da ciascun umano nella lingua a lui più cara e viceversa. Guardò quel fiore e comprese che un gesto, semplice e inaspettato, era risarcimento sufficiente per il fastidio patito. Quel fiore, una Centaurea tommasinii dai petali violacei, lo spinse ad un pensiero: mise il fiore al sicuro, e poi, arrotolando i pantaloni fino al ginocchio, si tolse scarpe e calzettoni ed entró in acqua. Gelida e pungente, ma rigenerante. “Chissà quante persone pagherebbero per essere qui, per vivere questa emozione e vedere questi luoghi magnifici. Sono davvero fortunato.”

A domani con un nuovo capitolo!

Ingredienti della Luce raccolti finora: Acqua del fiume Piave, Acqua agrodolce della foce del Sile, fango in scatola, frammento del Ponte del Diavolo, intonaco color cielo, rametto di vitigno, stelo di carciofo, bastoncini di liquirizia amarissimi, piume di gufo, candela consumata, pignette di cipresso, ceneri d legno di tasso, guscio di murice spinoso “garusolo” con ali nere dipinte dal pittore, legno resiliente levigato dal mare, fiore viola selvatico centarurea.

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Questo progetto prende vita dalla serie “I Segreti di Venezia”, scoprila cliccando qui, traendone ispirazione per diventare un potente canale di valorizzazione e divulgazione del ricco patrimonio culturale e storico della città lagunare. Con un linguaggio accessibile e coinvolgente, il racconto trasforma ogni pagina in un’esperienza unica, intrecciando storia e magia, e svelando, attraverso la narrazione, alcuni degli affascinanti segreti della serie stessa. Un viaggio emozionante che invita il lettore a scoprire Venezia con occhi nuovi.

Non perdere nemmeno un capitolo!
Scopri i 25 capitoli di questa straordinaria avventura, clicca sui link per immergerti in ogni episodio e lasciati conquistare dal fascino unico di Venezia. Segui la storia e condividi l’emozione con amici e familiari: ogni giorno, un nuovo tassello illuminerà il tuo cammino verso il Natale.

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I capitoli e le date di uscita:

01 Dicembre – Santa Maria di Piave

02 Dicembre – Foce del Sile

03 Dicembre – Lio Piccolo

04 Dicembre – Isola di Torcello

05 Dicembre – Isola di Burano

06 Dicembre – Isola di Mazzorbo

07 Dicembre – Isola di Sant’Erasmo

08 Dicembre – Isola delle Vignole

09 Dicembre – Isola della Certosa

10 Dicembre – Isola di San Francesco del Deserto

11 Dicembre – Isola di Poveglia

12 Dicembre – Località Malamocco

13 Dicembre – San Pietro in Volta

14 Dicembre – Pellestrina

15 Dicembre – Cà Roman

16 Dicembre – Chioggia

17 Dicembre – Sottomarina

18 Dicembre – Isola di San Lazzaro degli Armeni

19 Dicembre – Sestiere Castello

20 Dicembre – Isola della Giudecca

21 Dicembre – Sestiere Dorsoduro

22 Dicembre – Sestiere San Polo

23 Dicembre – Sestieri San Polo, San Marco e Castello

24 Dicembre – Sestiere di San Marco

25 Dicembre – Sestiere Castello

“Santa Claus e i 25 ingredienti della Luce” – 14 Dicembre – Pellestrina

"Santa Claus e i 25 ingredienti della Luce" - cover by Trarealtaesogno

14 Dicembre – Pellestrina

Santa proseguì verso sud, diretto all’altro borgo che componeva l’isola, ma prima avrebbe incontrato la frazione di Portosecco, un centro abitato che faceva parte di San Pietro in Volta. Le case colorate si alternavano, unite l’una all’altra lungo il fronte lagunare. La quiete regnava sovrana, ma, a un certo punto, Santa fu attratto da una cosa curiosa. Sulla sinistra, in un piccolo campo, gli apparve una chiesa stretta, quasi abbracciata dalla canonica che si sovrapponeva su parte della facciata. Era dedicata a Santo Stefano e, dall’esterno, non appariva tanto diversa da quella dedicata a San Pietro incontrata il giorno prima. Trovò l’uscio aperto e fece capolino. Si avvicinò all’altare, poi si diresse più a destra. Qui si trovava una statua di una Madonna con bambino, presso la quale affidò un’accurata preghiera per il buon esito della sua missione. Una volta uscito dalla chiesa e dall’intimo campo che l’ospitava, riprese il suo cammino verso sud. Alcuni rovi gli fecero tornare alla mente ciò che aveva imparato da Luca, facendolo sorridere con quella tenera amarezza che si fa agrodolce nel ricordo di una persona speciale, difficile da ritrovare. Poteva scegliere se proseguire sul lato del mare o continuare sul fronte lagunare. Nonostante non comprendesse del tutto il motivo, si ricordò di qualcosa che aveva sentito il giorno prima da alcuni residenti mentre mangiava alla locanda. Essi alludevano “all’andare a casa per marina” (cioè sul lato del mare) come una scelta fatta da chi non voleva vedere nessuno, per un’onta o una sconfitta bruciante. Ne era rimasto così colpito che decise di proseguire sul fronte lagunare, lungo una pista ciclopedonale che prometteva paesaggi incredibili. Camminò a lungo, incrociando solo gatti selvatici, gabbiani e acque. Il sole continuava il suo percorso nel cielo e, dopo aver superato capannoni abbandonati e spazi vuoti popolati di canneti, con una curva contro curva, giunse all’altezza di un cantiere navale dall’aspetto storico, ma riammodernato per gestire i mezzi del servizio pubblico nautico. Qui sgranò gli occhi alla vista di un’altra chiesa isolana, modesta e piccola, alta sì e no quattro o cinque metri, dipinta di giallo con inserti bianchi. Proseguì ancora, intravedendo un altro campanile, il terzo dall’inizio del suo viaggio sull’isola. Poco prima, un campiello con i colori più vivaci di tutta l’isola — arancione, giallo, blu, rosso, verde e altri ancora — creava un’esplosione di colore. Quest’isola, questi borghi, declinavano moduli simili in maniera originale e diversa in ciascuna zona. Santa vide persone, venditori ambulanti di frutta, verdura e generi di prima necessità, tutti con il loro furgone telato. Incontrò un ex ospedale e diversi bar. Tra ieri e oggi, aveva già visto due campi da calcio. Ma lo stupore maggiore lo colse quando, dopo aver realizzato che solo nel secondo borgo c’erano quattro chiese, scoprì che una di queste era dedicata a un’apparizione mariana a un ragazzino dell’isola. Quest’isola pareva avere un legame, un filo rosso che la connetteva al senso della fede intrecciato alla vita marinara. A un certo punto, sul finire delle case, colto dalla curiosità di vedere il mare, salì una scalinata in marmo dai piccoli gradini. Lì, dove quello che i locali chiamavano “monton” per la sagoma quasi collinare, si interrompeva lasciando visibile la muraglia marmorea — i “murazzi” — costruita lì e al Lido di Venezia a difesa delle terre “rubate” al mare. Fu lì che lo stupore lo colse maggiormente, per la forza di quell’azzurro su azzurro che dialogava segretamente con l’altro lato della laguna. Attraversò le sabbie per arrivare al bagnasciuga, attratto da uno spettacolo naturale inconsueto. Vide file di granchi che camminavano in orizzontale e alcuni di questi sembravano armati a mo’ di spada con dei pezzettini di legno. Li osservò sorridendo, incuriosito dalla loro frenesia nel tuffarsi in acqua, quasi come se avessero un senso del ritmo. Fu proprio in quel momento che un colpo di vento improvviso spostò della sabbia leggera e secca vicino a Santa, e da essa emerse un pezzetto di legno su cui da tempo il mare non posava più la sua forza. A tratti si presentava bucherellato ed era di un colore più vicino a quello del marmo bianco o della cenere che a quello del legno giovane intonso. Lo avvicinò al naso; sarà stato spesso tre centimetri e lungo dieci, emanava un sentore salmastro. Chissà per quanti chilometri aveva navigato prima di trovare riposo vicino al bagnasciuga, ma all’asciutto. Decise che questo simbolo di resilienza sarebbe stato il giusto ingrediente per testimoniare la forza di un litorale lungo undici chilometri, abbracciato dalle acque su tutti i suoi lati, sottile e oblungo. Il bastoncino, così come l’isola, rappresentava la prova di come fascinosità e bellezza non passino necessariamente dalla via più facile, ma trovino origine anche nelle difficoltà che affrontiamo nella vita.

A domani con un nuovo capitolo!

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05 Dicembre – Isola di Burano

06 Dicembre – Isola di Mazzorbo

07 Dicembre – Isola di Sant’Erasmo

08 Dicembre – Isola delle Vignole

09 Dicembre – Isola della Certosa

10 Dicembre – Isola di San Francesco del Deserto

11 Dicembre – Isola di Poveglia

12 Dicembre – Località Malamocco

13 Dicembre – San Pietro in Volta

14 Dicembre – Pellestrina

15 Dicembre – Cà Roman

16 Dicembre – Chioggia

17 Dicembre – Sottomarina

18 Dicembre – Isola di San Lazzaro degli Armeni

19 Dicembre – Sestiere Castello

20 Dicembre – Isola della Giudecca

21 Dicembre – Sestiere Dorsoduro

22 Dicembre – Sestiere San Polo

23 Dicembre – Sestieri San Polo, San Marco e Castello

24 Dicembre – Sestiere di San Marco

25 Dicembre – Sestiere Castello

“Santa Claus e i 25 ingredienti della Luce” – 13 Dicembre – San Pietro in Volta

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13 Dicembre – San Pietro in Volta

Aveva da poco salutato Luca e si era diretto verso la fermata dell’autobus, dal lato che si affacciava sulla laguna. Il tramonto emanava una luce ormai fioca, lo spettacolo si era già consumato. In lontananza, la barca del frate iniziava a somigliare a un puntino nero all’orizzonte. Santa aveva deciso che la tappa successiva l’avrebbe condotto nella vicina isola di Pellestrina: desiderava visitare entrambe le borgate che costituivano i due villaggi principali, uno più piccolo e l’altro più popolato, di quel luogo che pareva dipinto con colpi di tempera e pennello da un’entità superiore. La forma sottile di quest’isola separava il mare dalla laguna, quasi fosse un fragile filo divisore. L’autobus non tardò ad arrivare ed era impossibile sbagliare: la linea che portava a Pellestrina era una sola e comprendeva una breve traversata in ferry-boat. Il mezzo era pieno di pendolari residenti sull’isola e, dopo una serie di rettilinei, curve e controcurve, raggiunse gli Alberoni. Santa osservava tutto e tutti con una curiosità innata. L’autobus salì a bordo del traghetto e, dopo qualche istante, partì. Attraversando la bocca di porto, Santa notò delle paratie gialle che emergevano dall’acqua, bloccando il flusso del mare verso la laguna. Probabilmente si trattava del famoso Mose, un sistema di dighe mobili concepito per difendere Venezia dalle acque alte eccezionali. Non ebbe nemmeno il tempo di commentare il panorama con qualcuno dei presenti, che il ferry-boat già si stava preparando ad attraccare. Dal finestrino poteva vedere il cartello che indicava la prima frazione isolana: Santa Maria del Mare. Il silenzio dominava la scena, interrotto solo dal rumore del motore. Santa scorse anche una residenza per anziani, probabilmente composta da quelle stesse stanze affacciate sulla bocca di porto che aveva notato dal traghetto, trovandola affascinante. Decise di scendere alla seconda fermata, dove vide le prime case, e si incamminò lungo una stradina chiamata “Belvedere”, emozionato e curioso. Le prime casette colorate, anticamente abitate dai pescatori, spiccavano per i loro vivaci colori, simili a quelli di Burano. Un mestiere ancora praticato a Pellestrina, ma mai quanto in passato. Camminò per poche decine di metri. Il rumore del mare lasciò spazio alla quiete della laguna e, osservando il panorama verso i Colli Euganei, capì il motivo del nome “Belvedere” per quella località. Lungo la riva incontrò altre case colorate e attraversò un porticato a tre archi, incastonato tra le abitazioni. Poco oltre giunse a uno spazio acquatico, una sorta di piccolo bacino dove decine di barche da pesca erano ormeggiate con cura. “Che meraviglia!”, esclamò tra sé e sé. Proseguendo, incrociò una chiesa dedicata a San Pietro, la cui presenza affondava le radici nel nome e nella storia dell’isola. A quell’ora i negozi erano già chiusi, come era giusto che fosse, ma notò un ristorante con terrazza panoramica, una gelateria e un altro bar. La strada era deserta, quando all’improvviso sentì il rumore di una serranda che si apriva. Si voltò e vide una signora dall’aria gentile. Si avvicinò e chiese: “Buonasera, mi scusi, cercavo un posto dove cenare e poi un luogo dove trascorrere la notte. Ha qualche consiglio da darmi?” Lei sorrise e rispose: “Meno di cento metri più avanti c’è una locanda che affitta camere e ha un ristorante. Provi a rivolgersi lì.” La ringraziò con un sorriso e si avvicinò al luogo indicato. La porta era aperta; entrò e fu accolto da un ragazzo sorridente che gli chiese le sue necessità. Santa rispose che cercava un luogo dove cenare e pernottare, e il ragazzo lo rassicurò dicendogli che era nel posto giusto per entrambe le cose. Gli chiese un documento, e a quel punto Santa estrasse il suo “jolly”, un documento temporaneo che aveva già “salvato la vita” in diverse occasioni. Recitava: “In attesa della riemissione dell’identità ufficiale a seguito di furto di documenti”. Il nome indicato era Santo Nicolotti, nato il 6 dicembre 1955, di nazionalità italiana, con indirizzo di residenza in Via dei Miracoli 17, Roma. Un numero identificativo provvisorio ne confermava l’autenticità. Il ragazzo osservò il documento e poi il volto dell’ospite, infine annuì. Mise a sistema i dati e scoprì che esistevano già nel loro archivio, poiché Santa aveva alloggiato in un altro hotel della stessa catena, a Berlino. Soddisfatto, Santa cenò con una semplice insalata, data l’abbondanza del pranzo del giorno, e si ritirò per godere di una doccia calda e di un meritato riposo. La mattina seguente, fu svegliato dal canto insistente dei gabbiani. Aprì i balconi della stanza e godette di un paesaggio unico: davanti a lui, solo la laguna. La poesia di quella vista gli riempì l’animo. Con la luce del giorno, si accorse che davanti alla locanda vi era un pontile dei mezzi pubblici veneziani, ormai in disuso. Un ragazzino stava pescando lì, e quando vide Santa alla finestra, lo salutò. Santa ricambiò con un sorriso e un cenno della mano. Dopo una colazione semplice, uscì e si incamminò lungo la laguna verso sud. Prima di una curva, fu inebriato dal profumo di pane appena cotto. Nonostante l’ora mattutina, il panificio era già aperto: ne uscì con tre confezioni di “bussolai,” un prodotto locale dall’aspetto invitante. Proseguendo, notò una piazzetta pittoresca con reti da pesca ad asciugare al sole e, in lontananza, un pittore intento a dipingere la laguna. Santa si fermò a osservare le reti, intrise di “odor da freschin,” che ricordava le attività di pesca nelle acque lagunari. Tra le trame delle reti, notò una conchiglia, il guscio di un murice spinoso, localmente noto come “garusolo”. La raccolse delicatamente, verificando che fosse vuota. Sorrise e decise di aggiungerla alla sacca come nuovo elemento per la “luce di speranza.” Alzando lo sguardo, quasi urlò per la sorpresa: il pittore si era avvicinato, osservandolo con curiosità. “Lei non è di qui, vero? Un foresto?”, domandò. Santa rispose con un sorriso: “Vengo dai boschi, ma nessuno mi ha mai dato del foresto, sa?” Il pittore annuì, quasi seccato: “Foresto, forestiero, insomma! Sa, io credo che nel volo o nel precipizio delle onde, a seconda di come le si guardi, si nascondano i segreti dell’Universo. E nelle grandi conchiglie, si sente persino il rumore del mare, come se tutto ciò che non è, potesse continuare a essere.” Santa lo ascoltava affascinato. Il pittore gli mostrò la tela: un cielo azzurro, la laguna e due gabbiani disegnati con tratti essenziali. Non era realismo, ma pura essenza. Santa lo guardò negli occhi e disse: “La sua visione del mondo è più lucida di quella di tanti dotti. Mi ha fatto capire che il fascino immortale risiede nell’essenziale.” Il pittore sorrise e aggiunse: “La mia arte si nutre di pochi ingredienti: acque, cieli e gabbiani. E quando lo ‘stravedo’ rende l’aria limpida, posso quasi sfiorare i Colli Euganei con il pennello.” Santa ebbe un’idea folle e chiese un favore al pittore, che accettò volentieri. Dopo un saluto caloroso, proseguì verso Portosecco. Incontrò una casa rosa con una madonnina su un lucernario murato, e sorrise per poi guardare la conchiglia appena dipinta con i sottili gabbiani neri, come ali leggere che sognavano di volare anche con un oggetto che di possibilità di volare normalmente non ne ha.

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05 Dicembre – Isola di Burano

06 Dicembre – Isola di Mazzorbo

07 Dicembre – Isola di Sant’Erasmo

08 Dicembre – Isola delle Vignole

09 Dicembre – Isola della Certosa

10 Dicembre – Isola di San Francesco del Deserto

11 Dicembre – Isola di Poveglia

12 Dicembre – Località Malamocco

13 Dicembre – San Pietro in Volta

14 Dicembre – Pellestrina

15 Dicembre – Cà Roman

16 Dicembre – Chioggia

17 Dicembre – Sottomarina

18 Dicembre – Isola di San Lazzaro degli Armeni

19 Dicembre – Sestiere Castello

20 Dicembre – Isola della Giudecca

21 Dicembre – Sestiere Dorsoduro

22 Dicembre – Sestiere San Polo

23 Dicembre – Sestieri San Polo, San Marco e Castello

24 Dicembre – Sestiere di San Marco

25 Dicembre – Sestiere Castello

“Santa Claus e i 25 ingredienti della Luce” – 12 Dicembre – Località Malamocco

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12 Dicembre – Località Malamocco

Durante l’itinerario, una traversata di poco più di mezzo chilometro, Luca si lanciò in dettagliati racconti storici sui luoghi circostanti. “Sai, Malamocco si narra possa essere la parte superstite di un’isola antichissima in cui fiorenti furono commerci e vita lagunare: Metamauco; una sorta di Atlantide dell’Adriatico, nei pressi della quale sfociava il fiume Brenta prima delle sue deviazioni, alle quali lavorò perfino il celeberrimo Leonardo Da Vinci.” Santa sospirò, profondamente colto da ammirazione per quanto stava ricevendo dal frate. Luca proseguì: “Li vedi quei due ponti sulla riva di Malamocco? Fanno parte di un canale che trasforma lo storico borgo in una sorta di isola nell’isola del Lido. Noi passeremo da quello di sinistra, ma per raggiungere la piccola darsena dove attraccheremo cambierebbe poco passando dall’altro.” Attraccarono a una bricola, vicino a un piccolo ponte dall’intonaco rosato, su cui un cartello ligneo riportava il nome del proprietario del posto acqueo: “Alfredo”. Santa si guardò curiosamente intorno: appena oltre quel ponte vi era la sagoma dell’arco che ospitava anticamente la porta d’accesso al borgo. Ad accoglierli un’ampia piazza, chiamata “delle erbe”, in cui si incamminarono e, presso il sottoportico di Calle della Madonna, entrambi si riservarono una breve preghiera silente. Poco oltre, Luca si avvicinò a una porta a vetri e bussò al campanello. Ci volle un minuto prima che Alfredo arrivasse, un arzillo nonnetto dalle mani segnate dal lavoro nei campi di sua proprietà: “Luca, che ci fai qui?” E lui: “Come ti avevo detto, oggi sono andato a more a Poveglia, te ne ho portate un po’. Ma soprattutto volevo capire se va tutto bene.” E il vecchio: “Va sempre bene! E quando ti vedo anche meglio. Chi è il forestiero che ti accompagna?” disse squadrando Santa, aggiungendo: “Non sarà mica il solito astemio con cui ti accompagni, vero?” E Santa: “Buongiorno Alfredo, sono un viandante ospite dell’ordine religioso di suo nipote per qualche giorno e sono onorato d’incontrarla.” E l’altro: “Ancora questa storia del nipote, Luca, quand’è che ti decidi a dire che sono il tuo padrino di tutti i sacramenti?” Luca arrossì e disse: “La fede ci lega più dei cromosomi, zi…” Lo interruppe bruscamente, per poi dire: “Dai che scherzo! Entrate, avevo già pesato la pasta, ma a questo punto la facciamo tutta.” Santa assunse l’espressione di chi, piuttosto di approfittare, sarebbe andato nella vicina trattoria, e così Alfredo: “Se lei mi scappa, noi mangiamo di più. Su, su, entri, che il dottore mi rincorre con la dieta!” Santa accettò e, a quel punto, chiese al vecchio di accettare in cambio un sacchetto delle sue erbe essiccate. Alfredo ne fu felicissimo. Al tavolo, tra un sorso di vino e una chiacchiera, mangiarono un’abbondante porzione di spaghetti pomodoro e zucchine prelibati, tutto con condimenti originari degli orti di Alfredo. Bevuto il caffè, Santa si congedò per passeggiare per la borgata, lasciando così alla coppia del tempo prezioso per discutere e confrontarsi sui temi di attualità e salute. Santa esplorò ogni calle e anfratto, avvolto da quiete e silenzio, poi si mise a circumnavigare l’abitato, seguendo il canale che, abbracciandolo, lo delimitava. D’un tratto, una voce sibilante e villana nel tono parve schernirlo. Passò oltre, ma si fece insistente: “Hey, citrullo, ce l’ho proprio con te!” Santa si voltò, sospirando, e sentì ancora: “Guardami bene, sono Grintolo. Mi hanno riferito che sei stato aiutato da uno di noi folletti, ma ricorda, gli umani perseverano nel loro modo d’essere immeritevole di salvezza. Cenere sono, cenere rimarranno.” Santa lo vide e cominciò a inseguirlo per chiarire i suoi piani e, magari, dirgliene quattro, ma infine scomparve dentro una casa abbandonata senza manifestarsi più. Santa bussò sul malconcio uscio, nessuna risposta. Entrò: quasi del tutto buio e vuoto. Scorse solamente delle ceneri di un antico focolare; si chinò e se ne portò una piccola quantità al naso, dicendo poi: “Questo era sicuramente legno di tasso; si percepiva dall’odore ancora pungente delle sue ceneri, che richiamano resine e spezie amare.” Prese dalla sacca di juta una piccola fiala e la riempì di quella cenere. Il folletto che voleva farlo desistere gli aveva inconsapevolmente fornito un ingrediente che, come per ogni cosa, donava un lato più tridimensionale al suo mix in via di definizione. Tornato alla casa di Alfredo, Santa lo trovò con Luca sotto al portico vicino l’uscio, pregavano insieme. Si avvicinò solo a preghiera completata, approfittando per ringraziare il padrone di casa della non scontata e cordiale ospitalità. Alfredo allora si prese la licenza di dire un’ultima cosa: “Sei il meno strano tra tutti gli amici di Luca che sono mai venuti a questa porta, è stato un vero piacere.” E Luca: “Ma zio, questo viandante non è un mio amico, sarebbe fantastico, ma è solo un conoscente nel percorso della mia vita.” E lo zio: “Ecco spiegato perché è così normale, non è un tuo amico!” esplodendo in una risata sguaiata e fragorosa, tutto sommato dolcissima. Luca arrossì e, salutato lo zio, mi invitò ad andare verso la barca. Si era ormai fatta l’ora del tramonto, il sole si stava accomiatando in un dorato tuffo nella laguna che produceva riverberi infiniti sulle facciate delle case circostanti. Luca mi invitò a salire nuovamente sulla barca. Una speranza forse, sapeva infatti che quello del giorno passato insieme sarebbe stato il suo ultimo passaggio. Le nostre vite si erano intrecciate in maniera bellissima, ma in quel momento le linee del destino, che parevano scorrere parallele, avevano ricominciato ad allontanarsi. Bisognava solo ammetterlo. Mi guardò, lo guardai: stima, gratitudine, fratellanza. Luca: “Speravo che questo momento non sopraggiungesse mai, ma sarebbe superbia pretendere di cambiare ciò che diversamente è stato scritto. Grazie per tutto quello che abbiamo condiviso e che, anche se non lo sapevi, mi hai insegnato.” Santa, allora commosso: “Potrei dire tanto, ringraziare sarebbe ancora poco, ma sappi che in tutto questo dispiacere del dividersi c’è un bene infinito che nessuno potrà cancellare mai.” Si abbracciarono lungamente e, solo dopo, Luca chiese a Santa di fargli vedere la sacca di juta un’ultima volta per poi dire: “Sai, mio zio Alfredo è un uomo di poche parole, affatto sentimentale, però gli sei piaciuto tantissimo e, mentre eravamo soli a parlare, ha preso un pezzo della sua corda marittima, lo ha tagliato e ha fatto un legaccio per il tuo sacco di juta, in modo da tenerlo chiuso meglio di quello che hai attualmente. Su questa corda ha inoltre fatto i tre nodi che ricordano i tre voti di noi francescani, unendo di fatto la mia missione con la tua in maniera simbolica. Accetta questo piccolo dono e non dimenticarti di noi.” Santa reagì piangendo di felicità. Ammirò l’amore con cui il frate sostituì il laccio della sua sacca con il nuovo laccio preparato da Alfredo: era perfetto. Si abbracciarono nuovamente, ripromettendosi che, se mai ve ne fosse stata l’occasione, si sarebbero rivisti ancora una volta, almeno nella vita..

A domani con un nuovo capitolo!

Ingredienti della Luce raccolti finora: Acqua del fiume Piave, Acqua agrodolce della foce del Sile, fango in scatola, frammento del Ponte del Diavolo, intonaco color cielo, rametto di vitigno, stelo di carciofo, bastoncini di liquirizia amarissimi, piume di gufo, candela consumata, pignette di cipresso, ceneri d legno di tasso.

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Vivi la magia del Natale a Venezia e scopri i suoi segreti
Questo progetto prende vita dalla serie “I Segreti di Venezia”, scoprila cliccando qui, traendone ispirazione per diventare un potente canale di valorizzazione e divulgazione del ricco patrimonio culturale e storico della città lagunare. Con un linguaggio accessibile e coinvolgente, il racconto trasforma ogni pagina in un’esperienza unica, intrecciando storia e magia, e svelando, attraverso la narrazione, alcuni degli affascinanti segreti della serie stessa. Un viaggio emozionante che invita il lettore a scoprire Venezia con occhi nuovi.

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I capitoli e le date di uscita:

01 Dicembre – Santa Maria di Piave

02 Dicembre – Foce del Sile

03 Dicembre – Lio Piccolo

04 Dicembre – Isola di Torcello

05 Dicembre – Isola di Burano

06 Dicembre – Isola di Mazzorbo

07 Dicembre – Isola di Sant’Erasmo

08 Dicembre – Isola delle Vignole

09 Dicembre – Isola della Certosa

10 Dicembre – Isola di San Francesco del Deserto

11 Dicembre – Isola di Poveglia

12 Dicembre – Località Malamocco

13 Dicembre – San Pietro in Volta

14 Dicembre – Pellestrina

15 Dicembre – Cà Roman

16 Dicembre – Chioggia

17 Dicembre – Sottomarina

18 Dicembre – Isola di San Lazzaro degli Armeni

19 Dicembre – Sestiere Castello

20 Dicembre – Isola della Giudecca

21 Dicembre – Sestiere Dorsoduro

22 Dicembre – Sestiere San Polo

23 Dicembre – Sestieri San Polo, San Marco e Castello

24 Dicembre – Sestiere di San Marco

25 Dicembre – Sestiere Castello

“Santa Claus e i 25 ingredienti della Luce” – 11 Dicembre – Isola di Poveglia

"Santa Claus e i 25 ingredienti della Luce" - cover by Trarealtaesogno

11 Dicembre – Isola di Poveglia

Luca vagò in lungo e in largo per il convento e l’isola, cercando Santa per capire se fosse interessato a percorrere altre due tappe a bordo della Sanpierota con lui. Doveva infatti andare a Poveglia, per raccogliere le sapide e gustose more selvatiche, e poi a Malamocco per visitare un anziano parente dedito ai suoi orti. Dopo un intenso giro, finalmente lo trovò, gli sorrise e fu ricambiato, poi gli disse: “Quest’oggi devo compiere delle commissioni che prevedono di nuovo l’uscita da quest’isola. Dapprima devo passare per l’isola di Poveglia a raccogliere delle more selvatiche per le nostre conserve, dopodiché devo passare in quel di Malamocco per andare a trovare un anziano parente che, nonostante gli acciacchi dell’età, continua a dedicarsi con profonda dedizione ai suoi orti. È libero di accettare, e sappia che dall’ultima località citata potrà comodamente spostarsi ovunque le sia necessario. Che ne dice?” Santa, in cuor suo felice, accettò di buon grado, scuotendo il capo su e giù, come farebbe un bambino felice. Luca mi disse che oggi non avrei dovuto preoccuparmi di dover remare o delle traiettorie del vento. Infatti, stava andando a recuperare una piccola novità. Tornò poco dopo con un motore da mettere a poppa della barca, dotato di un pannello solare da collocare a prua. Con stupore capii che si trattava di un motore elettrico. Un piccolo prodigio, insomma. Alcuni frati, prima di congedarmi, mi chiesero cosa portasse nel sacco di iuta. Risposi loro che serbavo delle tracce di questo viaggio, dei frammenti, utili per un’ammissione superiore che mi sentivo di poter affidare al loro sostegno di preghiera. Caricato tutto il necessario, partimmo alla volta di Poveglia. Il sole accompagnò questo viaggio di circa due ore. Io e Luca, senza mai invadere la privacy dell’altro, ci raccontammo aneddoti e scambi di vita vissuta, il tutto senza mai sconfinare su cose troppo personali. Una volta vicini, Luca si fece serissimo e disse: “Ah, Poveglia…” abbassando lo sguardo. “Un’isola segnata da un dolore antico, che si fa quasi preghiera silenziosa. Inizialmente era un luogo di pace, un terreno fecondo, ma tutto cambiò nel 1380, con la guerra di Chioggia. Venezia evacuò l’isola e molti perirono. Il canale che scorre qui accanto è chiamato ‘dell’orfanello’, pare, proprio per quei tristi eventi.” Fece una pausa, incrociando le mani sul saio. “Ma non finì lì. Nei secoli successivi divenne un lazzaretto, con più di 150.000 vittime della peste sepolte nel terreno. Poi, negli anni ’60, divenne un ospedale psichiatrico… e c’è chi dice che le anime degli appestati non lasciarono mai Poveglia, ma la mia visione delle cose mi porta ad avere fede e fiducia in Dio: le anime giacciono nella misericordia, altrimenti le more qui non sarebbero così deliziose! Non credi?” Sorrise: “Sì Luca, c’è moltissimo dolore quaggiù, ma sento che tu hai ragione.” Sbarcarono dopo aver attraccato presso un pontile malconcio. Santa mosse passi indecisi, scricchiolava tutto. Giunti però al sicuro, con un cenno d’intesa si divisero: chi col saio a raccogliere le more, e chi, Santa, a curiosare intorno, sempre col contatto visivo stabile. Poco distante, il nostro collezionista scorse un cipresso solitario, che doveva essere alto almeno 20 metri. Gli parve un segno di come la natura volesse superare la storia e il dolore che aveva intriso questi luoghi con la sua forza, come a porre un punto esclamativo di silenziosa armoniosità su quei terreni. Santa fece cenno a Luca che sarebbe andato fino a lì. Un geko gli sfiorò le scarpe e sorrise per gli sberleffi e le buffe espressioni che sembrava rivolgergli. In pochi istanti fu appresso all’albero, un totem nel silenzio. Tutta la laguna sembrava piccola e distante, sospesa, da laggiù. Santa, circumnavigando l’albero, si accorse che qualcuno vi aveva appeso una cornicetta con un chiodo minuto. All’interno vi era una lettera che diceva: “A te viandante che ti avvicini a questi luoghi di dolore, fisico e psichico, ricorda la fortuna che hai nel discernere ciò che leggi, comprendilo, fallo tuo, cosicché non accada mai una guerra e non vengano più rinchiuse le persone bisognose. Sorridi agli sconosciuti, brinda della gioia degli altri, ma anche della tua. Ed infine rammenta: non esiste luce che ombra possa spegnere.” Santa, visibilmente emozionato, si chinò. Scorse un rametto di cipresso che sembrava distaccato dal vento da poco tempo. Attaccate vi erano le tipiche pigne, piccole e quasi sferiche, di un marrone tenue. Le pigne sono il guscio che tutelano i semi, prosecuzione di quella specie. Delle tre, Santa infine ne raccolse soltanto una, così da preservare le altre due per lo scopo previsto dal corso naturale degli eventi. A quel punto tornò da Luca, gli mostrò quanto raccolto e, in tutta risposta, gli fu mostrato un cestino di vimini. Una volta aperto, la meraviglia della natura investì Santa: c’erano decine e decine di more selvatiche e, a quanto pare, non era il primo raccolto che veniva fatto. Sicuramente ne sarebbe stata ricavata una conserva di qualità superiore. I due, quasi saltellando e ebbri di felicità, salirono nuovamente sulla barca e puntarono la prua verso la vicina Malamocco.

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07 Dicembre – Isola di Sant’Erasmo

08 Dicembre – Isola delle Vignole

09 Dicembre – Isola della Certosa

10 Dicembre – Isola di San Francesco del Deserto

11 Dicembre – Isola di Poveglia

12 Dicembre – Località Malamocco

13 Dicembre – San Pietro in Volta

14 Dicembre – Pellestrina

15 Dicembre – Cà Roman

16 Dicembre – Chioggia

17 Dicembre – Sottomarina

18 Dicembre – Isola di San Lazzaro degli Armeni

19 Dicembre – Sestiere Castello

20 Dicembre – Isola della Giudecca

21 Dicembre – Sestiere Dorsoduro

22 Dicembre – Sestiere San Polo

23 Dicembre – Sestieri San Polo, San Marco e Castello

24 Dicembre – Sestiere di San Marco

25 Dicembre – Sestiere Castello